ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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PETITE MAMAN – La magia dell’infanzia

21/10/2021

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​​Nelly ha otto anni. Quando sua nonna muore in una casa di riposo, lei e i suoi genitori si recano nell'abitazione dell’anziana per sistemarla e svuotarla. Alla tristezza per la scomparsa della donna si aggiunge l’inattesa sparizione della madre, la quale una mattina senza preavviso se ne va lasciando Nelly da sola con il padre. Per occupare le ore la bimba si reca nel bosco circostante e incontra Marion, coetanea che sta costruendo una capanna tra gli alberi (proprio come aveva fatto la mamma di Nelly tanto tempo prima, nello stesso luogo). Tra le due si stringe subito un legame d’amicizia, utile a entrambe per combattere solitudine, smarrimenti e paure.

Céline Sciamma, senza alcun dubbio uno dei nomi più stimolanti dell’intero panorama europeo, prosegue con successo e piena efficacia la sua esplorazione di sentimenti, forza d’animo e fragilità che caratterizzano le età giovanili. Dopo i pregevoli Naissance des pieuvres e Tomboy e gli splendidi Bande de filles e Portrait de la jeune fille en feu (oltre a lavori eccellenti in veste di sceneggiatrice, ad esempio per Ma vie de courgette), l’autrice francese realizza una mini favola ad altezza di bambina, nella quale si espandono le pregevolezze di un tesoro in miniatura.

Applaudita nel corso del Festival di Berlino e ispirata ai capolavori di Hayao Miyazaki, Petite Maman è un’opera contenuta in termini di durata (70 minuti), ambientazione e personaggi coinvolti. L’aspetto minimale non si traduce però affatto in parzialità d’analisi o povertà di significato. Pur in una cornice limitata, la Sciamma riesce una volta ancora a raggiungere corde profonde, emozionando per la delicatezza di sguardo, la facilità di tocco e l’ampiezza di percezioni che si emana da ogni singola inquadratura, in un film, per usare le sue stesse parole, «pensé pour rassembler en offrant les mêmes opportunités d’implication et de sensations pour les spectateurs petits et grands».

La storia di una bimba alle prese con le ferite di una doppia perdita, in un caso definitiva (la nonna), nell’altro temporanea ma angosciante (la madre), consente all’autrice di disegnare un lucido e sincero ragionamento sull’infanzia, periodo complesso e al contempo ebbro di appassionato coinvolgimento verso l’esistenza, anche nelle sue declinazioni in apparenza marginali eppure entusiasmanti. L’incontro di Nelly con Marion forma un senso di immediato legame, sviluppando poi momenti di semplice idillio racchiusi nell’atavica magia di un gioco qualsiasi, di una capanna da rinforzare e abbellire pezzo per pezzo, di un confuso ed esilarante tentativo di approccio culinario, di un dialogo sussurrato prima di addormentarsi, di un abbraccio che non ha bisogno di parole.

Nel candore di queste immagini, l’eventuale sospetto di riempimento fine a se stesso fa in fretta a scomparire; ogni tassello è infatti valido, finanche essenziale, per esplicare il turbine di pensieri che può accompagnare bimbe di quell’età, combattute tra la voglia di ridere e godersi ogni istante e l’obbligo di deviare la mente verso preoccupazioni e timori molto più “adulti” e inquietanti.

Il confronto è reso con la consueta bravura dalla Sciamma attraverso sequenze di carattere quasi documentaristico, alternate a svolte in cui si inneggia alla fantasia sfiorando l’elemento soprannaturale, senza peraltro mai scordare la potenza del campo visivo. Quest’ultima è esaltata dall’abile regia “silenziosa”, dai colori del clima autunnale e dall’insistenza sui volti dolci e puri delle sue protagoniste (le sorelle Joséphine e Gabrielle Sanz), alle quali si affianca, pur con poche apparizioni, Nina Meurisse, recentemente in primo piano nel notevole Camille, premiato nel 2019 a Locarno. L’innocenza è costretta a scontrarsi con incertezze per il futuro, nostalgie e addii non completati a dovere, ma a vincere è alla fine il coraggio, eroismo supremo che talvolta sa sconfiggere il dolore e ridare lustro alla speranza.

