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L'ANGELO DEL MALE - Notturni e proibiti

30/6/2016

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Foto
​Questo film è respiro, pur accogliendoci sin dalle prime scene con il carbone incandescente di una sala fuochi di locomotiva. Eppure è ossigeno quello che Jean Renoir ha saputo dosare fra una scena e l’altra, in una campagna francese per nulla stilizzata ma vaporosa, calda, grassa di rumori e doveri, abitudini e piccoli alloggi.
Quello di Renoir non è soltanto un treno diretto a Le Havre, ma un viaggio fra le abitudini dei ferrovieri francesi: abituati a guadagnarsi la pagnotta lottando contro le viscere arroventate delle locomotive, ancora capaci di ritagliarsi qualche momento per ballare e bere un bicchiere, franchi e schietti, uomini semplici che a notte fonda si confortano con un po’ di prosciutto e un uovo fritto. Come Lantier (Jean Gabin, di un’intensità come sempre insuperabile), un fuochista dal viso fuligginoso che porta a spasso colei che definisce la sua unica vera compagna: Lisa, una bella e capricciosa locomotiva dai cilindri tendenti al surriscaldamento. 
Per Lantier e il collega Pecqueux (Carette) la vita è un andirivieni frenetico fra Parigi e Le Havre sopra draghi di ferraglia sbuffante, arrabattandosi per un pasto e una buona dormita: se Pecqueux è sensibile al fascino delle fanciulle, Lantier è intimamente tormentato. All’apparenza bonario e sereno, è in lui l’ombra terribile di un’eredità famigliare, quella dell’alcolismo, che per generazioni ha sconvolto la mente dei suoi predecessori. 
L’uomo intende sfuggire a quel retaggio, tenta di soffocarlo ma vive sul ciglio di un precipizio nervoso. Soffre della “sua tristezza”, qualcosa che lo isola dal mondo e gli fa fremere le mani ogni volta che una donna appare sul suo cammino. Uno come Lantier non può arrendersi all’amore, quelle sue pericolose mani sembrano incapaci di carezze e l’impulso omicida vive nella profondità del suo sguardo chiaro. Nessuna donna può avvicinarlo, eccettuata Sevérine.
Sevérine (Simone Simon) è una gatta vestita di nero, occhioni innocenti e musetto infantile; le sue labbra dagli angoli all’insù regalano sorrisi dolcissimi, è poco più che una ragazzina ma fa di tutto per apparire raffinata e seduttiva: ha sposato Roubaud (Fernand Ledoux), un vice capostazione avanti con gli anni e morbosamente geloso della piccola moglie perfetta. La vita dimessa della coppia stona con i modi affettati e l’eleganza di Sevérine: gli alloggi appaiono spogli e impersonali e la moglie giovane, annoiata, passa il suo tempo in casa coccolando un gattino. Quando Roubaud, folle di gelosia, scopre un prevedibile tradimento coniugale trascina Sevérine nel baratro dell’omicidio: l’amante va eliminato, i due lo uccidono a bordo di un treno.
Un piano folle e perfetto, se non fosse per la presenza di Lantier nel corridoio del vagone fumatori. Il meccanico dalla mente sconvolta diventa testimone di un’azione omicida e Sevérine, femme fatale di dubbia moralità, non esita a ingraziarselo.
Questo film diventa così un treno pericoloso, un treno che solca la Francia vera e popolare – quella che continuiamo a respirare con massimo piacere – ma svela via via ombre inquietanti. Il triangolo fra la bella sposa bambina, il meccanico turbato e il marito geloso è pura geometria della suspense; ci si abbandona all’intreccio di scene sul filo del rasoio. 
Lantier non può amare nessuna donna, ma per Sevérine farà un’eccezione: il loro amore clandestino è baci rubati sotto la pioggia, appuntamenti proibiti fra le rotaie fino al picco di passione che ha luogo su un vagone vuoto, di notte. La liason romantica è rischiosa, azzardata e spesso troppo vicina agli occhi furibondi di Roubaud. Quest’ultimo scende verso un abisso di degrado umano, abbraccia l’annullamento di ogni nobile principio e il demone ispiratore di questa tetra metamorfosi è una minuta, meravigliosa dea. Vittima di un marito oppressivo eppure carnefice spietata, Sevérine sembra gettare nel fango ogni uomo che l’avvicini in una disperata corsa su rotaie scottanti.
Tratto da La Bestia Umana di Zola il film si apre con una citazione del romanzo, poche righe efficaci che riassumono la disperata condizione di Lantier. L’uomo, perseguitato dagli errori di padri e nonni alcolisti, tenta sino all’ultimo di affrancarsi e cede a una mente sconvolta, mente che infine trionferà sui sentimenti. Bestie umane, quelle che Renoir racconta nel 1938, divenendo ispiratore per un successivo lavoro di Fritz Lang. Nel 1954 le bestie sul set saranno Glenn Ford e Gloria Grahame, mentre in questa prima versione Gabin e la Simon restano scolpiti nella nostra memoria, coppia indimenticabile e ben assortita nell’oscuro dramma alle porte del Neorealismo.
L’incursione in questa Francia di duro lavoro è ossigeno nella sua semplicità e veleno nelle sue sfumature segrete. Il cuore resta appeso agli uomini dal volto annerito, aggrappati alla velocità dei treni e schiavi degli orologi di stazione, abituati a saltare da un capo all’altro del paese stringendo tenere amicizie, incrociando sguardi.
Talvolta pericolosi.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: La bête humaine
Anno: 1938
Durata: 100'
Regia: Jean Renoir
Soggetto: Émile Zola (romanzo)
Sceneggiatura: Jean Renoir
Fotografia: Curt Courant
Musiche: Joseph Kosma
Attori: Jean Gabin, Simone Simon, Fernand Ledoux, Juliene Carette, Colette Régis

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