Baumbach, come Woody Allen e Martin Scorsese, all’interno dei confini newyorkesi sa esprimere al meglio se stesso e lo spirito di una comunità, dando vita a un cinema lontano dagli aspetti più tecnici di Scorsese ma molto vicino a quello verbale di Allen – a lui e al suo Harry a pezzi (Deconstructing Harry, 1997) è infatti dedicato il titolo della presente recensione. Il tutto mantenendo un’originalità e una modernità invidiabili.
Mistress America narra l’avvicinamento da parte di Tracy alla Grande Mela, una metropoli che seduce e tradisce allo stesso tempo. La protagonista è infatti delusa dalla sua breve esperienza in città: l’università si rivela noiosa, la vita mondana è priva del glamour e del divertimento sperato e, infine, la sfera amorosa e sentimentale non offre altro che disappunto. Rifiutata anche dal club letterario di cui tanto ha desiderato far parte, Tracy (Lola Kirke) decide di mettersi in contatto con la futura sorellastra, Brooke (Greta Gerwig), figlia di un tedioso geologo prossimo a sposare sua madre. Questo incontro rappresenta una nuova opportunità per Tracy, che finalmente è presa per mano e trascinata all’interno della New York che ha sempre desiderato.
Scena centrale per l’economia del film di Baumbach è il momento in cui, nella piazza/palcoscenico di Time Square, Tracy e Brooke si incontrano per la prima volta: Brooke – sguaiata e appariscente come saprà mostrarsi nel prosieguo del film – entra da una lunga scalinata, come se incarnasse una famosa soubrette, ma questa discesa, ripresa con una azzeccatissima fissità della macchina da presa, appare esageratamente lunga e goffa. Questa piccola ma preziosissima sequenza ha il valore di un establishing shot in cui tutto viene ricontestualizzato mostrando legami tra personaggi e luoghi.
Proprio da questa porzione filmica i ruoli si chiarificano e la commedia brillante e sofistica di Baumbach prende il volo, definendo dinamiche e relazioni che indicano quanto Tracy, protagonista, scrittrice e voce narrante necessiti di un’amica come Brooke che, suo malgrado, diventerà personaggio centrale per un racconto in via di stesura. Non più amiche – o non solo amiche – quindi, ma autore e creazione in una subordinazione che nulla ha a che vedere con il possesso, ma piuttosto con la necessità di spiegare una città intera.
Brooke – nata durante le innumerevoli chiacchierate tra la Gerwig e Baumbach – incarna in maniera piuttosto appariscente le frenesie e le voglie di tutta una città in cui i rapporti umani sono lontani dalla sincerità e dove tutti appaiono come attori di una grande pièce; è un istruttore di fitness in procinto d’aprire un ristorante, è una designer d’interni che ha idee per un fumetto dal titolo Mistress America, è interessata a tutto e tutti, ma nessuno sembra conoscerla per davvero.
Tracy, da aspirante scrittrice quale è, comprende che questo egocentrico personaggio non è credibile per come si presenta e inizia quindi a scrivere un racconto su – e attorno – a lei: Mistress America, ancora una volta. Tracy scrive quindi di ciò che sa e conosce direttamente, prende spunto dal reale per generare una finzione in grado di smascherare un’altra finzione. E di questo gioco si assume ogni responsabilità fino alla fine, come ogni autore dovrebbe fare.
L’ultima opera di Baumbach è in bilico tra presentazione e rappresentazione di sé, del proprio cinema e di questo brillantissimo metatesto che lo rappresenta. È un oggetto che appena accosta le complicazioni del meta-dramma si scosta immediatamente per offrire una commedia sofisticata e intellettuale che, anche grazie a una colonna sonora “eighties” di pregevole fattura – affidata alla coppia Dean Wareham e Britta Philips, entrambi ex Luna –, si fa eterea.
Per ora privo di una data di uscita fissata per il suolo italiano, Mistress America è la continuazione di un discorso che Noah Baumbach porta avanti con coerenza. Un film da non perdere.
Emanuel Carlo Micali
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda tecnica
Titolo originale: Mistress America
Anno: 2015
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig
Musica: Dean Wareham, Britta Philips
Fotografia: Sam Levy
Durata: 84’
Attori principali: Greta Gerwig, Lola Kirke, Michael Chernus