Svezia, Norvegia, Finlandia, assieme ad Islanda e Danimarca, cinque paesi da sempre considerati parte di una sovra-nazione, hanno di recente visto la nascita in alcuni casi, e la conferma in altri, di autori che grazie a una oggettività contenutistica e una solida prassi filmica sono riusciti a conquistare un inaspettato successo internazionale; Baltasar Kormakur (Everest, 2015), Morten Tyldum (The Imitation Game, 2014), Joachim Trier (Oslo, 31 Agosto, 2001) e Ruben Ostlund (Forza maggiore, 2014) ne sono esempio.
Nonostante la scena norvegese sia quella in più rapida ascesa, è stato proprio lo svedese Forza maggiore di Ostlund a porre il punto esclamativo su un movimento in progressiva crescita; sempre dalla Svezia proviene un film interessantissimo che chiama e obbliga alla visione poiché in grado di concentrare qualità e caratteristiche di tutto il cinema nordico: Something Must Break.
Opera che deve il suo titolo alla sepolcrale e inquieta anima dell’omonima canzone scritta dai Joy Division (Still, 1981), Something Must Break è una storia d’amore tra due ragazzi, Andreas, eterosessuale dichiarato, e Sebastian, creatura androgina che mette in discussione le certezze del partner in relazione con se stesso e la società “Ikea-style” che ha attorno. Insieme sognano di sfuggire la noia e il rischio di diventare ciò che tutti gli altri rappresentano. In una estate in cui tutto è possibile Andreas e Sebastian affronteranno scelte che condizioneranno le loro vite per sempre.
Se, precedentemente, abbiamo accennato al fiorire di una scena di registi nuova, il film di Ester Martin Bergsmark si apre, casualmente ma non troppo, mostrando lo sbocciare di un fiore, metafora di un percorso che il protagonista Sebastian, e il suo alter ego femminile Ellie, è costretto a percorrere se vuole conquistare la piena coscienza di sé. Bergsmark, regista non nuovo a temi vicini all’ambiente LGBT, dirige un film solido affidandosi alla sua capacità di costruire inquadrature efficaci ed immagini sperimentali, e se i ralenti – pittorici e scultorei allo stesso tempo – sono figli diretti di un tardo Lars von Trier, la voglia di comunicare e di ferire sono vicini al recente Lukas Moodysson e al mostro sacro Fassbinder.
Something must break è, infatti, un film violento che non cede ai compromessi spettatoriali e alle rigide usanze della cultura svedese, ma inscena piuttosto una ribellione che tramite le urla di Andreas e Sebastian – la loro necessità di gridare il proprio dolore e sofferenza si palesa durante l’intera durata della pellicola – impone una possibile rottura con le aspettative proprie del mondo che li circonda. Come afferma Amanda Doxtater in Northern Constellations: New Readings in Nordic Cinema (C. Claire Thomson, Novrik Press, 2006) la società svedese sottosta a rigide usanze che condizionano l’agire e i modi di pensare dei suoi cittadini. Tutti i comportamenti al di fuori dell’ordinario vengono ritenuti spiacevoli, il contatto con l’estraneo – anche il vicino di casa – viene rimandato a meno che non sia evitabile, finita una festa si lascia un’obbligatoria lettera di ringraziamento nella buca delle lettere; insomma, si può affermare che la standardizzazione modello Ikea sia una struttura di falsa sicurezza su cui basare la propria vita.
Ma essere svedese comporta anche rimandare qualsiasi discussione sgradevole, situazione da cui scaturisce una sindrome passivo/aggressiva verso la possibilità del pubblico confronto. Bergsmark riesce abilmente a mostrare questa patologia tramite Andreas, ragazzo che (rin)nega in maniera continuativa le sue pulsioni e la sua attrazione per Sebastian/Ellie. Andreas, allo stesso tempo, afferma di non essere gay oppure esplode in pianti violenti all’apice della felicità con il nuovo partner. Egli non sa come reagire nel momento in cui i suoi sentimenti trovano sentieri inaspettati che lo costringono a prendere sofferte decisioni.
Something Must Break ha la capacità di dire molto sulla realtà del paese in cui è realizzato, e ha il pregio di evolvere ma non risolversi, lasciando aperto un percorso che, come in molti film di Fassbinder, dovrà avere ripercussioni nella vita quotidiana. Inoltre, questo carattere locale e nazionale non si scontra affatto con qualità transnazionali tipiche di tutto il cinema scandinavo, mettendo in scena storie e situazioni che con oggettività acuta affrontano tematiche universali.
Emanuel Carlo Micali
Sezione di riferimento: Eurocinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Nånting Måste Gå Sönder
Anno: 2014
Regia: Ester Martin Bergsmark
Sceneggiatura: Ester Martin Bergsmark, Eli Léven
Fotografia: Lisabi Fridell, Minka Jakerson
Durata: 85’
Attori principali: Saga Becker, Iggy Malborg