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BARRY LYNDON - L’identità mancata dell’eroe

13/1/2015

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Barry Lyndon è l’opera mondo del regista più lucido e implacabile, morbida ma acuminata, stretta e tesa sui suoi personaggi come la morsa che la storia piega sulle carni, strozzando il sogno, l’ambizione, la voce che invoca: “Perché dovrebbe essere come con tutti gli altri?”. Eppure così, come con tutti gli altri, finisce la vita di Lyndon, mancato lord e mancato eroe, schiacciato da una vacua metà di secolo, amputato e povero. 
Barry Lyndon è un film troppo sfaccettato e complesso per reggere dentro a una cornice, come anche dentro al più esaustivo degli inquadramenti critici. Scorre piano e passa in fretta: i personaggi, introdotti decisi agli affari del mondo, non chiariscono mai volontà e sentimenti, limitandosi a reagire come iniqui servitori al destino prescritto e visivamente inscritto, presagito dalla narrazione di Stanley Kubrick. 
Pensiamo al primo fotogramma, un vasto orizzonte in fondo al quale il padre di Barry viene ucciso in un duello d’onore per l’acquisto di un cavallo. Il duello è la logica su cui si può argomentare (ma non esaurire) la facciata ben nascosta del film e della società che inquadra. Il duello settecentesco è esso stesso una facciata senza scopi pratici, un puro capriccio per spargere l’onore creduto offeso, uno sfogo in cui si può essere perduti in partenza. La vita e la morte sono affidate al primo che sparerà e alla mano che sarà meno esitante. Decidere della propria sorte è impossibile: così risuona la verità del duello che è verità esistenziale, ben coperta sotto le divise inglesi e prussiane, ridicole nelle parate e nei combattimenti sempre scanditi da marcette fischiettate. 
È verità tenuta sotto polvere, nelle stanze imponenti, tra i cimeli e le varie sconfitte accatastate. Il mondo non ha la forza di leggerla negli eventi e reagisce iniquamente, perpetrando il rituale aristocratico oppure sgranando gli occhi smarriti fino alla fine come fa Lady Lyndon, non più conformista del marito e del primo figlio, l’orrendo Lord Bullington. 
Kubrick non è un pessimista: è troppo lucido e severo per cedere alle pensosità e ai livori dei misantropi. Se nel romanzo di Thackeray (Le memorie di Barry Lyndon, 1844) è la prima persona di Barry a fare da contrappunto ironico agli eventi in cui incappa, qui è il narratore disincarnato, voce della storia che commenta con tremenda razionalità e chiarezza. 
Cos’è la storia in Barry Lyndon? È un mondo apparso dal nulla, già sfarzoso e senza scopi, terra di reclutamenti per il nutrimento di guerre senza ragioni, dove ci si deve inventare identità, ruoli e titoli per tirare avanti ritardando la sconfitta. La storia è un tableaux vivant con personaggi appesi a una parete, pupazzi imparruccati, de-pensanti nel gioco, in amore, in società. E a Barry, uomo che è niente perché può essere tutto, nella prima parte del film è negata la possibilità di un’identità stabile. 
Vincitore di un duello d’amore (in realtà inscenato per allontanarlo da casa), soldato per necessità dopo un furto, prima scampa alla guerra rubando i panni di un suo superiore, poi si traveste per passare il confine prussiano e riguadagnare la libertà: nella vita scoscesa di Lyndon i cambiamenti, piccoli e grandi, avvengono tutti nel segno di una finzione o di un furto di identità. Barry non può vincere essendo se stesso, ma solo ingannando e approfittando di una favorevole e casuale congiunzione di eventi. Non ha talento alcuno, è un personaggio aperto alle possibilità dell’esperienza e dall’esperienza è infine scalzato, incagliato in un amore che è niente in partenza quando su un balcone incontra le labbra esangui di Lady Lyndon.  
È il gioco della finzione estrema quello di Kubrick, dove il gesto è talmente pregnante da risultare sempre gesto rituale, che si tratti di un duello d’onore o di un gioco a carte, un pranzo galante o l’innocente scherzo d’amore del fazzoletto con la cugina. L’intero mondo inquadrato è immagine in movimento estremamente connotata dalle scenografie di Ken Adam e dalla fotografia di John Alcott; non è per Kubrick un vezzo di maniera, ma una necessità estetica, perché la società settecentesca (solo settecentesca?) vive nell’assorta esposizione di se stessa, esiste per essere sfarzosa e immobile, colma di gioielli e mobilio, vuota di coscienza e memoria. 
Barry e consorte, capitani, lord, reverendi, chevaliers, re: belle statuine cave all’interno e animate per la loro ultima volta di fiochi contorni, come fioca è la luce dei candelabri e delle lampade a olio.

Matteo Mele

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Barry Lyndon
Anno: 1975
Durata: 184’
Regia: Stanley Kubrick
Interpreti: Ryan O’Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Marie Kean, Murray Melvin
Sceneggiatura: Stanley Kubrick
Fotografia: John Alcott
Scenografia: Ken Adam
Costumi: Milena Canonero

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