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AIMER, BOIRE ET CHANTER - L'ultimo spettacolo di Alain Resnais

8/6/2016

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​Yorkshire. Campagna inglese. A George Riley viene diagnosticato un tumore incurabile. Gli restano al massimo sei mesi di vita. Tre donne decidono di stargli vicino, affinché non debba soffrire la solitudine nel poco tempo che gli rimane: Kathryn, suo primo amore negli anni dell'adolescenza; Tamara, sua partner in una pièce teatrale amatoriale che stanno allestendo; Monica, ex moglie che lo aveva lasciato per andare a vivere con un agricoltore. Via via che passano i giorni le donne iniziano a subire con sempre più veemenza il seducente influsso di George, mentre i rispettivi mariti e compagni cominciano a temere di perdere le donne che, nonostante noie, tradimenti e litigi, ancora amano. La situazione diventa paradossale quando George propone a ciascuna delle tre, all'insaputa l'una dell'altra, di accompagnarlo in un ultimo viaggio a Tenerife.

Alain Resnais, maestro del cinema francese sin dai tempi di Hiroshima Mon Amour (1959), è morto il 1 marzo 2014, a quasi 92 anni. Si è spento pochi giorni dopo che il suo ultimo film, Aimer, boire et chanter, aveva ricevuto il premio Alfred-Bauer al festival di Berlino, e pochi giorni prima che uscisse nelle sale francesi, tanto che la pellicola è stata proiettata in anteprima in un cinema sugli Champs-Élysées proprio nel giorno del suo funerale. 
A posteriori, diventa difficile credere come possa essere casuale il fatto che il commiato artistico di Resnais sia avvenuto con un'opera che parla soprattutto della morte, con un protagonista a cui resta poco da vivere e una scena conclusiva dedicata a un funerale. Viene da pensare, banalmente, che lo stesso autore abbia scelto questo soggetto in quanto consapevole di essere egli stesso giunto al capolinea di una vita comunque assai lunga e intensa.
Per il suo ultimo saluto al cinema Resnais ha scelto di portare sul grande schermo Life of Riley, opera di Alan Ayckbourn, drammaturgo inglese a cui si era già rivolto in passato per il dittico Smoking / Non Smoking (1993) e per Coeurs (Cuori, 2006), realizzando un testo filmico che guarda, una volta ancora e forse più che mai, alla commistione e fusione di molteplici identità stilistiche, amalgamate per creare un oggetto tanto bizzarro quanto affascinante.
Aimer, boire et chanter è, innanzitutto, un'Ode alla creazione artistica in quanto essenziale e sconfinato atto di libertà; un'organica sarabanda che danza tra scenografie di cartone, disegni che illustrano i luoghi in cui si svolge il racconto, personaggi che entrano ed escono dal “palco” come se fossimo a teatro, recitazioni volutamente sopra le righe, monologhi su sfondo bianco e nero, ambienti disadorni, inserti al limite del grottesco, lunghi piani sequenza contrapposti a scene brevissime; un pastiche in apparenza caotico ed eccessivo, che sa però trovare il giusto equilibrio grazie alla delicatezza di tono che sempre ha caratterizzato l'autore, qui più che mai pronto a giocare con campi e fuori campi, attese e sorprese, distesi sorrisi e amare riflessioni.
In fondo, per definire meglio il concetto di rappresentazione caro a Resnais, è sufficiente usare le parole di Sabine Azéma, sua Musa nella finzione e nella realtà, tanto da averlo accompagnato negli ultimi 26 anni della sua vita: “non è importante definire l'opera, non è importante che sia cinema, teatro o un musical; l'unica cosa che davvero conta è lo spettacolo”. 
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È proprio qua, sull'onda di un'idea di cinema che non ammette barriere, il segreto per ammirare senza riserve il lascito di un grande innovatore, il cui lavoro assolutamente non si perderà nell'oblio del tempo: un micro-universo amorale dove volano come libellule, per l'ultima volta, i suoi attori, in molti casi quelli di sempre, dalla sopracitata Sabine Azéma, scatenata e irresistibile, a un cangiante Michel Vuillermoz; da Sandrine Kiberlain, immancabile nei suoi film più recenti, a un arrabbiatissimo e semi-farsesco (ma con classe) André Dussolier, per arrivare a Hyppolite Girardot (altro fedelissimo di Resnais) e Caroline Silhol, che spesso alterna cinema, teatro e Tv. Sulla scena, dall'inizio alla fine, ci sono soltanto loro (tranne un'ulteriore e brevissima apparizione nell'epilogo), insieme a un protagonista invisibile, George Riley, capace di mutare di continuo il senso e le traiettorie della narrazione senza che lo si veda mai.
Solo sei attori. Troppo pochi? Affatto. Resnais non ha bisogno di nessun altro; i magnifici sei bastano per assemblare una messinscena audace e divertente, forse ostica per una certa fetta di audience (non a caso in Francia il film è stato molto amato dalla critica ma mediamente molto meno dal pubblico) ma sapiente e non priva di concetti tutt'altro che ordinari, nonostante la confezione teoricamente leggera e briosa. Il testamento artistico del regista di L'Année dernière à Marienbad (1961) è infatti un piccolo trattato sul riscoprire se stessi, sul ritrovare memorie e sapori annacquati dagli anni ma sempre presenti dentro ognuno di noi, sulla capacità di comprendere l'importanza della persona che si ha accanto prima che sia troppo tardi e che la si perda per sempre. Inoltre, fattore non meno significativo, Aimer, boire et chanter è un inno alla vita, a godere di essa, a non lasciarla scappare via, a non accettare che le malinconie e la ruggine sedimentata nel fondo delle incomprensioni cancellino la voglia di provare a essere felici. 
Resnais ci saluta così, con un pizzico di gioia e una spolverata di magia; noi lo ringraziamo, tanto, per tutto quello che ci ha dato.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo: Aimer, boire et chanter
Regia: Alain Resnais
Sceneggiatura: Laurent Herbiet, Alain Resnais (da Life of Riley di Alan Ayckbourn)
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Mark Snow
Fotografie: Dominique Bouilleret
Anno: 2014
Durata: 103'
Attori: Caroline Sihol, Michel Vuillermoz, Sabine Azéma, Hippolyte Girardot, Sandrine Kiberlain, André Dussollier

