ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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LA CASA SUL MARE (La Villa) – Al centro del mondo

5/5/2018

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​A volte accade. Succede che scopri un autore e te ne “innamori”, al punto di iniziare a seguirlo con assoluta e viscerale fedeltà lungo gli anni, ricavando la gioiosa impressione di incontrare un caro amico ogni volta che ti appresti a vedere un suo nuovo film. 
A volte accade. Sovente, a dire il vero. Ma raramente con un'intensità tale da superare i confini della semplice ammirazione. Per certi versi è ancora più bello se ciò si verifica con un autore non di primo piano, diciamo pure di nicchia; perché così lo senti ancora più “tuo” e l'affezione per lui assume contorni ancora più speciali. A maggior ragione se nel corso del tempo ti rendi conto di amare così tanto un personaggio che ti conferma in ogni occasione una qualità fondamentale, purtroppo troppo spesso trascurata o sbeffeggiata: la coerenza. 

L'esempio di Robert Guédiguian reca in sé aspetti assai poco paragonabili a qualsiasi altro regista. Sia per come ha sempre portato avanti la sua carriera innalzando la suddetta coerenza a tratto imprescindibile e intoccabile del suo cinema, sia per la magia con cui si è costruito intorno una vera e grande famiglia che lo accompagna con immutabile fedeltà da oltre 30 anni. Una famiglia che da un lato trascende l'arte per abbracciare la realtà (Ariane Ascaride, musa sullo schermo e fedele compagna nella vita) e dall'altro si rifugia proprio nell'arte per richiamare, ancora e sempre, gli stessi attori/amici (Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet). Loro, ancora loro, sempre loro, con lui dall'inizio, sin dal primo lungometraggio (Dernier été, 1980, dove già c'erano la Ascaride e Meylan) o arrivati poco dopo (Darroussin in Ki lo sa, 1985) per poi non andarsene più. 
La lieta famiglia di Guédiguian non si è mai smembrata, si è rinfrescata dotandosi di nuovi membri (Anäis Demoustier), è nel frattempo ovviamente invecchiata, ma è sopravvissuta a tutto, con incredibile costanza, riunendosi felicemente per l'ennesima volta all'alba del 2017, per dare vita, corpo e anima a La casa sul mare (La Villa), ventesimo lungometraggio dell'autore marsigliese, presentato e applaudito al festival di Venezia e per fortuna approdato alcuni mesi dopo anche nelle sale.

L'amicizia e gli affetti della vita reale, in La Villa, si fondono ancor più del solito con la finzione scenica. La Ascaride, Meylan e Darroussin (tutti e tre magnifici, come sempre) interpretano infatti tre fratelli che dopo tanti anni di separazione si ritrovano nella loro casa d'infanzia, affacciata sul mare, al capezzale del padre, colpito da un ictus all'apparenza irreversibile. Angèle è un'attrice segnata dal lutto, perché proprio in quel luogo 20 anni prima aveva perduto una figlia, tragicamente annegata, e da quel momento non aveva più voluto tornare vicino a quelle acque, simbolo di un dolore mai rimarginato. Joseph è un ex sindacalista votato alla lotta operaia, un aspirante scrittore disilluso e colpito dalla perdita del posto di lavoro e da una depressione mai superata, nonostante uno spirito sagace e la dolce presenza al suo fianco di Bérangère, fidanzata molto più giovane di lui. Armand è invece un uomo semplice, rimasto sempre lì a fianco del padre, per mantenerne in vita ideali e ambizioni (il ristorante a prezzi bassi per gente con pochi soldi) e salvaguardare la terra natia dagli inevitabili cambiamenti del tempo. 
Intorno ai tre fratelli, all'improvviso di nuovo insieme dopo 20 lunghi anni, si muovono figure di contorno solo in apparenza secondarie, come Martin, vecchio amico che non vuole in alcun modo accettare l'aiuto del figlio per il proprio sostentamento e progetta, insieme all'amata compagna, una fuga “definitiva”, e Benjamin, giovane pescatore follemente innamorato di Angèle e capace di recitare a memoria intere opere teatrali.
Cambiamenti, si diceva. In quel posto davanti al mare nulla è più come in passato. I turisti se ne sono quasi tutti andati, la gente vende le proprie case, le feste e l'eccitazione fremente di una volta non esistono più. Ma forse sono soprattutto loro, i protagonisti della vicenda, a essere cambiati, marchiati dal destino, da fortune e sventure, da scelte giuste o errate, da vittorie e sconfitte. Eppure, per qualche giorno, quel piccolo angolo di Francia diventa “il centro del mondo”, un nucleo in cui accadono eventi imprevisti e incontri sorprendenti, amori nascono e altri intrecciano le proprie mani per l'eternità, si riacquistano sorrisi smarriti nell'oblio e si acquisiscono consapevolezze, rinasce la speranza e appaiono nuovi sogni. Perché sì, è evidente, tutto “era meglio prima”; ma ciò non significa che anche adesso non possa palesarsi qualcosa di magico, forse perfino di miracoloso. Un qualcosa destinato a mutare percezioni del presente e proiezioni future.
​Così, proprio lì, “au centre du monde”, da dove si era fuggiti per sopravvivere e dove si è tornati controvoglia, forse alla fine si vorrà perfino rimanere. Magari per sempre.

