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LA MEMORIA DEGLI ULTIMI - Per non dimenticare

11/6/2014

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«Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non dolga, perché non si può sbarcare nel porto della dimenticanza. Tutto ciò è accaduto molto tempo fa, ma la mia pena è più antica». 
Scriveva così Fernando Pessoa in “Una sola moltitudine”, e noi vogliamo parlarvi de La memoria degli ultimi di Samuele Rossi perché questo film e i suoi protagonisti non vogliono e non possono finire nel porto della dimenticanza.
Loro – Ermenegildo Bugni, Umberto Lorenzoni, Giorgio Mori, Germano Pacelli, Massimo Rendina, Giorgio Vecchiani, Laura Francesca Wronowska – fanno parte di quella moltitudine che ha dato vita, corpo, anima e sangue alla Resistenza partigiana. La testimonianza di chi ha vissuto quegli anni vale molto più di un mero capitolo scritto sui libri di storia; a scuola si arriva a malapena a questi anni, si esaurisce in poche lezioni la Seconda Guerra Mondiale seguendo il programma ministeriale e tutto sembra fermarsi lì.
Il documentario di Samuele Rossi affronta con acutezza questo risvolto collegando con un filo rosso ideale due momenti: da un lato una successione delle celebrazioni dell'Anniversario della Liberazione svoltesi nei vari anni; dall'altro un servizio del TG1 in cui la gente intervistata non era spesso in grado di spiegare quale valore avesse il 25 Aprile. Va detto per chiarezza che nella costruzione drammaturgica non c'è un j'accuse, bensì un interrogarsi e interrogarci scegliendo di mettersi a servizio di alcuni tra gli ultimi partigiani viventi, i quali peraltro non si sentono affatto “ultimi”.
Durante il Neorealismo questi avvenimenti erano appena accaduti per cui c'erano una coscienza e un sentimento diversi; si sono succeduti tanti lungometraggi e documentari (questi ultimi soprattutto in ambito televisivo) fino ai giorni nostri, e magari verrebbe spontaneo chiedersi perché realizzare ora un nuovo film sui partigiani. La memoria degli ultimi però è con i partigiani: non ci sono semplicemente delle interviste, ma si viaggia grazie a loro lungo il filo della memoria per non perderla; è un andare a ritroso emotivo e fisico.
Come un cerchio che si chiude, l'incipit del doc si ricollega alla fine, aprendo però uno spiraglio verso quell'orizzonte che chiama in causa noi. Le pagine della Storia sono scritte dalle storie di uomini comuni che non vogliono essere chiamati eroi, uomini capaci anche di riconoscere limiti ed errori della Resistenza; ma per quanto possano esserci teorie revisioniste che danneggiano la memoria storica, «nessuno potrà negare che la Resistenza ci ha reso liberi».
La cifra di Rossi sta proprio nel rifuggire da un approccio didattico o revisionista, cercando di far connettere i diversi tasselli a chi ha vissuto sulla propria pelle il movimento partigiano. Ermenegildo, Umberto, Giorgio, Germano, Massimo, Giorgio, Laura e Francesca si svelano man mano che i ricordi riaffiorano, attraverso cicatrici che probabilmente non si potranno mai più rimarginare, forse anche a causa nostra, in quanto li facciamo sentire come «uno che non esiste più», come reduci di qualcosa che è stato e di cui non si ha concreta memoria.
Il regista toscano si approccia a ognuno di loro delicatamente, senza creare situazioni dalla lacrima facile; si fa guidare dai sette in questo percorso, ed è merito dello sguardo intimo se i fatti e le emozioni sgorgano naturalmente e la macchina da presa è lì, pronta a fare la radiografia dei sentimenti senza spettacolarizzarli. Quei primi piani, queste storie individuali fanno parte di una moltitudine costituita da persone di differente estrazione sociale, ma con un unico obiettivo, la libertà, e in un'ottica di autenticità e rispetto per il passato scorrono le foto dei morti (anche quelle più crude) senza che si opti per una colonna sonora che accentui quello che è già forte di suo.
«Tu che cosa fai per difendere la mia onorabilità, del perché io sono morto?»: è incredibile che sia chi ha già combattuto per se stesso e per gli altri a chiederselo, a sentire dentro di sé la domanda di chi, invece non c'è più. Le parole di questi uomini e della donna dalla schiena dritta lasciano un segno in chi le ascolta; ci si rende conto della loro “normalità”, di quanto abbiano provato paura e si siano anche innamorati. Noi non sappiamo cosa significhi avere nostalgia di un abito pulito perché si è da più di un mese in mezzo alla neve a combattere, possiamo solo percepirlo se non chiudiamo gli occhi verso il passato. In un continuo nesso col presente (che si fa sempre più forte verso la conclusione) cogliamo la loro amarezza per la situazione in cui siamo, per la diffusa mancanza di consapevolezza e per la paura che tutto cada nell'oblio.
Una nota di valore va anche alla cura della fotografia, ben calibrata in base ai momenti, assecondando ora l'afflato e il mistero dei paesaggi ora le emozioni.
«Solo l'arte è utile. Fedi, eserciti, imperi, atteggiamenti: tutto passa. Solo l'arte resta, e per questo l'arte si vede: perché dura» (da Fernando Pessoa, “Il poeta è un fingitore”). Ecco uno dei motivi per cui ha senso raccontare al cinema queste storie.

Maria Lucia Tangorra

Sezione di riferimento: Eurocinema


Scheda tecnica

Titolo originale: La memoria degli ultimi
Anno: 2013
Regia: Samuele Rossi
Sceneggiatura: Samuele Rossi
Fotografia: Maria Rosaria Furio
Montaggio: Filippo Montemurro
Colonna sonora: Giuseppe Cassaro
Durata: 75'

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