Eppure, Paul Schrader continua ancora a essere un regista autarchico e baciato dalla grazia dissacrante della follia. Mentre arriva a Venezia il suo nuovo e già chiacchieratissimo The Canyons, per ridare peso a tale affermazione basta ripensare a quell’Adam Resurrected risalente ormai a cinque anni fa, uno dei film più insoliti sul tema della Shoah mai realizzati, il parto lunatico e dissonante che ci si aspetta sempre da uno col nome e col vissuto di Paul Schrader. Uno spirito alieno dalla normalizzazione dell’immaginario, un cineasta meravigliosamente retroattivo rispetto alla contemporaneità e dunque sempre in grado di spiazzare in profondità.
Il film inizia con un dettaglio degli occhi di Adam che s’inebriano nel ricordo di un Ich Liebe Dich lontano nel tempo, un avvio già di suo avulso da molti canoni (che il film abbia faticato a trovare un’aspettativa di pubblico negli Usa non deve pertanto stupire). Adam, dal canto suo, è un ex clown deportato in un campo di concentramento che adesso risiede in una clinica in cui si curano i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. L’esperienza vissuta da Adam nel suo lager è sadica e curiosa oltre ogni limite: egli fu costretto in più di un’occasione a prostrarsi dinanzi a un gerarca nazista di nome Klein, incarnato meravigliosamente da un luciferino e mellifluo Willem Dafoe, assumendo le movenze e le pose di un cagnolino. Adam abbaiava e ansimava zufolando per lo stesso pasto di un pastore tedesco, gli veniva intimato di mettersi a quattro zampe perché “è più buffo così”. “Avanti, Adam, fai un numero, facci ridere”. Suonò perfino il violino mentre la moglie e la figlia andavano a morire. E Adam (un incredibile Jeff Goldblum) non si riprenderà più dalla cosa, con addosso per sempre il senso di colpa lancinante per essere sopravvissuto alla morte delle due donne da lui più amate.
La crudezza dell’esperienza vissuta si ripercuote in rapporti sessuali deviati all’interno della struttura, in cui Adam induce la sua partner a fare la cagnolina assumendone la postura prima di consumare il coito anale in segreto. Sarà la conoscenza di un bambino incatenato che crede di essere un cane, a differenza sua che fu costretto ad esserlo, a dare per la prima volta un senso a quella mortificazione della propria dignità che l’ha segnato senza possibilità di scampo.
L’infanzia tenuta al guinzaglio e il passato imprigionato tornano così a influenzare pesantemente il presente. Un leitmotiv assai caro al regista, direttamente connesso alla sua ossessione per quel calvinismo castrante che gli impedì di vedere film fino all’età di diciott’anni, recludendolo dentro i parametri rigidi di un’educazione religiosa bigotta per quasi un ventennio. Una tensione che permea Adam Resurrected producendo una parabola messianica di resurrezione, come suggerisce il titolo, all’insegna però dell’onirismo e dell’iconoclastia.
Schrader non rinuncia alla sua cinefilia d’assalto, puntella il film di meravigli inserti ora circensi, relativi dunque al passato lavorativo di Adam, ora tragici (le scene con Klein). Visivamente il film è un trionfo, i flashback in bianco e nero avvolgono l’opera in una lattiginosa sospensione, magnetica e naturalmente cristologica come tutte le parabole schraderiane che si rispettino. Una forza dirompente che lo rende, ancora oggi, una delle personalità più di spicco di quel cinema americano reietto, tenuto a forza ai margini del sistema perché provvisto, al suo interno, di tutti gli elementi per scardinarne i pilastri rassicuranti e le certezze più accomodanti.
Con Adam Resurrected Schrader è riuscito ancora una volta a stupirci, anche con un tema indubbiamente già sviluppato e abusato come la Shoah. Onore al merito.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda tecnica
Regia: Paul Schrader
Attori: Jeff Goldblum, Willem Dafoe, Derek Jacobi, Moritz Bleibtreu
Fotografia: Sebastian Edschmid
Montaggio: Sandy Saffeels
Sceneggiatura: Noah Stollman, dal romanzo di Yoram Kaniuk
Anno: 2008
Durata: 106’
Uscita italiana: 27 gennaio 2010