Date queste premesse, sarebbe facile etichettare Confessions come il classico film di vendetta che tanto è andato di moda negli ultimi anni, da Park Chan-wook in poi; in realtà, con titoli come Sympathy for Mr. Vengeance o Old Boy, il film di Nakashima non ha proprio nulla da spartire. Ha poco, pochissimo in comune anche con il classico Rashomon, dal momento che la frammentazione dei punti di vista può a tratti richiamare il capolavoro di Kurosawa. Ma se c’è un termine di paragone che sembra interessare maggiormente al regista giapponese, questo ci sembra soprattutto Le regole dell’attrazione di Roger Avary. Ricordate? Uno dei titoli più belli (e meno considerati) degli anni Zero del Duemila, uno sguardo ferocissimo e lapidario – nel senso di definitivo, tombale – su una generazione e un mondo, quello degli anni Ottanta, che ha gettato le basi per le ceneri del presente. Ecco, Confessions è proprio questo: la lapide posta sul sepolcro di una generazione, vissuta troppo in fretta e scomparsa prima che ce se ne potesse rendere conto.
La critica più frequente, tra quelle mosse a Nakashima, riguarda la messa in scena: il regista giapponese è indubbiamente un esteta, innamorato dei ralenti e della fotografia monocromatica (in questo caso, i toni dominanti sono quelli del blu – ti ho mai detto che il mio colore preferito è il blu?), che in questo modo sembrerebbe lasciare carta bianca a tutti quei detrattori che lo accusano di anteporre lo stile ai contenuti.
Ma se abbiamo citato il film di Avary non è un caso, perché – paradossalmente – il maggior punto di forza di Confessions ci sembra risiedere proprio in quelle scelte che ad alcuni sembrano invece racchiuderlo in una teca di cristallo, quelle stesse che sembrano proiettare i suoi personaggi e i propri tormenti in un altrove lontano e nascosto da uno spettatore inerme dinanzi a ciò che viene raccontato. Confessions è davvero un incubo dai toni dichiaratamente pop (anzi, POP, come “il suono di qualcosa di importante che scompare”), che racconta un universo di solitudine e mancanza di amore con quello stesso linguaggio attraverso il quale i suoi protagonisti cercano di comunicare tra di loro; è il film giovanilistico nel senso più puro del termine, quello definitivo, perché mostra la gioventù attraverso le sue canzoni, i suoi umori, i suoi linguaggi (i ripetuti dettagli sugli sms), e alla fine distrugge ogni cosa.
Confessions è il college movie catastrofico per eccellenza, che punta sì il dito contro un’istituzione e una specificità geografica (il sistema scolastico giapponese), ma che allo stesso tempo si fa universale e immediatamente riconoscibile da tutti. Il mondo degli adulti e quello dei loro figli, le mancanze dei primi e le conseguenze (bestiali, drammatiche, quasi orrorifiche) sui secondi. È eccessivo, certo: è ridondante, caotico e slabbrato. Forse è anche autocompiaciuto, nel suo progetto deflagrante ed esplosivo – in tutti i sensi. Ma è così che deve essere, perché è cinema vivo, che gioca con la struttura narrativa in maniera sorprendente e mai fine a se stessa (nonostante ad alcuni possa sembrare il contrario); che costruisce immagini e inquadrature talmente rigorose da sembrare finte: ma se lo fa, è solamente per poterle distruggere. Che il mondo finisca con un sospiro o con un boato, a questo punto, non fa più alcuna differenza.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Kokuhaku
Regia: Tetsuya Nakashima
Sceneggiatura: Tetsuya Nakashima
Musiche: Toyohiko Kanahashi
Fotografia: Masakazu Ato e Atsushi Ozawa
Durata: 106’
Anno: 2010
Uscita in Italia: 9 maggio 2013
Attori principali: Takako Matsu, Yukito Nishii, Ai Hashimoto, Kaoro Fujiwara, Yoshino Kimura