Purezza. In questo parola risiede la coscienza più profonda del film. Guédiguian parla d'amore soffiando su melodie intime e soavi, rimpiange il passato dandosi (e dandoci) però anche speranze per l'avvenire, conferma se stesso e ci culla con un delicato racconto che commuove con semplicità. Non siamo di fronte a una favola (come nel recente Au fil d'Ariane), né a una storia che sfocia nella Storia (come in L'armée du crime o Une histoire de fou). È forse un lavoro che si avvicina di più alle opere giovanili dell'autore; non a caso Guédiguian, oltre a citare Claudel e Brecht, cita se stesso (inserendo una giocosa scena tratta da Ki lo sa, con la triade Ascaride-Darroussin-Meylan presente al gran completo), ma non si vede alcun tipo di arroganza o supponenza in una scelta simile. È semplicemente un omaggio alla giovinezza ormai lontana, sua e dei suoi attori/compagni/amici, e al contempo un messaggio dedicato alla vita che avanza, colpisce, ferisce ma non si spegne. 
L'ultima parte, in cui il racconto intimo dei protagonisti si allarga a tematiche attuali inerenti l'immigrazione, riconduce parzialmente al Kaurismaki di Miracolo a Le Havre e L'altro volto della speranza. Un elemento narrativo forse non indispensabile, che peraltro si amalgama senza difficoltà al resto dell'opera e nulla toglie alla concretezza della pellicola, acuendone anzi i tratti rivolti al senso atavico dell'umana solidarietà. E se è vero che La casa sul mare non tocca i picchi emotivi di opere come La ville est tranquille, Marius et Jeannette e À la place du coeur, è altresì vero che davanti a un simile dipinto filmico, candido e colorato di bontà, rispetto e sensibilità, non si può che ringraziare per l'ennesima volta Monsieur Guédiguian e la sua splendida famiglia. Artisti di grandissimo spessore e persone vere, avvolte da legami profondissimi, da fili impossibili da spezzare, da sentimenti che non finiranno mai.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose, Film al cinema

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Scheda tecnica

Titolo originale: La villa
Anno: 2017
Durata: 117'
Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Serge Valletti e Robert Guédiguian
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Attori: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin

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DE BON MATIN - La via del fallimento

24/7/2015

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Diretto da Jean-Marc Moutout, marsigliese, in precedenza autore soprattutto di corti e documentari e interpretato da uno strepitoso Jean-Pierre Darroussin, attore di altissimo livello mai abbastanza celebrato, De Bon Matin, presentato al Noir Fest di Courmayeur nel 2011 e mai distribuito in Italia, è un film che riesce, con intelligenza e abilità, a mettere in scena una tragica storia realmente accaduta; un racconto di dolore e fallimento, ambientato tra i miasmi della crisi economica che negli ultimi anni ha colpito con durezza gli istituti finanziari di tutta Europa.

