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CAROL - Ciò che il paradiso concede

30/12/2015

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La carriera di Todd Haynes è per il cinefilo un materiale su cui misurarsi e rimuginare, su cui riflettere e appassionarsi. Slegato e diviso, – come sarebbe d’altronde possibile affrontare con lo stesso metro critico opere quali, per puro esempio, Poison, Velvet Goldmine e Safe? – il corpus autoriale del regista americano urla passioni contrastanti che, tra slanci spettacolari e sommessi racconti introspettivi, trova infine un compromesso poetico che concilia un delicato equilibrio; le esplosioni segniche di Velvet Goldmine e la pacatezza introversa di Safe fanno parte della medesima anima, una relazione tra interno ed esterno dalla quale è impossibile fuggire. 
Carol, sesto lungometraggio per Haynes, atteso a inizio gennaio nelle sale italiane, è l’adattamento di The Price of Salt, celebre romanzo scritto da Patricia Highsmith negli anni Cinquanta, che fu immediatamente oggetto di critiche perbeniste a causa della libertà con cui la scrittrice descriveva i sentimenti e le pulsioni delle due protagoniste.
Nonostante la sceneggiatura non sia da attribuire ad Haynes – prima volta che accade nella sua carriera –, ma a Phyllis Nagy, il testo si presenta come perfetto materiale di incontro tra la prassi filmica del regista, gli espliciti temi omosessuali che ne hanno largamente e profondamente caratterizzato la filmografia (per i quali è stato inoltre etichettato come nuovo esponente di punta di un certo “queer cinema”) e come liaison tra Lontano dal paradiso e un più moderno approccio al melodramma.
Se il “melò” era, nella sua epoca d’oro, un genere per sole donne, poiché gli uomini erano in guerra o impegnati in altre attività, Carol è un’opera che distanzia e oppone i sessi: i cosiddetti maschi sono difatti costretti a ruoli marginali, per soffermarsi e concentrarsi sul legame improbabile tra due donne di differente età ed estrazione sociale. 
Therese è una ragazza giovane e bella che lavora in un grande centro commerciale; l’incontro con la matura Carol è casuale, ma l’interesse che nasce tra le due è immediato ed affascinante. È un amore inaspettato quello tra Therese e Carol, quest’ultima intrappolata in un matrimonio dal quale cerca d’uscire senza perdere la custodia della piccola figlia. Ma come il sottotitolo di questa recensione suggerisce, ciò che il paradiso concede (omaggio a All That Heaven Allows di Douglas Sirk) – ovvero la libertà sentimentale che le due hanno la possibilità di esperire – avviene all’ombra della società perbenista e patriarcale degli anni Cinquanta, un decennio in cui il modello americano era esportato, ma allo stesso tempo messo in pericolo dalle correnti comuniste tanto osteggiate dal maccartismo.
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Il film di Haynes è ambientato in un periodo storico unico, in cui la società seguiva un cammino stabilito dalle regole non solo sociali, ma soprattutto morali. Carol è costretta dalla sua coscienza a prendere atto della sua insoddisfazione riguardo al matrimonio con il marito Herge; allo stesso tempo, Therese semplicemente non vede il proprio futuro accanto al fidanzato Richard, che vorrebbe sposarla e metter su famiglia.
Tutti i personaggi che si trovano a calcare il palco di questo dramma cercano, a loro modo, di raggiungere la felicità o il suo modello. Per alcuni è rappresentato dall’accettazione dello – e nello – status quo, per altri, le due protagoniste in questo caso, la verità dei loro sentimenti non può essere proiezione di desideri altrui. Carol e Therese sono così costrette a riflettere sulle vite che si sono costruite e che hanno accettato. Intervistata al riguardo, Phyllis Nagy afferma che «Carol è una storia d’amore che tende a dimostrare come la verità sia in assoluto il miglior tonico. Se sei emotivamente onesto con te stesso, su chi sei e in cosa credi, le cose potrebbero non andarti bene, ma sarai certamente una persona migliore».
L’allontanamento volontario delle due protagoniste, allo scopo di stare sole e serene, trasforma l’opera filmica quasi in un road movie, in cui la distanza dalla società significa possibilità per le due amanti. È solo lontano dal paradiso/società, ovvero il luogo delle convenzioni e della cattività, e alla sua ombra, che vi è la possibilità di salvezza – sentimentale, ovviamente. Il regista americano, come nel precedente Far from Heaven, continua un discorso su coloro che sono inclusi o esclusi dall’eden, sulle scelte personali e sulla rottura delle norme. Sirk e Fassbinder sono dietro l’angolo, ma non si scorgono all’interno del lavoro di Haynes, che trova una coesione perfetta tra ciò che la macchina da presa mostra e ciò che lui stesso vuole dire; perché si può essere estremamente diretti e usare un linguaggio cinematografico molto semplice per offrire un’immagine chiara di ciò che sentimento e sofferenza possono essere sullo schermo. 
Un Todd Haynes in stato di grazia, e una prova attoriale di grandissimo livello delle splendide protagoniste Rooney Mara e Cate Blanchett, regalano allo spettatore un’opera perfetta che tratta un argomento mai abusato, poiché la nostra società, alle grandi falcate verso la modernità e le libertà individuali, contrappone purtroppo piccoli passi indietro che bisogna correggere con intelligenza e lungimiranza.

Emanuel Carlo Micali

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Carol
Anno: 2015
Regia: Todd Haynes
Sceneggiatura: Phyllis Nagy, Patricia Highsmith
Fotografia: Edward Lachman
Musiche: Carter Burwell
Durata: 118’
Uscita italiana: 5 gennaio 2016
Attori principali: Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler

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