Per chi ancora non l'avesse visto, riassumerne la trama è operazione quasi impossibile, oltreché superflua: vi sia sufficiente sapere che il protagonista, Oscar, viaggia tutto il giorno per le strade di Parigi, a bordo della sua limousine, scortato dalla fedele autista. Il tragitto è intervallato da numerose soste, durante le quali Oscar scende dal mezzo per dare vita a una lunga serie di "appuntamenti", che altro non sono se non scene di finzione, nelle quali l'uomo interpreta di volta in volta personaggi surreali e assai differenti. È un meccanismo eterno, intoccabile, immodificabile, che si ripete ieri, oggi e domani, senza un inizio né una fine.
Metacinema allo stato puro: Holy Motors, volando oltre l'apparente bizzarria della messinscena, scava nel solco di un discorso di rara profondità, in cui si attua una dolorosa riflessione di carattere linguistico e ideologico, volta a profanare una volta per tutte l'atavica divisione tra realismo e creazione artistica. Come il Calvero del chapliniano Luci della ribalta, Oscar vive per un ruolo e tanti ruoli, per una maschera e tante maschere, esaltando sino al parossismo un mestiere che collima con la vita stessa. Nella sua auto l'attore si trucca e si strucca, si veste e si riveste, cambia aspetto in ogni istante, e senza soluzione di continuità si fa uno, nessuno e centomila, glorificando l'atto stesso della recitazione come sublime metafora del (non) senso dell'esistenza.
Così, di volta in volta, l'uomo muta pelle e anima, e diventa una vecchina storpia in cerca di elemosina; una sorta di cyber-ninja alle prese con sesso simulato in motion capture; un disgustoso mostro (Monsieur Merde) che rapisce una modella in un cimitero dove ogni lapide mostra l'indirizzo web del defunto, e la porta via per poi addormentarsi dolcemente tra le sue gambe con il pene in erezione; un padre di famiglia alle prese con la quotidianità della figlia; un sicario senza scrupoli; un anziano morente accudito dalla nipote. E poi ancora, e ancora: mille film mescolati insieme, e mille simulacri in un unico corpo, quello di Denis Lavant, eccezionale trasformista il cui scheletro diventa materia da plasmare, muovere e disfare con vorace ambizione, come accadeva per gli atleti cronofotografati dal precursore dell'arte cinematografica Étienne-Jules Marey.
Scatenato, eccentrico, incontrollabile, geniale; dentro Cosmopolis e molto più in là: Holy Motors supera qualsiasi restringente definizione stilistica, per farsi universale messaggio di strazio e disperazione. Un urlo muto racchiuso nella crescente spossatezza di Oscar, condannato ad abiurare ogni logica di normalità per proseguire nella sua imperitura missione, guidata da una non ben definita associazione di cui fa parte Michel Piccoli, totem che appare e scompare dopo pochi minuti lasciando comunque una traccia indelebile.
Il mondo di Carax è un terreno mistico dove anche le auto, di notte, comunicano tra loro, dimostrando di possedere intelletto e sentimenti; dove ogni persona indossa un costume e si camuffa, ora e sempre; dove ogni gesto accoglie simbolismi che aprono direzioni inattese. Dentro al cinema, e fuori nelle strade. In silenzio e nel caos, al ritmo di una meravigliosa fisarmonica suonata in una cattedrale. Senza più barriere tra verismo e impostura. Come la vita, oltre la vita. Un capolavoro memorabile.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Holy Motors
Regia: Leos Carax
Sceneggiatura: Leos Carax
Fotografia: Caroline Champetier, Yves Cape
Montaggio: Nelly Quettier
Attori: Denis Lavant, Édith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue, Michel Piccoli
Anno: 2012
Durata: 116'
Uscita italiana: 6 giugno 2013