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MAL DE PIERRES (MAL DI PIETRE) - Amare per vivere

14/4/2017

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​L'amore grande. Totale. Assoluto. Indispensabile per non morire. Per avere uno scopo con cui combattere l'oblio del quotidiano. L'amore da cercare, coltivare, nutrire, anche se incerto o impossibile. Ad ogni costo. Contro ogni logica. Tralasciando la realtà che ti circonda, quella realtà che ti hanno imposto e che non hai mai voluto accettare. Perché la passione vera, il ruggito che ti scuote l'anima e divora il cuore, è l'unico senso per cui valga la pena di affrontare i silenti giorni e le lunghi notti. Soltanto lì risiede la Luce. Il resto è nulla.

Gabrielle vive in Provenza, tra sterminati campi di lavanda e ricchezze ai suoi occhi assai poco interessanti. È una ragazza difficile, con la testa tra le nuvole. Non è pazza, ma vive in un mondo tutto suo. Si innamora di un insegnante, gli scrive ingenue lettere colme di desiderio, ma quando si rende conto che l'uomo con contraccambia, lo aggredisce. A quel punto la madre pensa di rinchiuderla in una clinica, per sbarazzarsi una volta per tutte del “problema” che mina la serenità della famiglia. Per evitare la drastica risoluzione, trova però una via intermedia: darla in sposa a uno dei braccianti che lavora nella sua tenuta, José, uomo buono scappato dalla Spagna negli anni del Franchismo. Gabrielle accetta suo malgrado la decisione, pur sapendo perfettamente che non sarà mai felice con questo individuo per il quale non prova alcun tipo di trasporto emotivo. La rassegnazione non cancella e anzi acuisce alcuni problemi di salute, in particolare la presenza di calcoli renali che spesso le provocano spasmi di dolore. Viene così ricoverata per sei settimane in un centro sulle Alpi, specializzato nella cura di simili patologie. Durante il soggiorno incontra André Sauvage, tenente dell'esercito congedato dall'Indocina per ferite riportate in battaglia. Gabrielle si innamora del militare, riscoprendo così il desiderio fremente e il sentimento unico e totalizzante. 

Mal de pierres (Mal di pietre), ottavo lungometraggio in veste di regista di Nicole Garcia, tratto dal romanzo di Milena Agus, esce in Italia a quasi un anno di distanza dal passaggio in concorso a Cannes, dove ricevette fischi in proiezione stampa e stroncature assortite. Una reazione col senno di poi piuttosto prevedibile da parte di certa critica, abituata a vivere i grandi festival a caccia di emozioni forti, fantasmagorie refniane o presunti shock pornografici del Gaspar Noé di turno, ma mal disposta a tollerare “polpettoni” melodrammatici poco appariscenti e (in teoria) poco coinvolgenti.
Al di là delle etichette e dei fastidiosi bueggi, il lavoro della Garcia sfrutta coordinate basilari e codici linguistici ben definiti, per mettere in mostra un racconto che vibra dolente sulle note dell'infelicità. Il personaggio di Gabrielle, non lontano dalla Audrey Tautou di Thérèse Desqueyroux e in qualche aspetto anche dalla Juliette Binoche di Camille Claudel 1915, riporta alla mente antieroine letterarie ottocentesche e personaggi cinematografici in bianco e nero, scivolando ineluttabilmente versi i contorni sfocati di una vita obbligata che solo nella palpitante ribellione del cuore può trovare lo sbocco per uscire da una prigione obnubilante. Gli evidenti bovarismi del film cercano così un punto di fusione tra l'ambientazione parzialmente moderna (gli anni '50) e un gusto retrò, giocando all'inizio con le straordinarie doti paesaggistiche provenzali e costruendo sentieri dell'anima in equilibrio tra le strade buie della realtà, i demoni della follia e gli squarci aurorali dell'amore anelato e finalmente (forse) raggiunto. 
​
Analizzando il quadro d'insieme, non c'è niente che non funziona nella creatura della Garcia. Tutto è composto, corretto, lineare, dall'idea base di sviluppo del racconto (un evento presente da cui parte un lungo flashback che riassume gran parte della storia) alle connotazioni tecniche con cui l'autrice descrive i diversi passaggi dell'opera. Nulla per cui dunque storcere il naso, ma anche nulla per cui sorprendersi. Sta proprio qui il limite di Mal de pierres: osando qualcosa in più, si sarebbe potuto donare maggiore slancio a un lavoro inappuntabile ma privo di quella fiamma ardente che rende indimenticabile l'essenza stessa del melò. 
Ardente lo è però, una volta ancora, Marion Cotillard, ormai entrata definitivamente nella triade nelle migliori attrici contemporanee del cinema francese (e non soltanto), accanto alla stessa Binoche e a Isabelle Huppert. Un'altra prova splendida e ammaliante, come ormai da anni accade per qualsiasi ruolo si trovi a interpretare. Accanto a lei Louis Garrel, alle prese con il suo fascino tenebroso e Alex Brendemühl, già apprezzato in Wakolda (The German Doctor), presentato nel 2013 al Noir Fest di Courmayeur. 
La donna sofferente e senza pace, il marito onesto e snobbato, il soldato seducente: figure classiche, come classico è l'aggettivo ideale per un film che non può far gridare al miracolo ma che nemmeno merita ululati e canzonature. Un'opera leale e rispettabile, in grado di trovare il suo momento migliore proprio nel finale, dove si attua definitivamente la sostanza pura dell'Amore.

