Leviathan nelle sue primissime immagini mostra un vero e proprio paesaggio lunare le cui rive sono costellate da rovine: moli distrutti e imbarcazioni abbandonate. Qui è situata la casa di Kolia, meccanico fidato che vive con il figlio Roma e Lilya, la nuova compagna. Con il susseguirsi della vicenda emerge la volontà del sindaco Vadim di acquistare il terreno posseduto da Kolia per poter avviare la costruzione di esercizi commerciali ben più redditizi di una semplice officina; una volontà, quella del potere, capace di piegare le leggi al proprio fine.
Leviathan è così un film sulla Russia contemporanea – e su un certo “putinismo” machista – che non tenta, se non con sporadici accenni, un collegamento alla nazione che era ieri: statue e ritratti – gli Stalin e i Lenin, gli Yeltsin e i Gorbachev – sono relegati ai bordi delle inquadrature ideate da Zvyagintsev o sono usati per sparare colpi di fucile durante le feste campestri di famiglia.
La corruzione e il disordine odierno sono alla base di Leviathan, un mondo in cui è difficile realizzarsi e sognare: «è come vivere su un campo minato, questa è la sensazione con cui si vive qui. È molto difficile portare avanti un progetto […] se non si è ben invischiati nei valori e nel sistema. Questo sistema societario è l’eterna maledizione della nostra terra. Le idee del buon governo e del rispetto dei diritti individuali sono difficilmente affrontati. […] Ho da poco compiuto cinquant’anni e non ho mai votato, perché sono assolutamente convinto che in un sistema come il nostro sia un passo completamente privo di senso». (Intervista al regista rilasciata al The Guardian).
Il protagonista Kolia, seppur coadiuvato dall’amico di vecchia data Dimitri – avvocato arrivato in suo soccorso dalla capitale russa –, si trova sempre più solo a lottare e a scontrarsi con il mostro-stato, entità corrotta che tutto vuole e tutto può. Ecco dove l’allegoria del titolo scelto da Zvyagintsev trova il suo significato. Il leviatano hobbesiano, gigante simboleggiante la forma dello stato, che brandisce con una mano una spada (potere temporale) e con l’altra il pastorale (potere religioso), rappresenterebbe il Dio mortale che soggiacendo a un Dio immortale concede pace, difesa e libertà. Il gigante-stato formato dalla miriade dei suoi cittadini è però qui un mostro che si abbatte sulla vita del povero Kolia, incapace di resistere alla sua potenza.
La magnifica opera filmica di Zvyagintsev ha così il pregio di aprire il ventre del mostro, e filmare il ribollire degli scontri tra i cittadini impegnati a perseguire i propri interessi a discapito del quieto vivere, mostrando come la corruzione non sia percepita con vergogna dai governanti, ma che, in opposizione, possa essere anche un vanto. Accanto alle strutture statali vi sono inoltre rappresentanti di una chiesa venale e terrestre che mira alla legittimazione del potente per perpetrare i propri interessi.
Leviathan ha vinto il premio come migliore sceneggiatura allo scorso festival di Cannes, come miglior film in lingua straniera ai Golden Globes e come miglior film al London Film Festival Awards, ed è stato candidato all'Oscar. La sensazione è che il lavoro di Zvyagintsev possieda una grandeur abbacinante che si affranca da qualsiasi manicheismo e che coraggiosamente mostra la pochezza di tutti gli esseri umani. È proprio davanti a questa pochezza che la corruzione-flagello dello stato risulta ancora più colpevole: esso elude il suo compito di garante, per occuparsi colpevolmente dei propri sordidi interessi.
Emanuel Carlo Micali
Sezioni di riferimento: Eurocinema, Cannes 67, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Leviathan
Anno: 2014
Regia: Andrei Zvyagintsev
Sceneggiatura: Andrei Zvyagintsev, Oleg Negin
Fotografia: Mikhail Krichman
Musica: Philip Glass
Durata: 140’
Attori principali: Aleksey Serebryakov, Elena Lyadova, Vladimir Vdovichenkov