Trasposizione dell’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, Child of God è il terzo film diretto da James Franco nel 2013. Dopo l’interessante Interior. Leather bar, documentario sui minuti perduti e censurati di Cruising, e As I Lay Dyng, tratto da William Faulkner, il regista si confronta nuovamente con un’opera letteraria. Nel film precedente Franco si cimentava con la densa scrittura di Faulkner, caratterizzata da un forte spessore psicologico reso tramite complessi flussi di coscienza rielaborati visivamente con un uso massiccio dello split screen. In questo caso la manipolazione del testo scritto è portata avanti (con buon equilibrio) dividendo il film in tre capitoli e arricchendolo con frasi prese direttamente dal libro e riportate a tutto schermo. Una scelta stilistica dettata dalla volontà di non ridurre il testo di riferimento a semplice “soggetto”. Uno strumento linguistico come il discorso indiretto libero diventa quindi spunto e strumento per la narrazione cinematografica.
La chiave per una buona resa, per non tradire le aspettative dei lettori che riscrivono mentalmente le immagini di un libro, è la figura di Lester Ballard, protagonista ingombrante e scomodo, di difficile immedesimazione. La scelta è quella di capirlo senza giudicarlo, senza entrare nella sua psiche disturbata, disegnando un affresco fatto di momenti di vita quotidiana con dissolvenza in nero e stacco sulla nuova scena, in una spirale autodistruttiva che porterà a drammatiche conseguenze.
L’intera architettura del film poggia sull’intensa performance del protagonista Scott Haze , capace di portare sulla scena un uomo ai margini della società, senza legami, una vita alla deriva che sprofonda sempre più nella degenerazione e nel caos. Crudo ed esplicito nel suo processo di regressione allo stato primordiale dell’uomo, Ballard rappresenta l’isolamento estremo, l’incapacità di allinearsi al mondo, l’impossibilità di comunicare con gli altri, un quadro nel quale il bisogno di accettazione e la disperata ricerca d’amore assumono una prospettiva distorta e sfociano nell’abominio. Una graduale discesa nel buio dove il regista disegna un personaggio allo stesso tempo truce e patetico, in cui il confine tra serial killer efferato ed essere umano impacciato è labile.
Questa duplicità che caratterizza il personaggio conferisce spessore e pathos all’interpretazione di Scott Haze, grazie all’originalità della messa in scena di un carattere umano cosi complesso e disturbato, definito dallo stesso Franco a metà fra Un tranquillo weekend di paura e Charlot.
Uno dei meriti del regista è quello di portare avanti un’idea di cinema molto personale, senza scendere a compromessi, realizzando un film tecnicamente valido. Sorretto dall’ottima fotografia di Cristina Voros e da musiche country in linea con l’ambientazione, il risultato è una rappresentazione nuda e cruda lontana da spiegazioni sociologiche.
Child of God è un’opera aderente al testo di riferimento negli schemi narrativi e nelle tematiche. La chiave del film risiede nel protagonista, un uomo che ha perso, in questo labirintico gioco di specchi che è la vita, la capacità di ritrovare la sua immagine, un “figlio di Dio” caduto nell’ abisso, metafora del lato oscuro che in fondo appartiene a tutti noi.
“Quando se ne furono andati, restò a guardare le orde di stelle fredde disseminate lassù nella cornice del buco, e si domandò di cosa fossero fatte, e di cosa fosse fatto lui.” (Cormac McCarthy)
Luigi Locapo
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda Tecnica
Titolo originale: Child of God
Anno: 2013
Regia: James Franco
Soggetto: Cormac McCarthy
Sceneggiatura: James Franco, Vince Jolivette
Fotografia: Christina Voros
Montaggio: Curtiss Clayton
Durata: 104'
Interpreti principali: Scott Haze, Tim Blake Nelson, James Franco, Jim Parrack