Lo schema si rompe quando lei scompare, e il caso richiama l’avida attenzione di tutti i media d’America. Cosa è accaduto alla sposina perfetta, bionda, bianca, brillante e benestante? Chi è coinvolto in questo giallo? I personaggi sospetti sbucano dalle linee grigie del passato, affollando il racconto, e l’intreccio si fa sempre più contorto, perverso, addirittura inaccettabile. Impossibile e ingiusto riassumere una storia come questa senza scivolare in qualche rivelazione di troppo. E se nel film ci si chiede cosa sia successo alla ragazza, la domanda più intrigante su cui si interroga Gone Girl sembra essere: che ne è stato dell’archetipo della moglie?
David Fincher ci ha abituati a cambiare registro continuamente, a portare il suo cinema sempre avanti, intercettando lo spesso indefinibile comune sentire. In termini puramente cinematografici, i suoi film hanno un’impronta ben chiara, si fanno riconoscere. In termini di contenuti, le sue opere più importanti si sono imposte nell’immaginario filmico, culturale e anche collettivo per aver saputo cogliere le impercettibili sfumature della società. È accaduto con Seven, vero e proprio capostipite del cinema di genere del XXI° secolo, con Fight Club e poi con The Social Network.
Gone Girl arriva in un momento particolare. Siamo invasi da casi di cronaca nera che ci ricordano, più o meno da lontano, il plot del film. La luce mediatica astutamente ci nutre, spettatori e vittime dell’ossessione per l’eterno binomio amore/morte. Un po’ come accaduto a suo tempo con Attrazione fatale, Gone Girl si interroga sulla disfunzione dei rapporti di coppia, declinando la storia d’amore (?) fino a disturbanti estremi. È come una partita a scacchi con due giocatori e pedine, forse inconsapevoli del proprio ruolo.
Il giocatore Rosamunde Pike carica su di sé l’intero film. Eccezionalmente bella e glaciale quanto basta per risultare inafferrabile, sublime manipolatrice, è la carta vincente di Gone Girl. Certo, è difficile confonderla con i personaggi da lei interpretati in precedenza: nella sua Amy non c’è nulla della Bond Girl da tappezzeria o della Jane Bennett tutta romanticherie e sospiri in Orgoglio e pregiudizio. Amy Dunne è la vedova nera, e, d’altra parte, non ci si può aspettare nient’altro da uno come David Fincher, che, da Alien 3 a Millennium ci ha sempre presentato un prototipo di donna forte, determinata, per nulla incline a farsi sottomettere. Amy Dunne è quasi una regina dell’oscurità, una principessa Disney che, punta dall’arcolaio, si risveglia d’un tratto solo per vendicarsi. La Pike è grandiosa, e poco importa se la sua controparte, l’eterno monocorde Ben Affleck, afferri la corda dell’ambiguità solo in poche, rare scene. Il film non sembra essere mai stato pensato per un uomo; è tagliato, con straordinaria e inquietante precisione chirurgica, per un’attrice, e Rosamunde Pike fagocita letteralmente dialoghi, immagini, parole, ambienti e suggestioni. Tutto ciò con cui si relaziona.
Gone Girl, o l’anatomia di un matrimonio. Fincher gioca con lo spettatore, ma più di tutto lo inganna, rovesciando continuamente le prospettive, barando, depistando e come per magia mantenendo il tutto incredibilmente coerente, lineare, perfettamente logico.
L’intrigo vero è legato all’idea di “gone” così ambiguamente richiamata nel titolo originale (con buona pace dei formidabili distributori italiani). Amy la scomparsa, la fotografia sulla busta del latte, il nome attorno al quale si consuma un’indagine impossibile, l’evocazione di ciò che, forse, nemmeno esiste. Lei è tutto, ovunque, senza esserci. Gone. Persa, andata, sparita. Ma cosa, veramente? Cosa è da considerarsi perso?
Gone Girl è un film in cui gli attori sembrano portare sullo schermo personaggi dalla doppia faccia, cioè dalla doppia identità, quella assegnata e quella costruita, o quella reale, quella inconscia, che nessuno - in superficie - pare voler accettare. La società, la famiglia, i media, i partner, ci affibbiano un’immagine mai rispondente al vero. E anche Amy e Nick si mostrano per come li vogliamo, per come ci aspettiamo che siano, salvo poi rivelare la propria natura e deluderci, spiazzarci, addirittura tradirci. Amy e Nick non tradiscono però se stessi, o ciò che rappresentano rispettivamente l’uno per l’altra. E questo è il nodo del film e il tema principale di un intrigo umano più che narrativo, quasi senza soluzione.
Nella relazione squilibrata tra la mantide religiosa e il traditore seriale, i comportamenti sconvolgenti dei due definiscono l’esistenza stessa della coppia. È la patologia del rapporto amoroso violento in sé, che richiede la tensione psicologica, lo stress mentale dell’abbandono, il terrore dell’altro e l’attrazione fisica e brutale per sopravvivere. Il re e la regina di Fantasilandia sono solo mostri che albergano nel castello, virtù e dannazione del matrimonio moderno.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Gone Girl
Regia: David Fincher
Attori: Ben Affleck, Rosamunde Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Kim Dickens
Sceneggiatura: Gillian Flynn, dal suo romanzo
Durata: 149'
Anno: 2014
Montaggio: Kirk Baxter, Angus Wall
Colonna sonora: Trent Reznor, Atticus Ross
Uscita italiana: 18 dicembre 2014
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