Lo stesso contesto storico, del resto, da solo spiega tantissimo: Ascensore per il patibolo esce nelle sale nel 1957, anticipando di pochissimo la rivoluzione della Nouvelle Vague e, allo stesso tempo, facendosi carico dell’eredità del polar metropolitano che aveva visto in Jean Pierre Melville il suo pioniere più rappresentativo. Non è un caso, allora, che il film si ponga esattamente a metà strada tra il noir e il melò, attingendo da entrambi i generi senza però appartenere compiutamente all’uno né all’altro. Un oggetto vivo e magmatico, in costante divenire, dalla progressione narrativa sperimentale e quasi improvvisata, come se si trattasse di una partitura jazz cadenzata dalla tromba di Miles Davis in colonna sonora.
La sequenza di apertura, poi, è già storia: il dialogo tra due amanti al telefono, la macchina da presa incollata in un primissimo piano sugli occhi di lei (Jeanne Moreau), per poi allargarsi quasi timidamente, nel timore di lasciarla scappare via; il tutto mostrato attraverso un montaggio libero e (apparentemente) senza regole, quasi a voler anticipare il capovolgimento delle convenzioni stilistiche, il loro superamento, che sarebbe arrivato di lì a pochissimo (Fino all’ultimo respiro di Godard è del 1960).
Tratto da un romanzo di Noèl Calef, Ascensore per il patibolo racconta la vicenda dei due amanti Florence e Julien, in procinto di uccidere il marito di lei simulandone il suicidio. Il piano riesce, ma il destino ci mette lo zampino e Julien rimane bloccato tutta la notte dentro un ascensore, mentre Florence vaga ossessivamente per la città alla sua ricerca. Nel frattempo, l’auto di lui viene rubata da un giovane sbandato insieme alla sua ragazza, e i due la utilizzeranno per compiere un omicidio del quale verrà incolpato Julien.
Nelle mani di Malle, un intreccio fin troppo denso di colpi di scena si trasforma immediatamente in altro: capovolgendo le regole del noir (contrariamente ai luoghi comuni del genere, l’omicidio passionale avviene all’inizio e fin troppo facilmente, senza incontrare alcuna difficoltà) e innescando continuamente nuovi motori narrativi, l’esordiente regista compie una personalissima riflessione sul rapporto indissolubile tra amour fou e destino, impedendo di fatto allo spettatore di identificarsi in alcun personaggio, poiché nessuno è esente dal peccato.
Un viaggio al termine della notte lucido e spietato, come nella migliore tradizione noir, nel quale la felicità è un miraggio costantemente inseguito ma impossibile da raggiungere, esattamente come il peregrinare notturno di Jeanne Moreau sulle note di Miles Davis, vera e propria digressione stilistica che manda in frantumi le rigide geometrie del genere, catapultando violentemente all’interno del film una sensibilità romantica e morbosa, malinconica e disperata. Non è un caso che i due amanti non compaiano mai nella stessa inquadratura e nella stessa scena (fatta eccezione per alcune fotografie mostrate nel finale), condannati da un fato implacabile che impedisce il coronamento del loro amore – la splendida scena della telefonata nella già citata sequenza di apertura sembra allora già presagire le distanze incolmabili tra i due destini.
Un film fatto di contraddizioni e di elementi in aperto contrasto tra di loro, come il rapporto tra spazi antitetici (l’ascensore claustrofobico e soffocante in contrapposizione alle strade immense di una Parigi meravigliosamente notturna), ennesima rimarcazione di due mondi e universi che non potranno mai incontrarsi.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Ascenseur pour l'échafaud
Regia: Louis Malle
Sceneggiatura: Roger Nimier, Louis Malle
Attori: Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Georges Poujouly, Yori Bertin, Lino Ventura, Ivan Petrovich, Elga Andersen
Anno: 1957
Durata: 88’
Fotografia: Henri Decaë
Musica: Miles Davis
Uscita italiana: 4 aprile 2016 (riedizione)
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