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9 MOIS FERME - Il bimbo del mangiaocchi

13/5/2014

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Ariane Felder, 40 anni, è un giudice. Totalmente immersa nel proprio lavoro, a cui dedica dalle 10 alle 15 ore al giorno, la donna è felicemente single, e non ha alcuna intenzione di perdere il proprio tempo con la sfuggevole e codarda razza maschile. Una notte, durante il famigerato veglione di Capodanno, Ariane accetta di malavoglia l'invito dei colleghi, e partecipa a una festa durante la quale si ritrova in fretta ubriaca. Sei mesi dopo, con vivo sconcerto, il giudice scopre di essere incinta. La sua disperazione cresce nel momento in cui si rende conto di aver concepito il bambino durante quella folle notte, di cui peraltro non ricorda nulla. 
Un esame del DNA rivela come il padre sia Robert Nolan, pericoloso criminale accusato di un brutale omicidio e attualmente in carcere. Completamente sconvolta, Ariane cerca, con poco successo, di affrontare lo stravolgimento della propria vita e delle certezze acquisite nel corso degli anni. Nel frattempo Nolan evade dalla prigione e va a nascondersi proprio a casa del giudice, entrando nell'abitazione nel momento in cui Ariane sta provando ad abortire, in un modo decisamente non convenzionale. Ignaro di essere il padre del bambino, l'uomo propone al magistrato un accordo: non rivelerà a nessuno il tentativo di “omicidio” della donna, a patto che lei prenda in carico la situazione e lo aiuti a dimostrare la sua estraneità ai macabri fatti di cui è accusato.

