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LA CASA SUL MARE (La Villa) – Al centro del mondo

5/5/2018

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​A volte accade. Succede che scopri un autore e te ne “innamori”, al punto di iniziare a seguirlo con assoluta e viscerale fedeltà lungo gli anni, ricavando la gioiosa impressione di incontrare un caro amico ogni volta che ti appresti a vedere un suo nuovo film. 
A volte accade. Sovente, a dire il vero. Ma raramente con un'intensità tale da superare i confini della semplice ammirazione. Per certi versi è ancora più bello se ciò si verifica con un autore non di primo piano, diciamo pure di nicchia; perché così lo senti ancora più “tuo” e l'affezione per lui assume contorni ancora più speciali. A maggior ragione se nel corso del tempo ti rendi conto di amare così tanto un personaggio che ti conferma in ogni occasione una qualità fondamentale, purtroppo troppo spesso trascurata o sbeffeggiata: la coerenza. 

L'esempio di Robert Guédiguian reca in sé aspetti assai poco paragonabili a qualsiasi altro regista. Sia per come ha sempre portato avanti la sua carriera innalzando la suddetta coerenza a tratto imprescindibile e intoccabile del suo cinema, sia per la magia con cui si è costruito intorno una vera e grande famiglia che lo accompagna con immutabile fedeltà da oltre 30 anni. Una famiglia che da un lato trascende l'arte per abbracciare la realtà (Ariane Ascaride, musa sullo schermo e fedele compagna nella vita) e dall'altro si rifugia proprio nell'arte per richiamare, ancora e sempre, gli stessi attori/amici (Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet). Loro, ancora loro, sempre loro, con lui dall'inizio, sin dal primo lungometraggio (Dernier été, 1980, dove già c'erano la Ascaride e Meylan) o arrivati poco dopo (Darroussin in Ki lo sa, 1985) per poi non andarsene più. 
La lieta famiglia di Guédiguian non si è mai smembrata, si è rinfrescata dotandosi di nuovi membri (Anäis Demoustier), è nel frattempo ovviamente invecchiata, ma è sopravvissuta a tutto, con incredibile costanza, riunendosi felicemente per l'ennesima volta all'alba del 2017, per dare vita, corpo e anima a La casa sul mare (La Villa), ventesimo lungometraggio dell'autore marsigliese, presentato e applaudito al festival di Venezia e per fortuna approdato alcuni mesi dopo anche nelle sale.

L'amicizia e gli affetti della vita reale, in La Villa, si fondono ancor più del solito con la finzione scenica. La Ascaride, Meylan e Darroussin (tutti e tre magnifici, come sempre) interpretano infatti tre fratelli che dopo tanti anni di separazione si ritrovano nella loro casa d'infanzia, affacciata sul mare, al capezzale del padre, colpito da un ictus all'apparenza irreversibile. Angèle è un'attrice segnata dal lutto, perché proprio in quel luogo 20 anni prima aveva perduto una figlia, tragicamente annegata, e da quel momento non aveva più voluto tornare vicino a quelle acque, simbolo di un dolore mai rimarginato. Joseph è un ex sindacalista votato alla lotta operaia, un aspirante scrittore disilluso e colpito dalla perdita del posto di lavoro e da una depressione mai superata, nonostante uno spirito sagace e la dolce presenza al suo fianco di Bérangère, fidanzata molto più giovane di lui. Armand è invece un uomo semplice, rimasto sempre lì a fianco del padre, per mantenerne in vita ideali e ambizioni (il ristorante a prezzi bassi per gente con pochi soldi) e salvaguardare la terra natia dagli inevitabili cambiamenti del tempo. 
Intorno ai tre fratelli, all'improvviso di nuovo insieme dopo 20 lunghi anni, si muovono figure di contorno solo in apparenza secondarie, come Martin, vecchio amico che non vuole in alcun modo accettare l'aiuto del figlio per il proprio sostentamento e progetta, insieme all'amata compagna, una fuga “definitiva”, e Benjamin, giovane pescatore follemente innamorato di Angèle e capace di recitare a memoria intere opere teatrali.
Cambiamenti, si diceva. In quel posto davanti al mare nulla è più come in passato. I turisti se ne sono quasi tutti andati, la gente vende le proprie case, le feste e l'eccitazione fremente di una volta non esistono più. Ma forse sono soprattutto loro, i protagonisti della vicenda, a essere cambiati, marchiati dal destino, da fortune e sventure, da scelte giuste o errate, da vittorie e sconfitte. Eppure, per qualche giorno, quel piccolo angolo di Francia diventa “il centro del mondo”, un nucleo in cui accadono eventi imprevisti e incontri sorprendenti, amori nascono e altri intrecciano le proprie mani per l'eternità, si riacquistano sorrisi smarriti nell'oblio e si acquisiscono consapevolezze, rinasce la speranza e appaiono nuovi sogni. Perché sì, è evidente, tutto “era meglio prima”; ma ciò non significa che anche adesso non possa palesarsi qualcosa di magico, forse perfino di miracoloso. Un qualcosa destinato a mutare percezioni del presente e proiezioni future.
​Così, proprio lì, “au centre du monde”, da dove si era fuggiti per sopravvivere e dove si è tornati controvoglia, forse alla fine si vorrà perfino rimanere. Magari per sempre.

Purezza. In questo parola risiede la coscienza più profonda del film. Guédiguian parla d'amore soffiando su melodie intime e soavi, rimpiange il passato dandosi (e dandoci) però anche speranze per l'avvenire, conferma se stesso e ci culla con un delicato racconto che commuove con semplicità. Non siamo di fronte a una favola (come nel recente Au fil d'Ariane), né a una storia che sfocia nella Storia (come in L'armée du crime o Une histoire de fou). È forse un lavoro che si avvicina di più alle opere giovanili dell'autore; non a caso Guédiguian, oltre a citare Claudel e Brecht, cita se stesso (inserendo una giocosa scena tratta da Ki lo sa, con la triade Ascaride-Darroussin-Meylan presente al gran completo), ma non si vede alcun tipo di arroganza o supponenza in una scelta simile. È semplicemente un omaggio alla giovinezza ormai lontana, sua e dei suoi attori/compagni/amici, e al contempo un messaggio dedicato alla vita che avanza, colpisce, ferisce ma non si spegne. 
L'ultima parte, in cui il racconto intimo dei protagonisti si allarga a tematiche attuali inerenti l'immigrazione, riconduce parzialmente al Kaurismaki di Miracolo a Le Havre e L'altro volto della speranza. Un elemento narrativo forse non indispensabile, che peraltro si amalgama senza difficoltà al resto dell'opera e nulla toglie alla concretezza della pellicola, acuendone anzi i tratti rivolti al senso atavico dell'umana solidarietà. E se è vero che La casa sul mare non tocca i picchi emotivi di opere come La ville est tranquille, Marius et Jeannette e À la place du coeur, è altresì vero che davanti a un simile dipinto filmico, candido e colorato di bontà, rispetto e sensibilità, non si può che ringraziare per l'ennesima volta Monsieur Guédiguian e la sua splendida famiglia. Artisti di grandissimo spessore e persone vere, avvolte da legami profondissimi, da fili impossibili da spezzare, da sentimenti che non finiranno mai.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose, Film al cinema

​
Scheda tecnica

Titolo originale: La villa
Anno: 2017
Durata: 117'
Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Serge Valletti e Robert Guédiguian
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Attori: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin

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