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: La vie en rose, Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Mal de pierres
Anno: 2016
Durata: 120'
Regia: Nicole Garcia
Soggetto: Milena Agus (romanzo)
Sceneggiatura: Nicole Garcia, Jacques Fieschi
Fotografia: Christophe Beaucarne
Musiche: Daniel Pemberton
Attori: Marion Cotillard, Àlex Brendemühl, Louis Garrel, Brigitte Roüan, Aloïse Sauvage
Uscita italiana: 13-04-2017

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LA BELLE PERSONNE - Il cuore in fuga

4/1/2014

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Ormai da alcuni anni il pubblico francese (e non solo) ha imparato ad amare Christophe Honoré, autore apprezzabile per la versatilità con cui sa costruire opere che spaziano dalla gloriosa tradizione del cinema autoctono a tematiche scomode e non prive di coraggio e ambizione. 
Salito alla ribalta con Ma Mère, dramma edipico buio ed estremizzato, e Les Chansons d'Amour, frizzante lavoro capace di attualizzare i tratti distintivi della commedia musicale, lo abbiamo di recente applaudito per lo splendido Les Bien-Aimés, presentato al Torino Film Festival 2011 e poi purtroppo mai distribuito nelle sale italiche. Nel mezzo, andando a ritroso, ha diretto anche l'interessante Homme au bain, il notevole e malinconico Non ma fille tu n'iras pas danser, e un ulteriore film rimasto inedito da noi, La Belle Personne, uscito in patria nel 2008.
Liberamente ispirato al romanzo La principessa di Clèves, di Madame de la Fayette, da cui già Manoel de Oliveira aveva tratto il film La Lettera, il lungometraggio di Honoré trae spunto dalla narrazione originale, trasportandola però nel presente. Al centro della scena la giovane e ombrosa Junie, ragazza sedicenne che dopo la morte della madre si trasferisce cambiando città e scuola. Al liceo entra a far parte di una consolidata compagnia di amici, e sviluppa un rapporto sentimentale con Otto, ragazzo romantico, timido e idealista. Non molto tempo dopo, inizia a covare una forte attrazione verso Nemours, il suo professore di italiano, non nuovo a storie con studentesse ben più giovani di lui. Junie tenta di combattere questa pericolosa infatuazione, allontanandola con ogni mezzo possibile, ma alla fine è proprio Nemours a sviluppare un amore irresistibile, e forse impossibile, nei suoi confronti.
Per La Belle Personne il regista ha a disposizione tre tra i migliori attori usciti allo scoperto nel cinema francese in quest'ultimo decennio: Louis Garrel, Léa Seydoux e (in un ruolo minore) Anais Demoustier. Con il giusto acume ne sfrutta a dovere le rispettive qualità, sottolineando a ogni inquadratura soprattutto il fascino maledetto del primo e le cupe vibrazioni della seconda, per comporre un quadro stilistico che accarezza l'adolescenza traghettandola verso i complessi lidi dell'età adulta. Nel film si analizzano con discreta puntualità le dinamiche sociali che caratterizzano il gruppo come insieme di elementi eterogenei e non sempre armonici: da qui scaturiscono invidie, gelosie, rancori, segreti e legami di devastante intensità.
