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ORCHIDEA BIONDA - La prima volta di Marilyn

4/3/2015

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Dell’unica cosa che ho in comune con Marilyn si era già parlato nell’articolo su Niagara, ma della sua vita affollata di ombre non si era fatto parola. Inutile farlo ora, ci hanno già pensato una moltitudine di libri e documentari. Basti pensare a Love, Marilyn, la toccante ricostruzione dei suoi diari, recentemente trasmesso anche in Tv su La Effe. L’ho visto due volte, ho pianto molto in entrambi i casi.
Ora sappiamo che quella massima icona di fascino aveva ingaggiato una lotta con il proprio personaggio: Marilyn sgomitava per uscire dal recinto di filo spinato della biondina frivola e provocante, puntava all’intensità drammatica, era assetata di occasioni per ruoli impegnativi.
Ma non all’inizio della sua carriera.
All’inizio va bene anche un bel visino, poche battute, un ruolo un po’ scomodo, la trafila di esperienze come comparsa. Nel 1948 il contratto con la Fox è scaduto, non è stato rinnovato, i soldi scarseggiano, posare come modella rende poco e tutto ciò che Marilyn ha è un’amicizia (piuttosto chiacchierata) con Joe Schenk, il produttore. Tanto basta per rimediare un ruolo come co-protagonista in Orchidea bionda, per la Columbia. Certo, così com'è Marilyn non funziona. Va sottoposta a una manovra di restyling per avvicinarsi ai canoni della Hayworth, canoni che non raggiunge neppure dopo un cambio di look. Eppure quella biondina crea uno stile tutto suo e il pubblico comincia ad amarla, forse proprio perché non è la Hayworth, forse perché è Marilyn, una dea al primo vagito.
Questa commedia musicale ci porta dritti nei camerini del Vaudeville: si respira un’aria leggera e frizzante che sa di cipria, calze di seta e lacca per capelli. Le ragazze del Burlesque si scambiano battute taglienti davanti allo specchio mentre ritoccano il trucco. Ricordano le fanciulle di Palcoscenico: sono audaci e disincantate, stelline invisibili con le idee chiare e una lunga lista di spasimanti alla mano. “Gli ho detto che non mi piacciono gli uomini che guidano con una mano sola” afferma una di loro nella prima scena, “Così lui ha tolto anche quella dal volante e siamo andati a sbattere contro un albero”. Questo è il vaudeville, signori.
Fra le ballerine ci sono anche Peggy Martin (Marilyn Monroe) e sua madre Mae (Adele Jergens). Ruolo un po’ ingrato per la Jergens, dipinta come una madre dai capelli grigi sotto la parrucca bionda, eppure di solo nove anni più anziana della Monroe. Se Peggy è un uccellino ansioso di spiccare il volo, Mae è una donna scottata da un passato infelice: abbandonata dal padre di Peggy per via dello scandaloso lavoro come ballerina di varietà, si è costruita attorno un castello di diffidenza e moralismo. Quando Peggy agguanta un’occasione e diventa prima ballerina, le cose peggiorano: molti uomini la notano e fanno a gara per uscire con lei, diventa in breve la regina del Burlesque, ha la stoffa per primeggiare e lo dimostra cantando con sicurezza brani come Every Baby needs a da da daddy. Fra i suoi corteggiatori, poi, c’è un uomo misterioso che le invia delle splendide orchidee, e mamma Mae comincia a tremare notando l’espressione sognante della figlia. Forse si avvicina il momento di perderla.
Ben presto l’identità dello spasimante è svelata: si tratta di Randy Carroll, interpretato da Rand Brooks (viso che non sfugge ai bravi fisionomisti, era stato il Carlo Hamilton di Via col vento). Il giovane rampollo di buona famiglia ha perso la testa per la bionda vestita di paillettes che ancheggia sul palco e le chiede rapidamente di sposarlo. Tuttavia, al momento dell’incontro con mamma Mae, il suo entusiasmo romantico subisce una doccia fredda. Mae non vuole assistere a una storia che si ripete e impone al giovane di giocare a carte scoperte, chiarendo subito alla famiglia Carroll che la futura sposa è una ballerina. Lui si impegna a farlo, poi gli manca il coraggio e sarà un piccolo incidente durante una vacanza a casa dei Carroll a portare a galla la verità.
Musica allegra e seducenti coreografie, cascate di fiori d’arancio, equivoci sfiziosi, una trama che non brilla per originalità e un lieto fine palesemente telefonato. Ma allora dov’è il punto di forza di Orchidea bionda?
Semplice, è Marilyn Monroe.
La perfetta eroina per una commedia scanzonata, rassicurante, adatta alle famiglie, per una storia permeata da quella patina di urticante buonismo che risponde alle esigenze dell’epoca. Un piccolo film per una piccola stella che fa il suo dovere sullo schermo fino all’ultima scena, sfruttando una bellezza che è già un lasciapassare.
Per Orchidea bionda l’attrice fronteggiò grandi prove di canto e ballo alle quali non era per nulla preparata; prese lezioni serrate, si perfezionò lavorando con Natasha Lytess (sua maestra di recitazione fino al 1954), si sottopose al giudizio di esperti, fu elogiata dai colleghi. Ma venne ignorata dalla critica e – peggio – dalla Columbia, che non le rinnovò il contratto costringendola a rimettersi in cerca di lavoro. 
Provaci ancora, Marilyn.
Per nostra fortuna sappiamo che lo fece davvero.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Ladies of the Chorus
Anno: 1948
Durata: 61'
Regia: Phil Karlson
Sceneggiatura: Joseph Carole, Harry Sauber
Fotografia: Frank Redman
Montaggio: Richard Fantl
Interpreti: Marilyn Monroe, Adele Jergens, Rand Brooks, Nana Bryant