In fondo, Nelly e Marion appartengono alla stessa famiglia delle Marie ed Anne di Naissance des pieuvres, del/della Michael/Laure di Tomboy, dell’indimenticabile Marieme di Bande de filles (meraviglia al cui interno si cela una delle scene più belle degli ultimi 10/15 anni) e delle folgoranti Marianne ed Héloïse di Portrait. Racconti contemporanei e amori di epoche lontane, caotiche città e pacifiche campagne, soffocanti periferie e sospiri bucolici: sfondi assai diversi tra loro, ma sempre uniti dalla capacità di scavare nei cuori e regalare momenti di reale benessere intimo e contemplativo.

​Uno stratificato universo in divenire che la Sciamma continua a padroneggiare con ammaliante sicurezza, nel nome della volontà di non cedere al peso della vita.
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Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: La vie en rose, Film al cinema

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Scheda tecnica

Anno: 2021
Durata: 72’
Regia: Céline Sciamma
Sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Julien Lacheray
Attori: Joséphine Sanz, Gabrielle Sanz, Nina Meurisse, Stéphane Varupenne, Margot Abascal
Uscita in Italia: 21 ottobre 2021
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RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME – Fuggire non posso

23/12/2019

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“Da anni sognavo di farlo.”
“Morire?”
“No. Correre.”

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L’incanto. Il cinema che diventa arte pittorica. Immagini sublimi incastonate in inquadrature che si tramutano in perfetti tableaux vivants. Corpi nitidi o sfocati, campi e controcampi, occhi penetranti e cuori pulsanti. Il verde della speranza, il rosso della passione, il blu del mare irrequieto, il rosa della pelle. L’opera filmica in cui l’eleganza della messinscena è base fondante della costruzione narrativa. Il farsi della creazione, tocco dopo tocco, respiro dopo respiro, mentre l’anima si allontana dalla razionalità per abbracciare i fremiti dell’amore. 
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Tutto questo, e molto di più, è Portrait de la jeune fille en feu (Ritratto della giovane in fiamme), premiato a Cannes e arrivato anche in Italia per celebrare la definitiva assunzione di Céline Sciamma a talento di primissimo piano del cinema francese ed europeo. Classe 1978, l’autrice nata a Pontoise si era già messa in luce agli esordi con gli stimabili Naissance des pieuvres e Tomboy, per poi far esplodere le sue capacità nello strepitoso Bande de filles e confermarle con le brillanti partecipazioni in veste di sceneggiatrice per il delizioso Ma vie de courgette e il gradevole Quand on a 17 ans. 
​
Con questo nuovo lavoro la Sciamma fa un ulteriore passo avanti, trovando una saggezza espressiva impressionante, tradotta nella storia di Marianne, giovane pittrice che nel 1770 è chiamata su un’isola in Bretagna per realizzare il ritratto di nozze di Héloïse, appena uscita dal convento e promessa sposa a un uomo mai conosciuto. Esempio di tantissime donne di quell’epoca, per le quali il destino era deciso senza nessun interesse riservato alla loro volontà, Héloïse rifiuta l’idea del matrimonio e per tale ragione nega di posare. Marianne deve dunque dipingerla in segreto, fingendosi sua dama di compagnia per poter trascorrere del tempo insieme a lei, coglierne i tratti, memorizzarli e imprimerli su tela.
​ 
La sopraffina qualità estetica del film della Sciamma deflagra sin dai primi minuti, quando Marianne giunge bagnata fradicia a casa di Héloïse, si spoglia e si dispone in terra, senza veli, ad asciugarsi davanti al camino acceso; la vediamo al centro di un’inquadratura simmetrica e magnifica, immediato simbolo di ciò che caratterizzerà le successive due ore di visione, nella totale immersione in un magma di bellezza rappresentativa che viaggia di pari passo con l’intensità del racconto.
Il rapporto tra le protagoniste, in principio educato e nulla più, oltre che viziato da una bugia di fondo, muta rapidamente i suoi contorni, attraverso le occhiate fugaci che Marianne rivolge a Héloïse per studiarne i contorni. Dai baci rubati di truffautiana memoria passiamo qui agli sguardi rubati, sguardi che presto scavallano i confini del compito professionale per lasciare strada alle emozioni suonate dalla dolce musica dell’innamoramento. Da lì in poi la via tracciata segue il suo naturale percorso, perché se è vero che spesso purtroppo non si può sfuggire al proprio destino, è altresì vero che non si può scappare dal richiamo del desiderio. Un concetto, questo, ben espresso in un’altra delle scene madri del film, anch’essa di rara forza visiva, durante la quale, nello svolgersi di un notturno rito pagano, un gruppo di donne intona un canto polifonico che colpisce a fondo per il suo mélange di disperazione e compassione, soavità e commozione.

