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FRANK - Postmoderno e surrealtà

13/11/2014

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Jon (Domhnall Gleeson) è un musicista, talentuoso e desideroso di trovare la propria strada. Isolato e incompreso da tutti, coglie l’inaspettata occasione della vita quando accetta di far parte dei Soronprfbs, una band dal nome impronunciabile e dalle sonorità molto più che d’avanguardia. 
Il frontman è Frank (Michael Fassbender), cantante dalla voce unica che si concede di indossare – senza mai togliersela - una gigantesca testa di cartone. Nessuno lo ha mai visto senza, nessuno può effettivamente dire chi lui sia. Una stravaganza, questa, che si contorna di mistero, pur in un gruppo di artisti tutt’altro che ordinari: Don (Scott McNairy, Monsters) che è irrimediabilmente depresso, Clara (Maggie Gyllenhaal) con i suoi comportamenti appassionati e imprevedibili, Baraque (François Civil) che parla solo francese anche se nessuno sembra badarci, Nana (Carla Azar, l’unica del cast a fare la musicista per davvero) con quel suo sguardo intenso e a volte inquisitore.
Qualcosa accadrà nel periodo in cui il team si troverà a vivere insieme, nella lontana e boschiva località di Vetno, per incidere l’album perfetto. Il suono perfetto. L’utopia dell’essere umano, che alla perfezione tende senza raggiungerla mai. Finché, un giorno, Jon sprona i Soronprfbs a uscire dalla caverna, letteralmente, e confrontarsi con il mondo esterno, partecipando a un concorso musicale. Occasione, per il gruppo, di suggellare il patto o schiantarsi al primo ostacolo. Quanto è crudele, a volte, la vita.
La costruzione di Frank è prevalentemente basata sui pensieri di Jon, sulla sua voce fuori campo, deputata a collegare tra loro le singole scene. Attenzione però: in questo piccolo gioiello post-moderno, la storia è raccontata come una fiaba cross-mediale, in cui l’elemento “social” (i tweet inviati da Jon a un indecifrato pubblico, che scorrono in sovrimpressione a favore dello spettatore) contraddice la natura anti-sociale dei personaggi. Isolati come gli ultimi di una qualche comunità primitiva e romantica in via di estinzione, i musicisti si affacciano finalmente al mondo esterno per attrazione, ma ne rimangono inevitabilmente travolti.
Un milione di visualizzazioni sul canale Youtube non corrisponde necessariamente a un seguito nella vita reale, dove nulla è empatico e ogni livello di comunicazione è compromesso dalla superficialità. La vita reale è un percorso a ostacoli che letteralmente può travolgerti se non sai gestire te stesso, le relazioni, il caos. L’arte sembra erodersi quando entra in contatto con il vortice della popolarità, quasi ne venga corrotta, fino a perdersi.
Si può analizzare Frank in molti modi. Per codici narrativi e disegno dei personaggi, si propone quasi come una parabola sull’anticonformismo o sul rifiuto di allinearsi ai codici dell’esistenza sociale. Frank nasconde il volto popolare di Michael Fassbender: indubbiamente l’idea del regista – proibire al pubblico di vedere il viso dell’attore – ha un suo morboso fascino e cattura. Ma Frank è anche un personaggio da fumetto, con quel suo faccione sorridente, la bocca grande, gli occhi tondi che ti fissano sempre, i capelli neri ben disegnati e pettinati. Frank ha i tratti dell’uomo perfetto, forse ciò che ciascuno di noi vorrebbe essere. Un giovane ferito e insicuro che annega nel suo personaggio per la paura di sopravvivere senza, di togliersi la maschera, perché la sua anima è accettata e ammirata solo se la voce esce dalla grottesca testa di cartapesta. Una grande verità emerge: nella società contemporanea degli amici virtuali e intangibili, la poesia dell’artista è il fiato che solo i simili possono comprendere. Eppure, con o senza la maschera, il rapporto con l’altro è sempre difficile, conflittuale, convulso.
Dobbiamo allora spogliarci delle nostre paure, rivelare le nostre fragilità, e avere il coraggio di intonare un «I love you all» sulle note della musica più originale, stravagante, anticonvenzionale (e quindi vera) che possa esistere.
Frank ci insegna che un viso è ingannevole, ma non le parole, l’intonazione, la gestualità. E forse tutto ruota, in fin dei conti, attorno alla ricerca di autenticità, alla corrispondenza tra il nostro essere e l’apparire. La ricerca della propria voce, o della propria musica interiore, passa attraverso l’armonia. Quando Frank descrive le espressioni del proprio viso dentro quello immutabile di cartone, la suggestione verbale ci porta a immaginare. Sappiamo che Fassbender è lì, da qualche parte, e la nostra mente se ne costruisce un’idea. Di base siamo noi spettatori a creare il suo volto sul quel corpo scenico, dai movimenti nevrotici. E sono gli altri bravissimi interpreti a riflettere la personalità sfuggente di Frank su se stessi.
Un’operazione brillante ma complessa e difficile, che il regista Larry Abrahamson accetta e vince. Si prende poco sul serio, gioca per forza di cose sul filo dell’ironia, sui canoni del surreale, combina elementi classici (la maschera, l’arte che esiste solo in sé, etc.) con suggestioni visive pop e situazioni da teatro dell’assurdo. Tutto in novanta minuti irresistibili. Ed è moltissimo. Chapeau.

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Regia: Larry Abrahamson
Sceneggiatura: Jon Ronson, Peter Straughan
Interpreti: Domhnall Gleeson, Michael Fassbender, Scott McNairy, Maggie Gyllenhaal, François Civil, Carla Azar
Anno: 2014
Durata: 95'
Musica: Stephen Rennicks
Uscita italiana: 14 novembre 2014

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