I compagni di scuola frequentano ogni giorno lo stesso bar, alternano complicità e incomprensioni, sviluppano l'irrequieta quotidianità tipica dell'età di riferimento. Il loro senso dell'amore travalica i ristretti confini del microcosmo d'appartenenza, facendosi universale strumento di devozione e condanna, guidandoli verso territori inattesi nei quali la gioia della scoperta cozza con gli ostacoli della vita, sino a conseguenze perfino tragiche. L'eterosessualità e l'omosessualità compongono due facce di un'unica medaglia, e studenti e professori annullano le distanze per farsi veicoli delle stesse incertezze. Il triangolo Otto-Junie-Nemours morde i freni della comune apparenza, mentre tutt'intorno altre storie non meno intense condiscono una ricetta filmica calibrata e appassionante.
Devoto alla musica come asse portante di qualsiasi prodotto cinematografico, Honoré anche questa volta non rinuncia a far cantare i suoi personaggi (anche se qui avviene in una sola occasione), e inserisce in scene fondamentali la voce ipnotica di Maria Callas e il testo di “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri, trovando come sempre un gustoso punto d'incrocio tra parole, note e significazioni visive. Il romanzo di riferimento, ambientato nel 1600, è soltanto una base di avvio, utile a comporre i segni del melò: i duchi e le dame di Madame de la Fayette si trasformano nei riccioli scomposti e nelle cravatte disordinate di Garrel e nei seducenti silenzi della Seydoux, mina vagante pronta a esplodere in ogni istante. Tra i due l'amore nasce, cresce, si allontana e si avvicina, fugge e conduce alla follia; i baci rubati o mai dati diventano il simbolo di un futuro inesistente. Resta infine soltanto il mare, fonte pura di abbandono e rinascita.
Come detto, La Belle Personne è rimasto inedito in Italia, ma è stato comunque premiato al Festival del cinema europeo di Lecce, e ha ricevuto due nomination ai César nel 2009, come miglior adattamento e per l'interpretazione della Seydoux, candidata nella categoria di miglior promessa femminile in una cinquina che comprendeva anche la stessa Anais Demoustier (in lizza però per Il viaggio di Jeanne di Anna Novion) e Deborah François (premiata per Le premier jour du reste de ta vie di Rémi Bezançon). 
Nel film vanno infine segnalate la presenza di Agathe Bonitzer (futura protagonista di Une bouteille à la mer) e la fugace ma indispensabile presenza, in un breve cameo, di Chiara Mastroianni, vera Musa ispiratrice di tutto il cinema di Honoré.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: La belle personne
Anno: 2008
Durata: 90'
Regia: Christophe Honoré
Sceneggiatura: Christophe Honoré, Gilles Taurand
Fotografia: Laurent Brunet
Musiche: Alex Beaupain
Attori: Louis Garrel, Léa Seydoux, Grégoire Leprince-Ringuet, Agathe Bonitzer, Anaïs Demoustier

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