Paul, come ogni mattina, si alza dal letto e si prepara per recarsi presso la Banca dove da tanti anni è impiegato. Prende il bus, osserva i volti della gente, giunge a destinazione, cammina verso la sua scrivania. Sembra una giornata uguale a tante e tante altre. Prima di accomodarsi al suo posto, però, Paul estrae una pistola e uccide a bruciapelo due colleghi. Dopodiché l’uomo, chiuso in ufficio, in attesa dell’arrivo della polizia, riflette e ripercorre le tappe della storia che lo ha portato sino al punto di non ritorno. Noi la riviviamo con lui.

L’etica del lavoro. La carriera come missione materiale e spirituale. L’impegno assoluto e costante nella propria mansione. La Banca come panacea di ogni sogno e speranza. La crescita individuale da inseguire a braccetto con il benessere aziendale. L’orgoglio per l’abilità nel mestiere che si svolge. L’apprezzamento di chi ogni giorno ti sta intorno. La spersonalizzazione dell’individuo, accettata senza remore per il rapporto di fiducia con l’Istituto sociale. Il benessere borghese sfruttato ma mai ostentato. L'amore di una famiglia normale e per questo eccezionale. 
Poi, all'improvviso, le tappe del dramma. La crisi, i tagli, i costi da limare. Giovani rampanti pronti a superarti e toglierti la sedia. Cambi in sede direttiva. Segnali d'insofferenza da parte dei nuovi capi. Prestazioni giudicate non più all'altezza. Vendette trasversali. Logiche hobbesiane per le quali calpestare ogni diritto di anzianità. Tasselli di un mosaico che si spezza, in silenzio, jour après jour, disintegrandosi tra le onde della tempesta, sino al nadir della coscienza.
Paul è un uomo come tanti. Ha dedicato l'esistenza al lavoro e ha condotto il lavoro al cuore dell’esistenza. Quando le certezze professionali iniziano a vacillare, fagocitate dal mostruoso gorgo della crisi finanziaria, la sua corazza si apre, si sfalda, rivelando la nudità fisica e psicologica che si nasconde dietro la cravatta d’ordinanza. Da lì allo sfacelo, il passo è breve e radicale.

Per raccontare questa storia, accaduta nella Svizzera tedesca ma per l’occasione trasferita in Francia, Jean-Marc Moutout sceglie una narrazione a gambero. Dal presente scendiamo nel passato, in un gioco a incastro che riassume e collega i frammenti della tragedia. La messinscena è solida, sicura, spezzettata ma ordinata e capace di fermarsi al momento giusto, sempre, evitando qualsiasi pleonasmo. Un film di alto valore culturale e morale, grazie al quale assistiamo a un’acuta riflessione ontologica sulle logiche arriviste che dominano la società contemporanea. Il dramma intimo di un uomo si espande, nutrendosi con il conflitto sociale; nel volto scavato, negli occhi tristi e nelle sensazioni cangianti di un magnifico Darroussin, qui ben lontano dai  divertissement guédiguiani (come il recente Au fil d'Ariane), il muro dell’omertà giunge fino a noi, catapultandoci in un incubo esistenziale da cui non ci può essere alcun risveglio.
Nel momento in cui la catastrofe è ancora in nuce, Paul è seduto nello stanzino dello psicologo del lavoro; cerca di aprirsi, confida la soffocante sensazione di sentirsi ormai inutile. Il dottore a un certo punto gli chiede: “le capita ogni tanto di aver voglia di piangere?”. Una domanda imbarazzante, a cui l’uomo risponde “sempre, in ogni momento”. Ma le lacrime restano lì, inespresse e inesplose, aspettando di trovare la loro malsana consacrazione, in un unico, insano e disperato gesto che decreta una sconfitta definitiva, e che al contempo è atroce catarsi di uno strazio ormai insostenibile. 
De Bon Matin è un’opera lucida e attenta. Non sbaglia nulla, non si compiace, non perde mai la strada e indovina una scena finale bellissima, nella quale la macchina da presa, muta e crudele, indaga per qualche secondo le vite degli altri, ponendosi un quesito tanto ovvio quanto lancinante, ovvero: chi sarà il prossimo?