​“Non posso fuggire”, recita quel canto; Marianne ed Héloïse ne colgono idealmente il significato, superando la paura per unirsi e darsi a vicenda, almeno per quel poco tempo a loro concesso, in una fusione fisica lasciata quasi totalmente fuori campo dalla Sciamma, con una sorta di (giusto) pudore. Lo stesso pudore ben esemplificato nell’ennesima scena di impressionante leggiadria, in cui Marianne disegna un ritratto di sé stessa attraverso uno specchio collocato in mezzo alle gambe nude di Héloïse e posizionato in modo tale da coprirne la parte più intima, affinché l’amata e amante possa conservare per sempre un’immagine di lei.
In quel momento il rapporto tra le due assume i contorni dell’eternità, di un qualcosa destinato a durare anche dopo che la durezza della vita le avrà portate altrove. Un amore dunque fugace (gran parte della storia si svolge in pochi giorni) ma al contempo sufficiente per riempire una vita, così come è il film stesso a riempirsi in ogni istante di intuizioni cromatiche e scenografiche, sospiranti campi larghi e primi piani incollati ai volti delle due meravigliose protagoniste, Adèle Haenel, ormai già da alcuni anni punto di riferimento del cinema transalpino (da L’apollonide a Les Ogres, da Les Combattants a 120 battements par minute) e Noémie Merlant, rivelazione assoluta in termini di bravura, fascino e capacità di seduzione.

Opera della maturità, si diceva: la Sciamma si gioca tutto praticamente con 4 soli personaggi (Marianne, Héloïse, la madre interpretata da Valeria Golino e la cameriera Sophie), utilizza Vivaldi, cita il mito di Orfeo ed Euridice, sfrutta gli ambienti e i paesaggi e lascia quasi completamente fuori scena ogni presenza maschile, relegando gli uomini a comparse o entità fantasmatiche, pur se dominanti nelle convenzioni sociali. Con questi limitati elementi riesce a narrare al meglio una lotta per l’emancipazione e una storia d’amore splendida e universale, anche con sottolineate pause e volute lentezze, riuscendo peraltro a mantenere sempre viva e pulsante la sua creatura filmica.

Applaudito dalla stampa e dal pubblico francese e assai apprezzato persino in America (dove sono abituati a ben altri ritmi), Portrait de la jeune fille en feu potrebbe risultare, agli occhi dei pochi detrattori, troppo schematico, programmatico, algido. In effetti, a voler essere pignoli, la pellicola sembra mancare della dirompente spavalderia del precedente Bande de filles. Eppure ci risulta davvero impossibile non essere piacevolmente investiti dall’ardore delle mani e dei corpi, dal fruscio delle vesti, dal suono costante della legna che scoppietta, da quei due volti che si studiano e si scoprono, si sfiorano e si baciano, si inseguono e si legano. E se ancora restasse qualche dubbio sulla possibile freddezza dell’opera, l’eventuale perplessità viene letteralmente spazzata via dall’ultima inquadratura, durante la quale la Haenel, oltre a proporci un saggio di maestria recitativa, riassume in pochi secondi il senso di tutto il film e delle infinite sfumature della passione.
​
Così, alla fine, poco importa se abbiamo assistito a un amore impossibile. In fondo gli amori impossibili sono gli unici che nessuno ci può togliere. Nonché gli unici certamente destinati a non finire mai.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose

