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IL PONTE DELLE SPIE - La vita nella Storia

23/12/2015

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Chiunque salva una vita, salva il mondo intero: la citazione dal Talmud ebraico, resa universalmente nota da Schindler's List, risuona tra le pieghe del nuovissimo Il ponte delle spie, e trova una significativa evoluzione nel contesto della Guerra Fredda in cui si ambienta il film.
​Perché di fronte ci sono due opposte concezioni del mondo, quella americana/individualista, e quella sovietico-collettivista. Due realtà edificate su un sistema di regole ben strutturato e che esibisce se stesso con la stolidità dei propri principi elevati a meccanismo in grado di assicurare giustizia e benessere ai propri sottoposti, salvo dimostrarsi poi modulabile, a seconda del contesto: vale a dire che da un lato abbiamo una democrazia che esalta pubblicamente il valore della difesa, tanto da assicurarlo anche ai traditori, ma in fondo lo ritiene quasi una formalità, in una strada verso il patibolo considerata non solo ineluttabile, ma anche giusta. Dall'altra parte, il più rigido schematismo della giustizia sovietica non nasconde di voler agire anche su una scacchiera politica dove il traditore può (e deve) essere usato come valuta corrente nel gioco delle legittimazioni politiche.
Il mondo che ne deriva, va da sé, diventa quindi rigido e molle allo stesso tempo, e Steven Spielberg ne prende le misure sul valore delle singole vite, che diventano paradigma dell'etica e della giustizia reali. Lo fa attraverso la figura pure in bilico dell'avvocato Donovan, investito di poteri dall'alto eppure battitore libero, fermo nell'applicazione delle regole che definiscono il sistema, eppure abile a muoversi all'interno delle sue pieghe per raggiungere lo scopo più nobile. Un uomo che ragiona in termini di macroeventi, ma comprende il valore che la singola vita ha nel contesto della definizione di una realtà, essa sì, giusta. 
Qui ritroviamo lo Spielberg umanista, quasi redfordiano e ancora pronto a credere nelle possibilità di un sistema fatto di regole che abbiano senso laddove sono articolate sul valore degli uomini. E non sorprende che il suo uomo, quello che dovrà farsi carico della posta in gioco, sia anche stavolta un grandissimo Tom Hanks: proprio Spielberg ha infatti stabilito da tempo una particolare affinità con l'attore americano, da lui visto come icona fluttuante, perennemente stretta fra realtà altrimenti inconciliabili e opposte. Fra la guerra e la propaganda di Salvate il soldato Ryan, fra le truffe e i drammi esistenziali di Prova a prendermi, fra la Krakozhia e l'America di The Terminal, Hanks continua a incarnare un modello di virtù umana che, però, è allo stesso tempo anche l'elemento anomalo che mette in scacco il sistema scoprendone le mancanze etiche.

L'umanità che attraversa Il ponte delle spie è dunque il paradigma di una precipua visione spielberghiana, dove le relazioni che legano i personaggi si articolano attraverso un lavoro sugli spazi, oltre che sulle performance attoriali: in questo c'è, evidente, la lezione del magnifico Lincoln, capace di modulare le proprie istanze sulla forza espressiva degli interni, sugli spazi angusti che si “aprono” a disfide etico-politiche in grado di avere poi ricadute sul vissuto personale dei personaggi, tanto da rovesciare poi la paludata immobilità della Storia nella vitalità del sentimento dei singoli; ma c'è anche un trasporto nuovo, una voglia di avviluppare lo spettatore nel crescendo di una narrazione che si snoda nel piacere dell'epica (in quanto racconto di uomini che compiono grandi imprese). Di qui, naturalmente, discende il divertimento di un'opera potente ma lieve, di una messinscena dal sapore hitchcockiano, con figure che solo nel prosieguo degli eventi comprendi invece essere ancor più consapevoli degli altri e che per questo lasciano trapelare anche un fondo di amarezza per l'assurdo procedere del mondo.
È un lavoro di mezzitoni, sorretti ancora una volta dall'elaborazione visiva dell'inseparabile Janusz Kaminski, abile a trovare il giusto spiraglio tra la fisicità degli interni e una certa qualità più soffusa di esterni cangianti, ridefiniti dalle nuove geometrie disegnate dal nascente Muro di Berlino. E c'è l'equilibrio delle forze attoriali: quella di Hanks, certo, ma anche quella di Mark Rylance, irresistibile figura dolente ma con una punta di ironia, che riassume la consapevolezza di chi ha ben compreso l'andamento del mondo e non si aspetta di cambiarlo, insieme allo stupore (un po' naif, anche stavolta) di chi vede la Storia rimodularsi sotto la spinta impressa dall'idealismo di Donovan. Nel suo sguardo spento dalla vita, ma pronto a diventare quasi infantile per lo stupore verso l'incredibile parabola descritta dalle forze che lo coinvolgono, sta la forza di un racconto consapevole, ma ancora ottimista, diretto con l'esperienza del classico, ma il divertimento dell'esordiente. Sta, in fondo, la cifra più autentica del cinema di Steven Spielberg.

Davide Di Giorgio

Sezione di riferimento: Film al cinema
​

Scheda tecnica

Titolo originale: Bridge of Spies
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Matt Charman, Joel e Ethan Coen
Attori: Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Alan Alda
Fotografia: Janusz Kaminski
Durata: 141’
Anno: 2015
Uscita: 16 dicembre 2015

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