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L'ARMÉE DU CRIME - Morire per la libertà

8/4/2014

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Morti per la Francia. Morti per la libertà. Morti in nome di un ideale con cui vendicare i soprusi della dominazione. Ventidue uomini e una donna, partigiani comunisti, pronti ad ammazzare pur di combattere l'occupazione nazista a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale. Una squadra compatta nel sentimento ma diversificata nella provenienza geografica e culturale: francesi, spagnoli, armeni, americani, italiani. Con loro, intorno a loro, mogli e madri, fratelli e padri, avvolti ogni giorno nella paura di veder uscire di casa le persone amate e non ritrovarle mai più. Un piccolo esercito che uccide i soldati tedeschi in strada, fa scoppiare bombe nelle librerie, si insinua nelle feste di regime per lasciare un segno indelebile, dipinto nel sangue, simbolo di una battaglia per la quale sopportare tutto, fughe e privazioni, torture ed esecuzioni, sventolando il vessillo dell'indipendenza.

La retrospettiva integrale dedicata a Robert Guédiguian durante il Bergamo Film Meeting 2013 si è rivelata un evento di altissimo spessore cinefilo, una delizia a cui è stato un piacere e un privilegio partecipare. A un anno di distanza torniamo con piacere nell'universo del bravissimo autore francese, per raccontare un lavoro, uscito nel 2009 e presentato fuori concorso a Cannes, che in apparenza si situa assai lontano dalle abitudini del regista marsigliese. In L'armée du crime Guédiguian abbandona i sobborghi cittadini e la contemporaneità operaia, protagonisti di tutta la sua carriera, per rielaborare una storia ambientata nel passato e realmente accaduta. Il film narra la formazione della banda capitanata da Missak Manouchian, attraverso microstorie che seguono i singoli personaggi dai primi isolati tentativi di ribellione sino all'approdo nel contingente terroristico, per poi giungere all'inevitabile repressione dell'organizzazione e al suo smantellamento.
A un primo livello di lettura, l'opera in questione parrebbe presentarsi come un oggetto totalmente estraneo alla poetica guédiguiana, fedele a se stessa tanto da girare sempre “lo stesso film” trovando però ogni volta significazioni nuove e apprezzabili. In realtà, invece, L'armée du crime non naviga così lontano dai topoi classici dell'autore, e non ne rinnega affatto le connotazioni essenziali: anche qui, infatti, pur in un contesto assai differente, assume un ruolo primario la centralità del nucleo familiare, fulcro intoccabile da cui dipanare i fili del racconto. I partigiani parigini e gli operai del vecchio porto di Marsiglia sono in fondo due facce della stessa medaglia, raccolta nel bisogno di lotta come affermazione al contempo individuale e sociale. Anche qui, inoltre, il senso primario dell'umana solidarietà raggruppa i protagonisti in piccoli nidi in cui stringersi tutti insieme per difendersi gli uni con gli altri, senza limitare le scelte private ma offrendo sempre un riparo e una spalla, una minestra calda e un sorriso, un letto e un abbraccio.
Per realizzare il suo film forse più ambizioso, Guédiguian prende in mano la vicenda reale e la modifica per aumentare e sottolineare l'intento pedagogico, avendo peraltro l'umiltà di ammetterlo senza remore in una didascalia che appare prima dei titoli di coda. In una narrazione che non ha un vero e assoluto protagonista, il minutaggio maggiore è però riservato a Manouchian, capo della banda, non a caso di origine armena (così come lo stesso Guédiguian), intorno al quale si muovono una serie di figure abili a comporre un mosaico non privo di fascino. Certo, in qualche punto il ritmo si avvicina a certe limitazioni para-televisive, e il sopracitato intento pedagogico talvolta finisce per legare la messinscena in qualche schematismo di troppo. Ma le imperfezioni nulla tolgono a un lavoro che sa colpire nel segno, dichiarare con coraggio la sua verità, ed emozionare senza cadere nel facile pietismo.
L'armée du crime, ignorato dai distributori italiani, interessati alle pellicole francesi quasi soltanto quando si parla di commedie, resta abbastanza lontano da autentiche gemme come Marius et Jeannette, La ville est tranquille, Marie Jo et ses deux amours, À la place du coeur e il recente Les neiges du Kilimandjaro (tutti titoli assolutamente da recuperare per chi ancora non li conoscesse), ma ancora una volta dimostra l'intelligenza di un regista a suo modo unico, per l'acutezza e la passione con cui riesce ogni volta a raccontare un preciso e palese punto di vista sulla realtà senza mai perdere di vista l'amore per il cinema. 
Siccome poi, come si diceva poc'anzi, anche qui il senso della comunità assume un ruolo fondamentale, una volta di più la finzione e la realtà trovano il consueto punto di contatto, imprescindibile per un uomo capace di creare un gruppo di lavoro che lo ha accompagnato con assoluta fedeltà nell'arco di una carriera ormai lunga tre decadi. I due ruoli principali sono affidati al bravo Simon Abkarian e a Virginie Ledoyen, radiosa e splendente nonostante qualche limite interpretativo, ma accanto a loro ecco apparire i tre attori-feticcio di sempre: la magnifica Ariane Ascaride (compagna di vita e di schermo da tantissimo tempo), l'irresistibile Jean-Pierre Darroussin (alle prese con un personaggio assai contraddittorio) e il puntuale Gérard Meylan (in una piccola parte). 
Loro, davvero, non possono mai mancare, perché il prezioso cinema di Robert Guédiguian, lo ripetiamo ancora, è prima di tutto l'espressione di una straordinaria famiglia, da cui ogni volta ci lasciamo sedurre e abbracciare con tanta gioia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Robert Guédiguian, Serge Le Péron, Gilles Taurand
Musiche: Alexandre Desplat
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Anno: 2009
Durata: 139'
Attori: Virginie Ledoyen, Simon Abkarian, Robinson Stévenin, Jean-Pierre Darroussin, Lola Naymark, Ariane Ascaride, Grégoire Leprince-Ringuet.

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