Il fondamentalista riluttante, nuovo film della regista indiana Mira Nair scelto come apertura dell’ultimo festival di Venezia, è un progetto che nelle mani dell’autrice di Monsoon Wedding si è venuto a caricare di una valenza identitaria e culturale ben maggiore di quella che gli sarebbe toccata in sorte qualora fosse stato affidato a un altro regista. Il romanzo di partenza, l’omonimo bestseller di Mohsin Hamid, presenta infatti stimoli tematici decisamente affini al percorso biografico della Nair, sospesa tra due mondi diversissimi e antitetici quale l’America, patria lavorativa, e l’India musulmana in cui è nata, da padre pakistano.
La regista di Salaam Bombay! si carica della dicotomia senza timori ed esitazioni, ed è palese come il progetto in questione sia volutamente deputato a un confronto diretto e sovrapposto tra le due differenti anime che hanno contraddistinto la sua formazione. Un binomio sul quale installare, vista la materia del romanzo (narrato in forma di monologo), ambiziosi stimoli alla riflessione su due maniere diverse d’intendere il mondo che si rispecchiano anzitutto in due sistemi di gestione economica contrapposti. Nell’ascesa e nella parallela, consequenziale caduta delle ambizioni di Changez, dapprima rampante e prestigiosa promessa accademica e in seguito sbrigativamente bollato come fondamentalista a seguito dell’ondata di pregiudizi e riluttanza successiva all’11/9, c’è tutta la malia sospettosa e ambivalente di un sogno americano cangiante e sempre pronto a tendere ispidi sgambetti. La carriera del giovane Changez sembrava inarrestabile, vista anche la relazione amorosa con la figlia del direttore (un’insolita Kate Hudson, bruna, nei panni di una seducente artistoide), eppure il meccanismo non solo si è inceppato, ma adesso finisce col svelare anche un funzionamento velenoso e un’anima sibillina e assai poco affidabile.
La Nair, a riprova dell’indubbia matrice romantica e passionale che giace alla base del suo cinema, evidenzia come lo scarto definitivo che muta il bravo e diligente studioso in un terrorista implacabile risieda nella delusione amorosa, nella decadenza affettiva ancor prima che in quella personale e professionale. Pone l’accento sull’affezione per il pregiudizio che contraddistingue entrambe le culture fatte scontrare sul ring, con pesanti concessioni alla spettacolarizzazione all’americana più abusata e a un certo sensazionalismo drammaturgico. Il metodo d’analisi, com’è facile immaginare, è a dir poco grossolano, e si appoggia su snodi concettuali di grana grossissima, quasi conducendo lo spettatore per mano passo dopo passo. Sconfessando i rispettivi stereotipi delle due diverse fazioni la Nair prova ad andare espressamente contro le visioni prigioniere di preconcetti e manicheismi dati per assodati, sguazzando anche in una durata forse eccessiva (130 minuti, non pochi e di sicuro non tutti strettamente necessari).
Ma nonostante prevedibilità e ingenuità di varia natura, il film riesce a girare a una velocità comunque superiore ai propri stessi limiti e alla modestia intellettuale dell’operazione e delle idee preposte a sostenerla, centrando una discreta riuscita quasi action, equilibrata con sapienza tra thrilling e entertainment. Il tutto con sorprendente orgoglio e piglio, a dispetto del didascalismo imbonitore, telefonato e meccanicamente prevedibile dal primo all’ultimo passaggio.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The reluctant fundamentalist
Regia: Mira Nair
Sceneggiatura: William Wheeler (dall’omonimo libro di Mohsin Hamid)
Fotografia: Declan Quinn
Montaggio: Shimit Amin
Attori: Riz Ahmed, Kate Hudson, Liev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri, Shabana Azmi, Martin Donovan
Anno: 2012
Durata: 130’
Uscita italiana: 13 giugno 2013