Dwight è un senzatetto che vive di espedienti. Barba lunga e vestiti luridi sono i segni di una vita passata per la strada, a frugare nella spazzatura, a lavarsi nei bagni delle case vuote, a dormire nella sua vecchia Pontiac blu. Capiamo come sia giunto a questa condizione quando il protagonista scopre che un uomo sta per uscire di prigione; la persona che anni prima ha ucciso i suoi genitori sta per tornare in libertà.
Per Dwight la cosa è inaccettabile, e l’evento che anni prima lo aveva gettato nella vita miserabile che conduce adesso gli ridà forza, spingendolo verso un incontrollabile desiderio di pareggiare i conti e uccidere quella persona che la legge ha lasciato andare.
Nel momento in cui la narrazione sembra configurarsi come il tipico revenge movie, il film prende diverse svolte inaspettate. La pellicola affronta in modo originale e sorprendente un tema come la vendetta privata, ampiamente sfruttato dal cinema, con sguardo diverso e con intuizioni vincenti. Dwight è un uomo normale e non un feroce assassino, la sua è un’impresa per la quale non è tagliato, il suo procedere è a volte grottesco. Esiste una marcata dicotomia fra il desiderio di rivalsa del protagonista e la sua inesperienza o incapacità di portare avanti un progetto di vendetta e violenza.
Non assistiamo a un’impresa lucida e calcolata il cui climax è il confronto fra i due protagonisti, ma a una lenta messa a punto di un piano poco calcolato da parte del più improvvisato degli assassini, dove il culmine della vicenda non è solo l’appagamento della sete di vendetta, ma anche le atroci conseguenze che essa genera. Saulnier mette in scena con originalità un protagonista inadatto per la missione cha ha da compiere ma quanto mai determinato a portare a termine il suo obiettivo. Un uomo già caduto in un baratro che rischia di sprofondare sempre più in basso; un simbolo dell’uomo comune coinvolto in una spirale di morte e assassinii; una persona normale alle prese con la pianificazione di un omicidio.
Macon Blair, protagonista di questo film atipico, offre una performance intensa che si destreggia fra il grottesco e la lucida follia che pian piano sostituisce la rabbia e la voglia di rivalsa, motore iniziale dell’azione. Presente in quasi tutte le scene del film l'attore sostiene con ottime doti espressive l’evoluzione drammatica del personaggio.
Saulnier racconta la sua storia con originalità, smontando e sovvertendo i canoni del film di genere, prendendosi tempo, dosando il ritmo, creando una tensione interna che non abbassa mai la soglia di attenzione. Il risultato è un film crepuscolare e claustrofobico nell’ambientazione; un lavoro che, nonostante sia un low budget e sia almeno in parte il risultato di un crowdfunding, risulta curatissimo sotto l’aspetto tecnico, della fotografia e del sound design.
Blue Ruin racconta un’ America rurale, quella dei sobborghi, fatta di povertà e sangue, con personaggi alla deriva sociale, intrappolati in una spirale in cui l’odio genera altro odio. Il regista mette in scena una vicenda umana complessa e disperata, in cui lo spettatore, superato il primo impatto di forte empatia per il protagonista, si trova immerso in un mondo di riflessioni e sottotesti, metafore di un paese ossessionato dalla violenza e dalle armi.
Luigi Locapo
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda Tecnica
Titolo originale : Blue Ruin
Anno : 2013
Regia : Jeremy Saulnier
Sceneggiatura : Jeremy Saulnier
Fotografia : Jeremy Saulnier
Montaggio : Julia Bloch
Durata : 90’
Interpreti principali : Macon Blair, Devin Ratray, Amy Hargreaves, Kevin Kolack, Eve Plumb