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CREED - Nato per combattere

13/1/2016

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​Il primo errore che si può commettere nell’approcciarsi a Creed, il lavoro di Ryan Coogler che recupera il personaggio di Rocky Balboa a nove anni dall’ultimo capitolo della saga (Rocky Balboa, 2006), è pensare che si tratti di un altro film sull’intramontabile stallone italiano. Coogler mette in chiaro la propria intenzione sin da subito, anzi sin dal titolo, per comunicarci che quella a cui stiamo per assistere è veramente un’altra storia. 
Adonis Johnson (Michael B. Jordan) non è uno dei tanti ragazzi del ghetto con il destino segnato tra riformatori e famiglia affidatarie. Adonis è il frutto di una famiglia frammentata e negata, sogno e ribellione all’ombra di una figura intoccabile e invadente, oggetto di contraddittori sentimenti di odio e amore filiale. Adonis è un combattente. Ha nel sangue il talento, la rabbia, la passione di suo padre, il compianto boxeur Apollo Creed. Deciso a seguire le orme di Apollo e a riallacciare un legame con la sua memoria, Adonis intende fare della boxe una professione. Chi meglio di Rocky Balboa per aiutarlo a ricostruire la figura paterna e, al contempo, insegnargli l’arte del pugilato? Ecco che il leggendario campione torna in scena. Riuscirà Adonis a sconfiggere i mostri del passato e vincere sulla sua stessa paura? Sarà Rocky in grado di superare la sua ultima grande sfida con la vita?
Pur rispettoso del valore di Rocky come icona cinematografica, mito culturale e fenomeno di costume, Ryan Coogler non tenta di rievocare il passato, che sta bene dove sta: appeso al muro di un ristorante, fotografia in bianco e nero di un’epoca irripetibile. Il regista riesce invece nell’impresa – sulla carta impossibile – di recuperare le atmosfere e i temi che di Rocky hanno decretato il successo, riempendo l’ambiente tanto caro all’immaginario post-moderno con nuovi protagonisti, nuove musiche, nuove linee narrative, nuove identità in evoluzione. Sotto l’ala di Rocky Balboa, grande come la sua Philadelphia e le sue strade periferiche, basse e ingrigite, si solleva il sipario sulla vita di Adonis, erede naturale di una nuova generazione di boxeur ma anche di spettatori. 
​
Coogler è l'autore ideale in questo senso: giovane e capace, si è fatto conoscere con il notevole Prossima fermata: Fruitvale Station, film indipendente, polemico e attuale sempre con Michael B. Jordan (bravissimo) come protagonista. Il passo verso Creed è una evoluzione più che un cambiamento. Qui Coogler ha la possibilità di esprimere le proprie qualità tecniche di regista, ma non solo. Nel confronto con storie e personaggi che sono entrati nell’immaginario collettivo, la sua unica via per realizzare un’opera originale è rielaborare rinnovando, omaggiare con ironia, suggerire una continuità senza far dipendere il film da essa. Creed funzionerebbe anche se al posto del vecchio Rocky Balboa ad allenare il giovane Adonis ci fosse un qualsiasi caratterista, perché è la storia che funziona, è la regia ad essere efficace e rigorosa. 
Ciò che ha reso Rocky un cult - la corsa nelle strade, le sequenze di allenamento che a suo tempo valsero l’Oscar a John G. Avildsen, le musiche di Bill Conti e quel mix di ironia e romanticismo - è rielaborato in una forma cinematografica diversa e nuova. Quando seguiamo Adonis allenarsi, scorgiamo l’ombra paterna e schiva di Rocky, ma vediamo il giovane Creed. E quando lo osserviamo correre per Philadelphia, tra mercatini, auto abbandonate, persone indaffarate a vivere le propria vita, Coogler capovolge la prospettiva. La macchina da presa compie un salto tecnico e concettuale fondamentale: come spettatori non abbiamo più l’ottica del corridore (come eravamo stati abituati) ma quella degli inseguitori, dei fan di un nuovo eroe del ring che non raggiunge più nessuna scalinata, ma si dirige verso la casa di Rocky. Non si onora nessuna grottesca statua, ma un uomo. Il mito osserva orgoglioso dalla sua finestra come si apre la strada verso una nuova era.
​
Sylvester Stallone è Rocky Balboa. Il suo “amico immaginario”, lo ha definito durante il discorso di ringraziamento ai Golden Globes. Il fatto è che Stallone non interpreta Rocky, ma lo diventa. Più ispirato che mai, e aiutato anche da uno script che gli permette di toccare le corde del sentimento, si cala nel personaggio – o lo fa calare su di sé – con naturalezza e bravura. Sono i piccoli gesti, la mimica, l’intonazione, quel modo timido di tenere la testa, o il costante gioco con l’immancabile cappello. Feticci, forse. Soprattutto dettagli al servizio dell’attore e della sua motivazione. Burgess Meredith aveva costruito il personaggio di Mickey su un cappello spiegazzato con la piuma da un lato, e così fa Sly.
Stallone invecchia come il suo amico immaginario, e come lui a un certo punto smette i panni del campione del mondo, o dell’eroe da box office di costosissimi, inutili action movies, e si mostra al mondo per quello che è, e che forse aveva dimenticato di essere. Un ottimo attore. L’Oscar dovrebbe essere suo non perché l’industria gli debba riconoscere di aver dato vita a un pezzo di storia del cinema, bensì perché davvero lo merita. 

Francesca Borrione

Sezione di riferimento: Film al cinema

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Scheda tecnica

Titolo originale: Creed
Anno: 2015
Durata: 133 minuti
Regia: Ryan Coogler
Sceneggiatura: Aaron Covington, Ryan Coogler
Interpreti: Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson
Musiche: Ludwig Göransson

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