Istanbul, oggi. Nigar (Zübeyde Ronahi) e Ali (Feyyaz Duman), madre e figlio, cercano di vivere al meglio una vita da rifugiati curdi nella capitale turca, nel quartiere di Tarbalasi. Il quartiere curdo. Mentre Ali si barcamena come può, affrontando con coraggio e positività un presente non soddisfacente ma dignitoso, Nigar è bloccata in una realtà che non riconosce. Vuole tornare al suo villaggio. Vuole tornare alla vecchia vita. Rivuole indietro il suo paese, il suo popolo, le abitudini, i costumi, il tempo, lo spazio dell’esistenza culturale e storica che ora le è negata. È la dimensione angusta e grigia dell’esule, dell’emigrato per necessità, per fuga, per sopravvivenza.
La donna non si lamenta, ma non parla. Ripete gli stessi lentissimi gesti, un rituale cui aggrapparsi. Pulisce e contempla il ritratto del marito. Scomparso a suo tempo. Portato via. La memoria giace nella vita di Nigar. Tutto ruota attorno al ricordo di un’antica canzone. Introvabile. Smarrita, come il passato di un’etnia.
«Voi giovani di che vi ricordate?» chiede Nigar. Nessuna memoria per le giovani generazioni. Nessun ricordo. Nulla da conservare.
Se il passato sembra essere stato cancellato, se il ricordo pare non esistere più se non in poche fotografie sbiadite attaccate al muro, una nuova epoca fagocita la storia. Cellulari. Musica rock. Tutto appare come il frutto di una evoluzione, di una colonizzazione, si potrebbe dire, che si disfa del passato per assorbire il presente. Pazienza allora se il futuro è fatto di nuovi suoni, nuove lingue, abiti, strade e una nuova architettura per la città. Hotel ovunque. Turismo.
Non resta che adattarsi, infine. Solo Nigar è l’ultimo anello della memoria, personale e collettiva. Un’anima dolente in certa della sua identità. Nigar che soffre di insonnia, non mangia, si annoia, che ascolta disperatamente tutta la musica possibile solo per ritrovare la sonorità e le parole perdute. Nigar che fugge via, determinata a ritornare ai luoghi che le appartengono e a cui appartiene. Una donna persa come una profuga senza meta, con il ritratto del marito sottobraccio; un’anziana sradicata da tutto e da tutti, in viaggio tra strade senza destinazione. La ricerca di Ali è una ricerca nella memoria, in quella stessa memoria sulla cui consistenza la madre si interroga continuamente. Ali cerca di tenere insieme la radice familiare e il futuro. La sua compagna è incinta. Ma lui vuole avere il bambino oppure no? Vuole ricordare? Vuole ritrovare la comunicazione con la madre? È pronto a portare con sé l’eredità paterna?
Il poeta e regista Erol Mintaş, classe 1983, al suo primo lungometraggio, racconta una storia commovente e drammatica, come il destino che lega i protagonisti alla storia del proprio popolo. La canzone perduta non sembra volersi distinguere come un film apertamente politico, nel senso che la questione curda non viene direttamente affrontata, eppure lo è: per quell’ombra sottile che come una lama taglia le vite dei protagonisti, divisi tra la pena per l’abbandono della terra d’origine e l’incapacità di accettare un futuro senza ricordi; per il ritratto delicato e tragico di un’etnia che si riflette nel particolare delle esistenze di Nigar e Ali; per l’emozionante descrizione della relazione madre-figlio, sviluppata sui gesti, le tradizioni, le abitudini, i silenzi, la lingua.
Il binario linguistico tra turco e curdo, lungo il quale si snoda l’intera narrazione, è solo uno dei tanti aspetti affascinanti del film, distribuito in Italia grazie all'ottimo lavoro di Lab 80. Una musica che nessuno sembra ricordare. Una lingua che si sta esaurendo, parlata solo tra le mura di casa. Parole smarrite, mai pronunciate, che solo ad ascoltarle muovono la corda del rimpianto, del desiderio di ricongiungersi alla propria terra, agli affetti, all’idea di quello che è stato.
Nessuno abita più gli antichi luoghi del Kurdistan. Ma resta la memoria, correndo sull’eredità di una struggente canzone.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Ulteriori informazioni sul film ed elenco delle sale a questo link.
Scheda tecnica
Titolo originale: Song of My Mother
Regista: Erol Mintaş
Interpreti: Zübeyde Ronahi, Feyyaz Duman, Nesrin Cavadzade
Anno: 2014
Durata: 98'
Fotografia: George Chiper-Lillemark
Uscita in Italia: 24 marzo 2016