Oscar (Michael B. Jordan) è uno dei sobborghi. Giovane, anzi giovanissimo, conduce una vita scapestrata ai margini della legalità. È un irresponsabile ventenne padre di una bimba adorabile. Non un papà modello, dunque, ma un ragazzo ancora in cerca di se stesso, con una dimensione familiare netta e impegnativa a richiamarlo costantemente all’ordine. Oscar non sa che questo sarà l’ultimo giorno della sua vita, e va incontro al suo destino come un qualsiasi essere umano inconsapevole della tragedia dietro l’angolo. Si divide tra gli amici, gli ammonimenti della madre (Octavia Spencer), gli abbracci della figlioletta, la fidanzata, i programmi per la serata di capodanno. Quella sera. Quella in cui ogni inspiegabile coincidenza lo porterà a trovarsi in quella fermata della metropolitana, in quel preciso momento, coinvolto suo malgrado in una sparatoria, bloccato da due agenti di polizia dal grilletto facile e poi colpito fatalmente da un proiettile esploso senza ragione. In quel momento Oscar scatta una foto che diventerà il suo testamento e la prova dei fatti.
Fruitvale Station non è un film sul destino, né sulle coincidenze. Non ha l’ambizione di un affresco di genere o di costume. I temi sociali sono un corollario. Il fulcro, il nodo, è la vita di Oscar Grant. Il regista Ryan Coogler racconta con semplicità quel giorno della vita, e attorno alla figura del giovane protagonista fa ruotare ogni elemento, personaggio, tassello, ambiente. Si può dire che per metà film non accada nulla, o meglio nulla che valga la pena di essere rappresentato in una pellicola. Quello cui assistiamo è la messinscena della vita quotidiana. Eppure siamo lì, osserviamo, colpiti, noi che già sappiamo cosa accadrà. È banale, se si vuole. Il racconto procede come una lenta caduta nell’ignoto, con picchi di accelerazione tragica verso il punto di raccordo. Oscar fermato dalla polizia. Oscar picchiato. Un colpo mortale. Quel fotogramma. Oscar che riprende se stesso morire. Ecco ciò che ci accompagna e ci guida avanti e indietro nella storia, tra presente e passato, e poi ancora presente, rivolti al futuro. L’impalpabile tensione è data proprio dalla consapevolezza che Coogler ci ha dato: noi, impotenti spettatori, rimaniamo attoniti nel guardare come si strappa una vita al corso naturale.
Quella di Oscar Grant è una storia vera che ha commosso e sconvolto l’America. Due poliziotti, alti, biondi, bianchi, impreparati, zelanti al limite della spavalderia, presuntuosi, fondamentalmente insicuri. E un giovane innocente, vittima della paura, di quel razzismo che esiste ma non si dice. Oscar Grant è Rodney King e la periferia di Oakland, dove si svolge la vicenda, è Los Angeles.
Alcuni film hanno un valore estraneo a quello strettamente cinematografico. È questo il caso di Fruitvale Station, opera prima di Ryan Coogler, che arriva nei cinema italiani dopo essere diventato un piccolo caso su suolo americano. In patria, l'opera non ha solo rappresentato l’esempio di come si possa produrre un bel film con un budget minimo, ma è giunto in una strana coincidenza di fatti e di eventi a suonare come un grido, un urlo di ribellione. Era ancora sulle prime pagine di tutti i giornali il caso dell’assassinio dell’afroamericano Travyon Martin per mano del vigilante George Zimmermann (caso conclusosi con l’assoluzione di Zimmermann), con il Presidente Obama che aveva detto “Travyon avrei potuto essere io”. La cronaca è diventata il ring della politica, e i media una cassa di risonanza potente. La coincidenza di questi due elementi ha contribuito a creare il successo di Fruitvale Station, che ammicca (benché con onestà) anche al mondo civile, non solo a quello della sala cinematografico.
Consapevole del peso di portare una così delicata storia vera sullo schermo, Coogler non manca mai di sottolineare la differenza tra realtà e finzione, rispettando la memoria del vero Oscar Grant e, in uno slancio di autocompiacimento, chiamando se stesso non solo al ruolo di regista, ma a quello di narratore delle storie degli invisibili, di difensore degli emarginati. È il film inteso come dispositivo, in un gioco di scatole cinesi in cui si usano le forme espressive di altri media (come il telefonino) adottandone la prospettiva e i codici visivi per il racconto in tempo reale, per il concetto di verità del momento che si compie e al tempo stesso si immortala. Il filmmaker mette se stesso e i propri mezzi al servizio della comunità, svolgendo l’ambizioso compito di trasformare il privato in pubblico, affinché tutti possano sapere.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Fruitvale Station
Regista: Ryan Coogler
Sceneggiatura: Ryan Coogler
Attori: Michael B. Jordan, Octavia Spencer, Melonie Diaz, Kevin Durand, Chad Michael Murray
Durata: 85'
Anno: 2013
Distribuzione: Uscita italiana il 13 marzo 2014