Uscito nei cinema francesi nel mese di ottobre 2013, e tanto per cambiare inedito in Italia, 9 mois ferme si configura, lo diciamo subito, come una delle migliori commedie realizzate dal cinema transalpino negli ultimi anni. A scrivere, dirigere e co-interpretare il film troviamo Albert Dupontel, ex comico teatrale e televisivo che ha saputo affermarsi in veste di attore anche per il grande schermo, lavorando tra gli altri con Jean-Pierre Jeunet (Una lunga domenica di passioni), Cédric Klapisch (Parigi) e Bertrand Blier (Le bruit des glaçons), portando avanti al contempo un'interessante carriera come regista. 
In questa sua opera, frutto di un lungo processo di scrittura e successiva revisione, Dupontel si ritaglia il ruolo del (presunto) criminale Nolan, infondendo al personaggio un vasto assortimento di tic nervosi, facce buffe, versi gutturali e reazioni surreali, completando un riuscitissimo quadro espressivo atto a dimostrare l'essenza fondamentalmente buona di un uomo accusato di aver ucciso e squartato un signore anziano, e di avergli addirittura divorato gli occhi. Accanto a lui, nei panni di Ariane, una deliziosa Sandrine Kiberlain, attrice ormai approdata al gotha del cinema francese e in questo periodo cercata e voluta da tutti, tanto da avere all'attivo una dozzina di film interpretati solo negli ultimi 3-4 anni, tra cui l'ottimo Les femmes du 6ème étage, il notevole Polisse, il controverso e discutibile Les infidèles, il mediocre Tip Top (visto in Italia in occasione del festival Rendez-Vous) e l'ultima firma del compianto Alain Resnais, Aimer, boire et chanter. Favoriti da una perfetta alchimia, Dupontel e la Kiberlain si accompagnano a gustosi personaggi secondari, tra cui va senz'altro segnalato Nicolas Marié, nelle vesti di un terrificante avvocato balbuziente.
9 mois ferme affronta il delicato tema di un'inattesa e non-voluta maternità capitata per sbaglio nella solida vita di una donna in carriera; il film non rinuncia alla riflessione prettamente psicologica e sociologica, ma riesce con invidiabile semplicità a raffreddare i toni dell'assunto di base, grazie a una messinscena curatissima che non tralascia alcun particolare tecnico (a differenza di tante commediole italiche volgari e trasandate), azzeccando inoltre una vasta serie di gag esilaranti (su tutte la strepitosa sequenza in cui Ariane, con malcelato disgusto, guarda per la prima volta le registrazioni della sua sventurata notte di bagordi, ripresa dalle telecamere di sorveglianza). 
Il lavoro di Dupontel, racchiuso in un fondo di dolcezza anche nei momenti più caustici, parte come un treno in corsa, assicurando una prima mezzora senza fiato, per poi prendersi un momento di calma e ripartire di slancio sino ad approdare a un finale forse un po' trattenuto; poco male, perché la vis comica si mantiene sorprendente e costante, non stanca e non cade mai in pleonasmi, si getta addirittura nel gore (le bislacche ricostruzioni dell'omicidio) e assicura piacevoli risate in ogni istante.
Ecco perché, lo ribadiamo, 9 mois ferme, accolto da buoni incassi e da giudizi entusiasti da parte di quasi tutta la critica francese, e premiato meritatamente con due César (miglior sceneggiatura originale e miglior attrice), si ritaglia senz'altro un posto tra i migliori film di genere prodotti dal cinema d'Oltralpe negli ultimi anni, accanto a Intouchables (Quasi Amici), Le prènom (Cena tra amici) e Alceste à bicyclette (Molière in bicicletta).
Da segnalare i tanti camei, con brevi e amichevoli apparizioni di Yolande Moreau (la madre di Robert), Gaspar Noé (un carcerato), Terry Gilliam (un serial killer) e soprattutto uno scatenato Jean Dujardin, nei panni di uno squinternato traduttore per non udenti.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: 9 mois ferme
Regia e sceneggiatura: Albert Dupontel
Fotografia: Vincent Mathias
Montaggio: Christophe Pinel
Musiche: Christophe Julien
Anno: 2013
Durata: 82'
Attori principali: Sandrine Kiberlain, Albert Dupontel, Philippe Uchan, Nicolas Marié, Bouli Lanners.

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