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Regia: Jean-Marc Moutout
Sceneggiatura: Jean-Marc Moutout, Olivier Gorce, Sophie Fillières
Fotografia: Pierric Gantelmi d'Ille
Attori: Jean-Pierre Darroussin, Valérie Dréville, Xavier Beauvois, Yannick Renier
Anno: 2010
Durata: 91'

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AU FIL D'ARIANE - La lieta favola di Guédiguian

21/4/2015

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Ariane compie 50 anni. Prepara la torta di compleanno, si appresta a spegnere le candeline. Ma è sola. Il marito e i figli le mandano a casa mazzi di fiori e le lasciano messaggi d'auguri in segreteria. Ma non sono lì, non sono presenti. Per sfuggire alla tristezza della situazione la donna d'istinto esce di casa, sale in macchina e si dirige non sa nemmeno lei dove. Nei pressi di un ponte levatoio accoglie l'invito di un ragazzo sconosciuto, abbandona l'auto e si lascia portare in una trattoria situata vicino al mare. 
Una volta giunta all'imprevista destinazione, Ariane taglia i contatti con la sua normale vita di sempre e si lancia in un'avventura durante la quale, nei giorni successivi, farà la conoscenza di una serie di personaggi assai inconsueti: un tassista che possiede 45 gatti a cui fa ascoltare musica classica, un ristoratore di mezza età scorbutico e in perenne conflitto con il mondo, un anziano scrittore/filosofo che finge di essere americano, un pensionato di colore che ogni notte piange di nostalgia ripensando ai 30 anni trascorsi come custode al Museo di Scienze Naturali, un'avvenente ragazza che divide il suo tempo tra il lavoro di commessa e quello ben più redditizio di prostituta, il suo gelosissimo fidanzato... e una tartaruga parlante. Circondata dalla bizzarra “comunità” Ariane stravolge ogni vecchia abitudine, dorme in barca, si reinventa come cameriera e cerca di aiutare ognuno dei nuovi amici a combattere le proprie malinconie. 
Ma tutto questo sta accadendo veramente? Oppure è soltanto un sogno? O una via di mezzo tra l'immaginazione e la realtà?

Robert Guédiguian è un regista a cui non si può non voler bene. Parliamo di un autore, purtroppo poco conosciuto in Italia, che da più di trent'anni porta avanti con invidiabile coerenza un'idea di cinema sempre fresca, gradevole, efficace nella sua semplicità, insieme a un gruppo di attori e tecnici con cui, caso forse unico al mondo, ha costruito una grande famiglia che lo accompagna praticamente in ogni film sin dagli esordi nei primi anni Ottanta, con straordinaria fedeltà. Sempre loro, ogni volta, a partire dalla musa e compagna di vita Ariane Ascaride per arrivare agli immarcescibili Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan e Jacques Boudet. 
Non a caso sono tutti presenti anche nella penultima fatica del loro mentore, Au fil d'Ariane, uscita in Francia a giugno 2014, presentata a Torino in occasione del festival Rendez-Vous e accompagnata a fine proiezione da un vivace dibattito in cui lo stesso Guédiguian, con la consueta classe, ha risposto alle numerose domande del pubblico, difendendosi anche, con il garbo che sempre lo contraddistingue, dalle “accuse” inventate da qualche frustrato intellettualoide che ha cercato di seminare zizzania con incomprensibili sproloqui totalmente fuori luogo.