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NIAGARA - Un motivetto per Rose

6/4/2014

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Ho una cosa in comune con Marilyn Monroe. Vi rassicuro subito: è il giorno di nascita.
Da sempre fiera di questo primo giugno che ci accomuna, non perdo occasione per ricordare che “sono nata lo stesso giorno di Marilyn Monroe”. Le cose in comune finiscono qui. Lasciatemi questo vezzo, l’alternativa è dire “sono nata lo stesso giorno di Morgan Freeman”, che sarà anche un grande attore e un bell’uomo ma non è Marilyn Monroe.
Se di lei vogliamo parlare – mitica e tragica, tanto tagliata per i ruoli di bionda che ammicca – dobbiamo farlo con un occhio di riguardo per i rari ed efficaci ruoli che l’hanno spinta lontana dal cliché. In questo senso Niagara del 1953 è il primo vero banco di prova per l’attrice drammatica che vive in silenzio sul fondo della bionda esplosiva. Pur senza perdere di vista quell’alone di frivolezza che tanto si addice al suo corpo mozzafiato, la Monroe colonizza il grande schermo nel ruolo di Rose Loomis. Non odiarla sarà impossibile.
Canada, cascate del Niagara, diapositiva di neosposini americani attirati dalla Mecca della luna di miele tradizionale. I Rainbow Cottage sono piccole costruzioni gemelle allineate che si sporgono sull’imponenza delle cascate, prestandosi a nido d'amore per sposini come Molly e Ray Cutler (Jean Peters e Max Showalter); sono bomboniere d’amore, eccettuato però il cottage B, saturo di un’atmosfera umida e asfissiante. 
Persiane abbassate, basse nuvole di fumo sopra un posacenere, piccole costruzioni ricavate da un barattolo di conserva. George Loomis (un nervoso e torvo Joseph Cotten) è tornato dalla guerra di Corea pagando lo scotto di una permanenza in manicomio e adesso uccide il tempo, alzando talvolta occhi furiosi e inquieti sulla giovane moglie. Lei, Rose Loomis (battesimo del fuoco technicolor per una Marilyn conturbante), è una disarmante bellezza che pare vivere sospesa in una bolla di confortante noncuranza. Canticchia a labbra socchiuse quella Kiss che ha eletto a canzone preferita, liquida in fretta le scenate del marito uscendo di buon passo sui suoi piccoli tacchi alti, a volte sembra dargli corda, spesso lo schernisce. 
Inafferrabile Rose, implacabile come la cascata, oscilla fra i modi di una moglie premurosa e i freddi silenzi di un letto che è diventato trincea. Così come il cottage stesso, rifugio sudicio di una convalescenza e torbida scenografia per due vite parallele e distanti. Rose esce, va in paese, si concede il lusso di abili scollati (memorabile è l’abito scarlatto che la fascia nella scena del ballo all’aperto). George la segue con gli occhi e poi coi piedi, la accusa di tradimento, si trascina alle sue spalle amandola e disprezzandola senza sosta.
