Wanda è speculare ad Anna: dura, pragmatica, dai modi e dalle parole spicce. La scoperta che Anna, in realtà, si chiama Ida, e che è ebrea, non accade come un colpo di scena, ma come l’inizio di un’avventura interiore. È solo la premessa di un film, apparentemente lineare ma estremamente complesso, che ruota tutto attorno alla scoperta dell’identità, non solo di Anna/Ida, ma di un’intera nazione.
Anna incontra Wanda come il suo unico legame con la famiglia di origine, e insieme a lei attraversa i luoghi del passato e del presente, andando in cerca di ciò che rimane dei suoi genitori e della memoria nascosta, mai veramente scomparsa, mai davvero perduta. Wanda non è solo la radice nella vita di Anna, il suo contatto con l’identità familiare e la portatrice delle ragioni dell’abbandono. La donna è sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale e ora fa il giudice tra le macerie della Polonia, a cavallo di due regimi totalitari. Si è sporcata le mani, per così dire, e forse non si è mai perdonata per questo.
Al contrario, Anna è sempre vissuta in un contesto chiuso e lontano dalla storia, un luogo di preghiera e di ricovero per anime smarrite, avvolta in una incondizionata fede. È una creatura quasi inconsapevole di sé. Non conosce ciò che la circonda e del proprio passato conserva solo una sensazione di abbandono mai risolta, che ora deve però essere compresa ed elaborata perché la giovane possa compiere una scelta interiore totalizzante come consacrare la propria esistenza a Dio.
Wanda si presenta ad Anna come un’ipotesi del futuro che la ragazza avrebbe potuto avere e che la zia le ha risparmiato, in qualche modo. Wanda e Anna hanno bisogno, ora, di ritrovarsi e di riscoprire le reciproche identità, di fare pace con il passato, tornare nei disperati luoghi dell’orrore e nei sentieri della memoria, per interrogarsi e per ridiscutere la propria identità, le convinzioni religiose, il proprio profondo sentire.
Anche se il film, nell’affrontare il conflitto interiore di Anna rispetto alla scoperta di essere ebrea, tende a sottolineare più il valore del viaggio nella memoria, il regista Pawel Pawlikowski (già noto per l'ottimo My Summer Of Love), non manca di sottolineare le ombre che progressivamente emergono in un personaggio solo apparentemente risolto e lineare, in realtà combattuto prima dalle rivelazioni familiari, poi dalla scoperta di una nuova identità, infine cambiato dalla realtà, pronto per fare quel salto verso una diversa concezione della vita, autenticamente devota e sacra.
Nulla rimane nascosto. L’idea di memoria si lega spesso al dimenticare, perché è proprio da qui, dalla incapacità (o dalla paura) di mantenere vivo il ricordo di ciò che è stato, che essa si fa necessaria. In Ida, Wanda racconta la madre di Anna attraverso brevi stralci di vita, una fotografia, ricordi rievocati con nostalgia e dolore in parole e immagini. Tutta la storia sarà quindi ricostruita come un puzzle, accidentato e doloroso.
C’è poi il passato della Polonia, l’Olocausto, che in una ambientazione fredda e politica come quella dei primi anni ’60 risuona ancor più devastante e, per questo, maggiormente significativo. Anna e Wanda non vanno semplicemente alla ricerca della famiglia dispersa: tornano idealmente indietro nel tempo per riscrivere la propria storia, letteralmente scavare nelle terre che conservano le spoglie dell’Olocausto e del sacrificio, e illuminare finalmente la verità. Il viaggio rappresenta anche un’occasione per avvicinarsi al perdono ed espiare il peccato e la colpa. Si può allora capire per la prima volta il senso della Fede, tra boscaglie che all’alba svelano ogni mistero e si tingono vagamente dei colori del sole. La catarsi è espiazione.
Pawel Pawlikowski presenta Ida come un film su “identità, famiglia, fede, colpa, socialismo e musica”. Più in generale, per il regista, realizzare un film è un viaggio nell’ignoto. E anche le sue protagoniste compiono quel salto. Si muovono nella direzione della conoscenza, senza sapere esattamente dove arriveranno, dove il viaggio le porterà, se e quanto le cambierà.
Ida affronta la Storia in due modi diversi, complementari: la storia nel film e la storia del film. La prima è la rievocazione dell’Olocausto nell’esperienza di Anna e Wanda, nella tessitura del quadro storico generale attraverso il racconto del particolare. La seconda si rapporta più direttamente con le qualità e caratteristiche cinematografiche dell’opera. Nel suo approccio stilistico, Pawel Pawlikowski sembra voler guardare consapevolmente alla storia del cinema polacco, facendone propri gli insegnamenti. Il bianco e nero consegna il film a una dimensione quasi atemporale, come se provenisse dall’archivio del cinema di un qualche museo nazionale, pronto per essere riscoperto. Ida sceglie volutamente di rompere qualsiasi legame con l’oggi, per focalizzarsi solo sul passato, anche in termini artistici. Da più parti si è identificata nei primi lavori di Roman Polanski l’eredità cinematografica raccolta da Pawlikowski e trasmessa qui con successo. Ma c’è anche la straordinaria lezione di Andrzej Wajda, come l’attenzione dell’autore non tanto sui personaggi, quanto sulla loro relazione con l’ambiente.
Gli spazi, interni ed esterni, sono frutto di una contraddizione. In questa Polonia che si occidentalizza (locali jazz, cantanti dalle acconciature alla moda) ma guarda ancora al socialismo (Wanda la “sanguinaria” ne è la prova vivente), il paesaggio – e la terra – ci dicono la verità di un’altra epoca: persone abbandonate, isolate in una campagna nebbiosa, umida, deserta; sullo sfondo, carri trainati da asini. Sono suggestioni che arrivano dirette allo spettatore, e i pochi dialoghi, inseriti con il compito di portare avanti la narrazione, risultano addirittura ridondanti.
Ida è immagine muta, che muove e che cambia. Una fotografia indelebile.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Eurocinema
Scheda tecnica
Regia: Pawel Pawlikowski
Attori: Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza
Sceneggiatura: Rebecca Lenkiewicz, Paweł Pawlikowski
Durata: 80'
Fotografia: Ryszard Lenczewski, Lukasz Zal
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Anno: 2013
Uscita italiana: 13 marzo 2014