Cinema fresco e semplice, si diceva. Un aggettivo che ben si confà a tutta la carriera di Guédiguian e che trova piena conferma in Au fil d'Ariane, lavoro girato in poche settimane i cui intenti si scoprono senza alcuna remora sin dai titoli di testa, durante i quali l'originale dicitura “une fantaisie de...” sostituisce il classico “un film de...”, sottolineando senza possibilità di errore l'intenzione ricreativa del racconto che ci si appresta a scoprire. 
Aiutandosi con un ampio spettro musicale che coinvolge Schubert, Rossini, Verdi e il cantautore popolare Jean Ferrat, Guédiguian mette in scena una piccola e lieta favola contemporanea, in cui una donna cerca di sfuggire alla solitudine che la attanaglia e all'omologazione della città gettandosi a capofitto, da un istante all'altro, in una vita nuova e rigenerante a contatto con la natura e il mare. Al tempo stesso la protagonista Ariane sfrutta i nuovi orizzonti che le si aprono per tentare di realizzare sogni mai espressi, veleggiando lungo un binario diretto verso singulti di libertà mai sperimentati prima. In questo modo il film (anzi, la fantasia...) assume i contorni di una riflessione sulla possibilità di reinventare se stessi a qualsiasi età, senza dimenticare la chiara indicazione rivolta verso l'opportunità di risolvere i propri conflitti interiori aggrappandosi alle genuine bellezze che il mondo, scavando oltre al grigiore delle apparenze, può forse ancora offrirci.
Per cento minuti l'autore marsigliese ci trasporta in un mondo sopra le righe, pieno di sole e di colore, in cui può anche succedere che all'improvviso, morettianamente, tutti i personaggi si mettano a cantare e ballare, e ci invita a divertirci con giochi cinefili sparsi, accumulando citazioni (anzi, reverances) riferite a Pasolini, Godard, Sartre, Cechov, Brecht e Fellini e facendo indossare all'amata Ascaride lo stesso costume utilizzato in Cabaret di Bob Fosse. I suoi attori-feticcio si divertono con lui e con noi, sdoppiandosi e triplicandosi, scomparendo e riapparendo con sembianze e ruoli diversi. Accanto a loro conquistano spazio anche le ultime arrivate “in famiglia”, ovvero le giovani Anaïs Demoustier, ora sugli schermi italiani nell'ottimo Une Nouvelle Amie di Ozon e già con Guédiguian nel 2011 in Les Neiges du Kilimandjaro e Lola Naymark, che si esibisce in un coraggioso nudo integrale e che già aveva lavorato con lui nel 2009 per L'armée du crime. 

Au fil d'Ariane conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, l'amore dell'autore per il suo mestiere, pur trattandosi di un'opera minore e senz'altro non di qualità eccelsa. Sembra più che altro una rilassata rimpatriata tra amici che si conoscono da una vita e si ritrovano una sera, davanti a una birra, per concepire una divertente e innocua avventura vagamente esotica. Senza alte pretese, ma solo per il puro gusto di sorridere, intrattenere e provare magari a sognare un po', prima di tornare in quel rifugio fondamentale chiamato casa e ridisegnare, forse, le sembianze della realtà.
A novembre uscirà (in Francia) il nuovo film del regista, Une histoire de fou, lavoro più impegnato e impegnativo dato il tema trattato (il genocidio armeno). In attesa di vederlo abbracciamo con gioia la piccola favola di Ariane, ribadendo il concetto già sopra espresso: non si può non voler bene a Robert Guédiguian.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: Au fil d'Ariane
Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Robert Guédiguian e Serge Valletti
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Musiche: Gotan Project
Durata: 100'
Anno: 2014
Attori: Ariane Ascaride, Jacques Boudet, Jean-Pierre Darroussin, Anaïs Demoustier, Youssouf Djaoro, Gérard Meylan, Lola Naymark

Estratto dell'incontro con Robert Guédiguian, Cinema Massimo, Torino, 13 aprile 2015.
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L'ARMÉE DU CRIME - Morire per la libertà

