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LA LOI DU MARCHÉ - Il confine della moralità

7/10/2015

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Il mercato del lavoro. Le sue crudeli regole. La disperata ricerca di un impiego. La disillusione, le difficoltà, il fastidio, l'estenuante strada verso il nulla. Salvo poi ritrovarsi dall'altra parte della barricata, a muoversi giocoforza sul confine tra ciò che si è e ciò che si era fino a poche settimane prima. Lottando strenuamente con le proprie leggi morali, per decidere se essere avviluppati dal sistema o al contrario uscirne fuori, pur consapevoli delle dure conseguenze.
Thierry, anni 51, una moglie affezionata e un figlio disabile. Svariati mesi senza impiego, conditi da curriculum inviati, corsi di formazione e colloqui sostenuti a vuoto, faccia o faccia o via Skype. Poi, finalmente, l'occasione: un lavoro come guardiano in un ipermercato. Sorvegliare le persone, osservarle, fermarle al volo in caso di furti, per condannarle, nei casi più gravi, agli stessi problemi di cui lui si è appena liberato. Un mostruoso cerchio che si chiude, generando sanguinosi conflitti interiori. Il mercato, ora e sempre: un monolite che non guarda in faccia a nessuno, una bestia feroce che scava, impietosa, con le sue lunghe zanne, nelle ribollenti viscere della crisi economica.

Stéphane Brizé, al suo settimo lungometraggio, torna per la terza volta a lavorare con Vincent Lindon, dopo Mademoiselle Chambon e soprattutto Quelques heures de printemps, notevole dramma nel quale un ex galeotto si trovava a dover affrontare il difficoltoso rapporto con l'anziana madre e la grave malattia di cui quest'ultima scopriva di essere afflitta. Un'opera, la precedente, silenziosa e sfumata, toccante e autunnale, caratteristiche piuttosto simili a quelle che identificano La loi du marché, pellicola dolente e pregiata grazie alla quale Lindon ha vinto a Cannes un meritatissimo premio come miglior attore. 
Il tocco ormai riconoscibile di Brizé assomma una sceneggiatura solida e puntuale e una regia pressoché invisibile, impostata su inquadrature fisse e lievi movimenti di camera che portano per mano lo spettatore all'interno di scene ansiogene e ipnotiche, durante le quali la battaglia intima di un uomo di mezza età alle prese con dilemmi di complessa risoluzione sviluppa il proprio senso di sconfitta e ingiustizia. La cavalcata a capo chino del protagonista Thierry attraversa una desolata landa contemporanea in cui dominano povertà ed egoismi assortiti, racchiusi in una scatola filmica che ingloba uno smaccato desiderio autoriale rivolto a un realismo il più possibile deciso e concreto. Risiede esattamente qui, nella verità fattuale degli eventi, la forza invidiabile di un'opera che riesce a riassumere con estrema naturalezza una delle caratteristiche peculiari (e insuperabili) del cinema francese: la capacità di realizzare racconti di disarmante semplicità e al contempo di devastante efficacia.
In un film immediato dal punto di vista della struttura d'insieme, sono inoltre anche i dettagli a fare la differenza: lo sguardo basso di Thierry durante i soffocanti interrogatori a danno dei taccheggiatori; le inutili ore trascorse a pulire i mobili di casa; il coro dei dipendenti che saluta il pensionamento di una collega; i pochi momenti di aria fresca e i rari sorrisi, racchiusi in un indovinello del figlio a tavola o in un corso di ballo con la moglie. In questi particolari si perfeziona un disegno magistrale, nel quale si affronta una tematica prettamente attuale con risultati perfino superiori rispetto ad altri recenti corrispettivi francofoni (il pur lodevole Deux jours, une nuit dei Dardenne), utilizzando per la quasi totalità attori non professionisti chiamati a recitare se stessi (impiegati di banca, responsabili delle risorse umane, commessi di un supermercato).
Accanto a tutti questi esempi di vita vera domina e incanta, ancora una volta, Vincent Lindon, ormai da qualche anno approdato a vette di assoluta eccellenza, grazie a una vasta serie di interpretazioni memorabili (Chaos, La moustache, Welcome, Pour elle, Les salauds, solo per citarne alcune); un uomo che con impressionante disinvoltura muove il suo corpo e le sue tonalità espressive occupando gli spazi dell'inquadratura per trasformarsi, in qualsiasi istante, nella personificazione fisica ed emotiva di ogni variazione d'istinto e sentimento. Il tutto sempre sottovoce, sottotraccia, senza arroganza né presunzione, all'opposto rispetto alla scatenata verve dei comunque meravigliosi compatrioti Luchini, Rochefort, Wilson e Amalric.
​Lindon recita nell'ombra, ed è proprio da quell'ombra che esplode la potenza di un attore superbo, per il quale il premio a Cannes è una tardiva ma sacrosanta consacrazione. Per certi versi un altro cerchio che si chiude, in positivo, in direzione contraria rispetto al destino del suo personaggio, costretto a subire l'impostura di una società opprimente che si ciba delle nostre speranze. 

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: La vie en rose, Cannes 68


​Scheda tecnica

Regia: Stéphane Brizé
Sceneggiatura: Stéphane Brizé, Olivier Gorce
Attori: Vincent Lindon, attori non professionisti
Fotografia: Éric Dumont
Montaggio: Anne Klotz
Anno: 2015
Durata: 93'
Uscita in Italia: 29 ottobre 2015

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