Scheda tecnica
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Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu
Anno: 2019
Durata: 119’
Regia e sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Julien Lacheray
Musiche: Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini
Attori: Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino, Luàna Bajrami
Uscita italiana: 19 dicembre 2019
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BANDE DE FILLES - Un diamante nel cielo della vita

12/12/2014

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C'è una vita da vivere, adesso. Lì, nella banlieue parigina, in quei palazzi soffocanti dove tutto in fondo resta sempre uguale, in un non-luogo dove l'adolescenza è una battaglia quotidiana contro se stessi, prima di tutto, e poi contro ciò che ti circonda. L'anno scolastico finisce, ti dicono che dovrai fare gli esame di riparazione e l'estate imminente assume fin da subito contorni grigi. Passeggi per strada e vieni puntualmente derisa dai bulletti del quartiere. Torni a casa e trovi un fratello manesco e autoritario, due sorelle più piccole da accudire e una madre che tira avanti lavorando come donna delle pulizie. Ti innamori di un coetaneo ma non lo puoi vedere, se non di nascosto, per paura di sembrare una puttana e di subire le punizioni di tuo fratello. Hai 16 anni, vorresti in fondo essere soltanto una ragazza normale, ma il mondo amaro e crudele che hai intorno non lo permette.

C'è una vita da vivere, domani. Immagini cose straordinarie, ma sai che con ogni probabilità ti dovrai accontentare di lavori umili e avvilenti. Oppure sfornerai figli e starai a casa a soddisfare il tuo sposo, navigando sempre sull'orlo della povertà. Se ci pensi un attimo è tutto già scritto: un percorso comune a tante donne, scontato e probabilmente inevitabile.

E allora arriva un giorno in cui decidi di dire basta; capisci che l'arroganza può essere combattuta solo con la stessa medicina, che lo status di “brava ragazza” non ti interessa, che questa vita ti incatena al palo di una disillusione senza limiti. Così ti unisci a una banda di ragazze, acquisti la loro fiducia, ti fai consegnare dieci euro da una compagna di scuola piccola e spaventata, prendi la metro, vai in centro, rubi uno di quei vestiti che non potrai mai permetterti, ti affidi alla spavalderia delle nuove amiche per assumere quella sicurezza che ti è sempre mancata, prendi a botte la capoclan di una gang rivale e usi il suo reggiseno come trofeo di caccia. Cambi nome, perfino; uccidi Marieme e diventi Vic, come victoire. Butti via la vita a testa bassa e alzi lo sguardo verso la lotta. Diventi parte di una mini-struttura sociale che ti regala momenti di empatia e libertà. Scaraventi nel fiume il cappio della noia e ti getti nel calderone dell'avventura. Fino a quando non decidi di fare un ulteriore passo avanti: abbandoni scuola, famiglia e amiche, ti ostini a volertela cavare da sola, ti metti nelle mani di una specie di pappone che ti può garantire alloggio, indipendenza e protezione in cambio di qualche lavoretto non proprio legale.
Forse te ne pentirai, forse tornerai indietro. O forse no. Sai bene che ogni scelta porta con sé conseguenze di non facile risoluzione, ma così almeno proverai a dare un senso a questa fottuta e sporca vita.