8/4/2014

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Morti per la Francia. Morti per la libertà. Morti in nome di un ideale con cui vendicare i soprusi della dominazione. Ventidue uomini e una donna, partigiani comunisti, pronti ad ammazzare pur di combattere l'occupazione nazista a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale. Una squadra compatta nel sentimento ma diversificata nella provenienza geografica e culturale: francesi, spagnoli, armeni, americani, italiani. Con loro, intorno a loro, mogli e madri, fratelli e padri, avvolti ogni giorno nella paura di veder uscire di casa le persone amate e non ritrovarle mai più. Un piccolo esercito che uccide i soldati tedeschi in strada, fa scoppiare bombe nelle librerie, si insinua nelle feste di regime per lasciare un segno indelebile, dipinto nel sangue, simbolo di una battaglia per la quale sopportare tutto, fughe e privazioni, torture ed esecuzioni, sventolando il vessillo dell'indipendenza.

La retrospettiva integrale dedicata a Robert Guédiguian durante il Bergamo Film Meeting 2013 si è rivelata un evento di altissimo spessore cinefilo, una delizia a cui è stato un piacere e un privilegio partecipare. A un anno di distanza torniamo con piacere nell'universo del bravissimo autore francese, per raccontare un lavoro, uscito nel 2009 e presentato fuori concorso a Cannes, che in apparenza si situa assai lontano dalle abitudini del regista marsigliese. In L'armée du crime Guédiguian abbandona i sobborghi cittadini e la contemporaneità operaia, protagonisti di tutta la sua carriera, per rielaborare una storia ambientata nel passato e realmente accaduta. Il film narra la formazione della banda capitanata da Missak Manouchian, attraverso microstorie che seguono i singoli personaggi dai primi isolati tentativi di ribellione sino all'approdo nel contingente terroristico, per poi giungere all'inevitabile repressione dell'organizzazione e al suo smantellamento.
A un primo livello di lettura, l'opera in questione parrebbe presentarsi come un oggetto totalmente estraneo alla poetica guédiguiana, fedele a se stessa tanto da girare sempre “lo stesso film” trovando però ogni volta significazioni nuove e apprezzabili. In realtà, invece, L'armée du crime non naviga così lontano dai topoi classici dell'autore, e non ne rinnega affatto le connotazioni essenziali: anche qui, infatti, pur in un contesto assai differente, assume un ruolo primario la centralità del nucleo familiare, fulcro intoccabile da cui dipanare i fili del racconto. I partigiani parigini e gli operai del vecchio porto di Marsiglia sono in fondo due facce della stessa medaglia, raccolta nel bisogno di lotta come affermazione al contempo individuale e sociale. Anche qui, inoltre, il senso primario dell'umana solidarietà raggruppa i protagonisti in piccoli nidi in cui stringersi tutti insieme per difendersi gli uni con gli altri, senza limitare le scelte private ma offrendo sempre un riparo e una spalla, una minestra calda e un sorriso, un letto e un abbraccio.
