Bleeder è il secondo lungometraggio di Nicolas Winding Refn e, nonostante sia considerato minore, in realtà è un’opera seminale in cui sono presenti, in maniera embrionale, le caratteristiche stilistiche, narrative e semantiche proprie del cinema dell'autore danese. In parallelo scorrono le vite di Leo (Kim Bodnia) e Lenny (Mads Mikkelsen), due personalità agli antipodi, l’uno il rovescio dell’altro, entrambi giunti a un punto di svolta nelle loro esistenze; da un lato un’inattesa e non voluta paternità e dall’altro un tenero amore inconfessato. Storie lontane, ma accomunate dall’incapacità di affrontare il cambiamento e dalla paura di dover rinunciare al proprio Io.
“Alla caduta di Leo, annichilito e risucchiato dal vortice della violenza – un po’ come il Travis Bickle di Taxi driver – si contrappone l’accesso alla Grazia di Lenny che, “illetterato et idiota” (alla maniera del principe Myskin di Dostoevskij), riesce a far breccia nel cuore di Lea” (Luca Biscontini, La Vendetta degli anti-eroi. Il cinema di Nicolas Winding Refn). Sullo sfondo si muove un’umanità malata e povera di ideali: lo sguardo della mdp si sofferma sui relitti bordeline, piccoli criminali, vuoti a perdere, appartenenti alla stessa umanità dipinta da Huber Selby Jr, autore amatissimo da Refn, fino al punto di coinvolgerlo nella stesura della sceneggiatura di Fear X, e qui ricordato come lo scrittore preferito di Lea (interpretata da Liv Corfixen, moglie del regista).
Bleeder è anche un’intensa dichiarazione d’amore verso il cinema, un amore puro e incondizionato, quasi cannibale e ossessivo, nei confronti della cinematografia che ha accompagnato la sua crescita, umana e professionale. Un omaggio alla settima arte, vissuta come ossessione, scorre fin dalle prime immagini del film; in una videoteca danese, che strizza l’occhio a quella smithiana di Clerks, vengono elencati in rassegna i nomi degli autori cinematografici più cari a Refn, da Peckinpah a Leone, da Morrissey a Siegel, passando per Jodorowsky, Meyer e Ferrara, fino ai nostri Fulci, Bava, Lenzi e Deodato. Bleeder sottrae all’oscurità e dona nuova luce a gioielli del cinema splatter ed exploitation, da Maniac e Vigilante di William Lustig, fino a Il mostro è in tavola…barone Frankenstein.
È un film cupo, in bilico tra la vita e la morte, un’opera in cui il lato oscuro della mente umana impera, la codardia è il motore che governa le azioni, le buone intenzioni affogano nel sangue; ogni scena si chiude inghiottita dalla ferocia lavica e magmatica di un rosso vivido e pulsante, il colore predominante nel cinema di Refn. Più che nella trilogia di Pusher, qui la violenza altro non è che l’arte maldestra praticata dai vigliacchi, un’infinita serie di gesti infami perpetrati e consumati nei confronti di soggetti inermi per condizione o situazione.
Il secondo film di Refn è selvaggio e furioso, mette in mostra un microcosmo nascosto di sopraffazione e lotta per la sopravvivenza, trasuda senso della catastrofe, dell'allarme e della tragedia come raramente è dato di vedere, attraverso un continuo gioco di specchi metafilmico e metatestuale accattivante e mai sovraesposto.
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Eurocinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Bleeder
Anno: 1999
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Fotografia: Morten Søborg
Musiche: Peter Peter
Durata: 98’
Uscita italiana: --
Interpreti principali: Kim Bodnia, Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Liv Corfixen, Levino Jensen.
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