Scelto per aprire la Quinzane des Réalisateurs a Cannes, accolto dai favori della critica, presentato in Italia al Sottodiciotto Film Festival di Torino e finalista del Lux Award, premio annuale indetto dal Parlamento Europeo e dedicato ai lungometraggi più significativi prodotti nei paesi del vecchio continente, Bande de Filles conferma appieno il talento di Céline Sciamma, autrice francese di trentatré anni che al terzo lungometraggio mostra una maturità stilistica invidiabile e già perfettamente riconoscibile.
Dopo l'interessante esordio con Naissance des pieuvres e il celebrato (e ottimo) Tomboy, la Sciamma esplora con costrutto e sensibilità l'età inquieta dell'adolescenza, dipingendo il ritratto a tutto tondo di una ragazza in guerra con se stessa e con gli altri per trovare una collocazione in un ambiente ostile, faticoso e zeppo di tranelli.
Il terzo capitolo della promettentissima filmografia dell'autrice parte come un film corale, con un gruppo di giocatrici di rugby, ma ben presto focalizza gran parte delle sue attenzioni sulla sua protagonista, Marieme/Vic, interpretata da una ragazza diciottenne, Karidja Touré, capace di fornire al personaggio una straordinaria profondità di sguardo e una sorprendente carica espressiva. In lei, con lei, intorno a lei, si sviluppa un complesso percorso di formazione che vive di continui ed entusiasmanti contrasti, alternando necessarie durezze e insospettabili dolcezze, saette infuocate e improvvise fragilità, ruvide svolte e sospiri leggeri, plasmando un quadro d'insieme che riassume con intelligenza e completezza le infinite sfumature dell'adolescenza.

Bande de filles (uscito nelle sale italiane con il brutto titolo Diamante Nero ma per fortuna distribuito da Teodora Film in lingua originale con sottotitoli) sbroglia le matasse della sceneggiatura con una struttura piuttosto schematica, suddivisa in scomparti ben definiti: l'introduzione al racconto, il solido legame che si crea tra Marieme e le amiche, il maldestro tentativo di solitaria emancipazione; capitoli chiari, introdotti da immagini simboliche e raccordi lineari. La composizione essenziale non diventa però un limite, perché la Sciamma dissemina nella storia tanti momenti di brillante intensità (su tutte la splendida sequenza in cui Vic e la sua banda gozzovigliano, ridono e cantano Diamonds di Rihanna in una stanza d'hotel, inondate da una magnifica fotografia bluastra), assicurando sempre il giusto livello di coinvolgimento e attenzione nei confronti di una protagonista che davvero non si può evitare di seguire con piena empatia, persi nel mistero cosmico di quegli “occhi da serpente” capaci di penetrare a fondo nel nostro animo.
L'opera della Sciamma lavora sulle vibrazioni emozionali delle sue ragazze, le segue con affetto, senza pietismi, e urla a pieni polmoni la volontà della non-rassegnazione; rasenta i lidi della perfezione per circa un'ora e mezza, ovvero fino a quando Vic effettua il commiato dalle amiche, ma cala leggermente di qualità negli ultimi venti minuti, in cui forse troppo materiale è messo a bollire. L'ultima immagine, aperta a mille possibili soluzioni, davanti a un paesaggio fuori fuoco atto a metaforizzare tutte le incertezze dell'avvenire, riconduce comunque il film sulla strada maestra, chiudendo un lavoro ricchissimo di pregi, luci, ombre, sfide. E soprattutto speranze.

“Find light in the beautiful sea, I choose to be happy,
You and I, you and I, We’re like diamonds in the sky.
You’re a shooting star I see, A vision of ecstasy,
When you hold me, I’m alive, We’re like diamonds in the sky.
I saw the life inside your eyes, Eye to eye, so alive.
We’re beautiful like diamonds in the sky.”

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: Bande de filles
Anno: 2014
Regia: Céline Sciamma
Sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Crystel Fournier
Montaggio: Julien Lacheray
Attori: Assa Sylla, Karidja Toure, Lindsay Karamoh, Marietou Toure
Musiche: Para One
Durata: 112'
Uscita italiana: 18 giugno 2015

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    André Dussolier
    Anna Novion
    Anne Consigny
    Anne Fontaine
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    A Perdre La Raison
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    Ariane Labed
    Arnaud Desplechin
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    Bande De Filles
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    Bruno Dumont
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