Per realizzare il suo film forse più ambizioso, Guédiguian prende in mano la vicenda reale e la modifica per aumentare e sottolineare l'intento pedagogico, avendo peraltro l'umiltà di ammetterlo senza remore in una didascalia che appare prima dei titoli di coda. In una narrazione che non ha un vero e assoluto protagonista, il minutaggio maggiore è però riservato a Manouchian, capo della banda, non a caso di origine armena (così come lo stesso Guédiguian), intorno al quale si muovono una serie di figure abili a comporre un mosaico non privo di fascino. Certo, in qualche punto il ritmo si avvicina a certe limitazioni para-televisive, e il sopracitato intento pedagogico talvolta finisce per legare la messinscena in qualche schematismo di troppo. Ma le imperfezioni nulla tolgono a un lavoro che sa colpire nel segno, dichiarare con coraggio la sua verità, ed emozionare senza cadere nel facile pietismo.
L'armée du crime, ignorato dai distributori italiani, interessati alle pellicole francesi quasi soltanto quando si parla di commedie, resta abbastanza lontano da autentiche gemme come Marius et Jeannette, La ville est tranquille, Marie Jo et ses deux amours, À la place du coeur e il recente Les neiges du Kilimandjaro (tutti titoli assolutamente da recuperare per chi ancora non li conoscesse), ma ancora una volta dimostra l'intelligenza di un regista a suo modo unico, per l'acutezza e la passione con cui riesce ogni volta a raccontare un preciso e palese punto di vista sulla realtà senza mai perdere di vista l'amore per il cinema. 
Siccome poi, come si diceva poc'anzi, anche qui il senso della comunità assume un ruolo fondamentale, una volta di più la finzione e la realtà trovano il consueto punto di contatto, imprescindibile per un uomo capace di creare un gruppo di lavoro che lo ha accompagnato con assoluta fedeltà nell'arco di una carriera ormai lunga tre decadi. I due ruoli principali sono affidati al bravo Simon Abkarian e a Virginie Ledoyen, radiosa e splendente nonostante qualche limite interpretativo, ma accanto a loro ecco apparire i tre attori-feticcio di sempre: la magnifica Ariane Ascaride (compagna di vita e di schermo da tantissimo tempo), l'irresistibile Jean-Pierre Darroussin (alle prese con un personaggio assai contraddittorio) e il puntuale Gérard Meylan (in una piccola parte). 
Loro, davvero, non possono mai mancare, perché il prezioso cinema di Robert Guédiguian, lo ripetiamo ancora, è prima di tutto l'espressione di una straordinaria famiglia, da cui ogni volta ci lasciamo sedurre e abbracciare con tanta gioia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Robert Guédiguian, Serge Le Péron, Gilles Taurand
Musiche: Alexandre Desplat
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Anno: 2009
Durata: 139'
Attori: Virginie Ledoyen, Simon Abkarian, Robinson Stévenin, Jean-Pierre Darroussin, Lola Naymark, Ariane Ascaride, Grégoire Leprince-Ringuet.