Vivace antitesi allo sfacelo matrimoniale dei Loomis sono i coniugi Cutler, ovvero la coppia americana marchiata anni Cinquanta: Molly è sveglia e sagace, Ray è il marito affettuoso che vive nell’accogliente recinto della banalità, con un impiego per una ditta di popcorn e qualche battuta di spirito più o meno riuscita. Ma i Cutler sono anche gli unici testimoni della decadenza che porta i Loomis ai ferri corti. Imbarazzati eppure coraggiosi, sono gli unici ad avere contatto con il disperato mondo dei vicini di cottage e quasi si propongono di contagiarlo con la loro positività. Fallendo miseramente, s’intende. Perché George sospetta un tradimento e la vita di Rose è un calvario di accuse e insinuazioni.
Quando Molly scorge Rose abbandonata fra le braccia di un giovane sconosciuto nei pressi delle cascate, intuisce che un ordigno pericoloso sia sul punto di esplodere. L’affascinante moglie tanto in pena per il marito reduce di guerra ha un piano preciso per toglierselo dai piedi, e forse quel George che abbiamo creduto pazzo sin dalla prima scena è molto più accorto di quanto non sembri.
Scandito dai rintocchi festosi delle campane, il film svela un Niagara di nebbia e schianti d’acqua, di corpi fradici e  passi smarriti, di edifici scuri e imponenti come la camera mortuaria, pugno in un occhio nell’assolato centro cittadino. Henry Hathaway perde di vista il sapore noir del film e calca con più forza l’aspetto drammatico, accentuando la contorta psicologia dei personaggi. Per i Loomis il delitto è forse il male minore, perché vivere perennemente in balia di scontri accesi o silenziosi è il peggior tormento. 
Manca l’aria in questo film di grandi spazi acquosi e rapide discese verso il basso. C’è tutto lo splendore e la potenza delle grandi cascate, a un passo dalla piccola camera di tortura dove un uomo e una donna danno l’estremo saluto all’amore e il benvenuto alla morte. C’è tutto il patetismo di un vecchio matrimonio naufragato accostato alla genuinità di un nuovo matrimonio che non chiede troppo e vive di poco. Il resto è un delitto che sfocia impetuoso come l’acqua, fra svenimenti e identità rubate, deliri e campane che inneggiano all’amore. Quello vero, quello degli altri.
Non importa che siate nati o meno nello stesso giorno di Marylin: conoscerla nelle vesti di un carnefice sensuale è un grande regalo da fare a voi stessi.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Niagara
Anno: 1953
Durata: 92'
Regia: Henry Hathaway
Sceneggiatura: Charles Brackett, Richard L. Breen, Walter Reisch
Fotografia: Joseph MacDonald
Musiche: Sol Kaplan
Attori: Marilyn Monroe, Joseph Cotten, Jean Peters, Denis O'Dea

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