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IL VIAGGIO DI JEANNE - Un sorriso verso la vita

8/4/2013

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Talvolta qualcuno chiede al sottoscritto il motivo di questo suo amore sfrenato nei confronti del cinema francese. Alla domanda si può tranquillamente rispondere evitando qualsiasi argomentazione linguistica e culturale, limitandosi ad affermare come il segreto stia tutto nelle immagini, nelle storie, nella quotidianità.
In fondo è sufficiente visionare alcuni lavori francesi usciti negli ultimi anni per comprendere la profondità emotiva e strutturale del cinema transalpino. La tourneuse de pages (La voltapagine) di Denis Dercourt, Stella di Sylvie Verheyde, Le premier jour du reste de ta vie di Rémi Bezançon, Les Neiges du Kilimandjaro di Robert Guédiguian, Un poison violent di Katell Quillévéré, Les petits mouchoirs di Guillaume Canet, Les grandes personnes di Anna Novion, La loi du marché e Quelques heures de printemps di Stephane Brizé, Respire di Mélanie Laurent, Fatima di Philippe Faucon: sono solo alcuni esempi, tasselli di quella straordinaria “medietà” compositiva con la quale i francesi, con clamorosa continuità, sono in grado di comporre piccoli sonetti, romanzi di formazione, racconti di vita, imbevuti di una tale grazia, semplicità, purezza, da renderli ogni volta gioielli d'inarrivabile fascino. In questi lavori, più ancora che nelle produzioni maggiori, dimora la bellezza unica del cinema d'Oltralpe. 
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Uno dei titoli sopra citati, Il viaggio di Jeanne, in originale Les grandes personnes, è l'esordio nel lungometraggio di Anna Novion, regista francese di madre svedese. Il film è stato realizzato nel 2008 e ha avuto una fugace apparizione nei cinema italiani l'anno successivo. 
Al centro della storia il bibliotecario Albert e la figlia adolescente Jeanne. Come ogni anno, nel periodo estivo, i due organizzano un viaggio alla scoperta di luoghi mitici situati in giro per l'Europa. Questa volta è il turno di Orust, isola della Svezia dove la leggenda narra sia nascosto il tesoro di un guerriero vichingo. Giunti a destinazione, si trovano loro malgrado a dover dividere un appartamento con altre due donne, con cui peraltro Jeanne sviluppa una solida amicizia. Separato dalla moglie e iper-protettivo nei confronti della figlia, Albert cerca di coinvolgerla nelle sue bizzarre ricerche, mentre la giovane pare più interessata alla vita sociale, ai ragazzi del posto, ad acciuffare un processo di crescita utile per intraprendere il percorso verso l'età adulta. L'idiosincrasia tra i due conduce verso l'inevitabile esplosione di conflitti da tempo latenti, ma la vacanza svedese, tra avventure e delusioni, sarà comunque utile affinché entrambi possano prendere coscienza di ciò che realmente vogliono estrarre dal succo della vita.
Candore, pienezza d'intenti, eliminazione di qualsiasi sovrastruttura aleatoria: Il viaggio di Jeanne sfrutta la fascinazione scenografica del luogo di riferimento e indaga nei volti e nell'anima dei due personaggi principali, seguendone con timidezza azioni e reazioni. Una classicheggiante storia di solitudine, abbandono, incertezza, rinascita, dipinta con la consueta, brillantissima “medietà” sopra espressa.
Un film lieve e ammaliante, così come il volto della protagonista, Anais Demoustier, folgorazione di questi ultimi anni: un'attrice limpida, naturale, pulita, seducente, coraggiosa e versatile, sia nei primi ruoli da ragazzina che nelle successive interpretazioni da donna ormai adulta (Une nouvelle amie di Ozon). Accanto a lei una garanzia, Jean-Pierre Darroussin, splendida faccia da cane bastonato, come sempre inappuntabile nella sua recitazione dimessa e sconfitta.
Il film della Novion è abile a inserire un paio di non-invadenti citazioni bergmaniane, e in qualche punto naviga non lontano dall'ottimo My Summer of Love di Pawlikowski. Ci mostra gli imbarazzi dell'adolescenza e le incomprensioni degli adulti, il desiderio di comprensione e i sogni forse non del tutto svaniti. Si muove compatto, rasenta la perfezione nella prima parte, cala lievemente d'intensità nella seconda e torna a salire nel finale; una conclusione dolce e amara, ben esemplificata dall'ultima inquadratura, in cui la macchina da presa si sofferma sui piedi di Jeanne, la quale, dopo aver portato per tutto il film anonime scarpe da ginnastica, indossa ora un paio di ciabattine infradito: un segno di freschezza, liberazione, crescita, emancipazione e speranza. Con un sorriso rivolto al cielo. Verso il futuro. Verso la vita.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: Les grandes personnes
Anno: 2008
Regia: Anna Novion
Sceneggiatura: Béatrice Colombier, Anna Novion, Mathieu Robin
Fotografia: Pierre Novion
Musiche: Pascal Bideau
Durata: 84'
Uscita in Italia: 20-11-2009
Interpreti principali: Jean-Pierre Darroussin, Anais Demoustier, Judith Henry, Lia Boysen

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    Adèle Haenel
    Agathe Bonitzer
    Aimer Boire Et Chanter
    Alain Guiraudie
    Alain Resnais
    Albert Dupontel
    Anais Demoustier
    André Dussolier
    Anna Novion
    Anne Consigny
    Anne Fontaine
    Annette
    A Perdre La Raison
    Ariane Ascaride
    Ariane Labed
    Arnaud Desplechin
    A Trois On Y Va
    Audrey Tautou
    Au Fil D'ariane
    Bande De Filles
    Benoit Poelvoorde
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    Bruno Dumont
    Camille Claudel 1915
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    Céline Sciamma
    Chiara Mastroianni
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    Emilie Dequenne
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    Fabrice Luchini
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    Fidelio L'odissee D'alice
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