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L'OCCHIO CHE UCCIDE - Follia d'imago mortis

26/3/2014

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Ho anch’io la mia finestra di fronte, che spicca su un giardinetti per villette retrò. Un po’ di bucato steso, un cane che ciondola fra gli alberi in attesa della cena e la finestra. In quella finestra di fronte non accade niente di avvincente, ha palpebre velate fatte di tende bianche. Tempo fa, incuriosita, ho notato che una ragazza è solita sedersi a quella finestra e guardare verso di me. L’ho studiata cercando di mettere a fuoco la sua faccia e sentendomi a tratti importuna. Poi ho scoperto che non sono io, l’importuna, perché è lei che guarda me, è lei che vuole mettermi a fuoco. Così ogni giorno c’è un rimbalzo d’occhi da vetro a vetro e non saprei dire chi delle due stia spiando l’altra.
Per Mark Lewis (Carl Boehm) lo sguardo è un’arma differente, specie quando è filtrato dalla sua inseparabile cinepresa. Lui è un ragazzone biondo e ben piantato, con occhi seri e profondi e la tendenza a non parlare se non interpellato. Attraversa una Londra caotica con il suo cappotto marrone e i capelli in ordine, la cinepresa non lo abbandona mai e a volte ci mostra parte della sua visione, dandoci l’illusione di essere finiti a sbirciare dentro un obiettivo quadripartito. 
Mark lavora sopra una vecchia edicola che ama commerciare generi differenti; fiammiferi, quotidiani, sigarette e foto di belle ragazze svestite in pose provocanti. La pornografia è una recente scoperta per i britannici e la buona società non disdegna l’acquisto di quelle innominabili foto in più, nascoste fra le pagine del Times. Sopra la piccola rivendita proibita c’è uno studio fotografico ben attrezzato, dove il biondo ed enigmatico Mark immortala modelle con lingerie trasparente e corpo esplosivo. Fotografo di quelle oscenità che Londra brama e ripudia, cineoperatore per un piccola produzione che propone commedie piatte e insapore. Poi torna a casa, in una vecchia palazzina che ha dovuto in parte affittare: per sé ha tenuto soltanto il secondo piano, una grande camera oscura dove sviluppare gli scatti e una saletta di proiezione dove rivedere le sue pellicole migliori. 
È lì che Mark ama sedersi ogni notte, accompagnato dal ticchettio concitato del proiettore e immerso in un buio riposante, per rivedere i migliori momenti di paura che è riuscito a catturare: la paura che scorre disperata sul viso delle donne che ha scelto come modelle e ucciso durante il giorno. Perché l’introverso e taciturno Mark Lewis è un assassino e noi siamo appena entrati in casa sua.
Possiamo imparare a conoscerlo salendo una rampa di scale e bussando alla sua porta, come farà la giovane scrittrice Helen (Anna Massey): rossa di capelli, non tanto attraente quanto sveglia e combattiva, Helen vive al primo piano con una vecchia madre cieca legata ai conforti della bottiglia. Per la ragazza, spigliata e spavalda, l’inquilino del piano superiore è un enigma tutto da svelare, oltre che un ragazzo dai bei lineamenti e lo sguardo sfuggente. Decisa a rompere il ghiaccio, occupa la sedia del regista e chiede di vedere assieme a lui qualche proiezione. Mark la accontenta e le mostra una serie di spezzoni: un bambino addormentato che viene torturato da un fascio luminoso sino a svegliarsi, lo stesso bambino alle prese con un rettile disgustoso. Quella è l’infanzia di Mark raccontata attraverso agghiaccianti filmati girati dal padre, biologo morto anni prima. Un despota, un carceriere, un sadico che ha filmato ogni istante della vita di suo figlio, deciso a studiare di tutti i comportamenti infantili uno dei più diffusi: la paura.
E fa paura, a Helen e a noi, scivolare in punta di piedi in quella vita infelice, nella tormentata e malsana infanzia di Mark Lewis: il bambino spaventato ogni giorno (nelle riprese, il figlio del regista Michael Powell) per ragioni scientifiche e destinato a diventare un uomo ancora più spaventoso.
C’è un involucro di riflessioni Freudiane attorno a questo film, ora considerato un cult e inizialmente scannato dalla critica britannica. Un perverso colpo d’occhio sul mondo del sadomasochismo e del voyerismo, il diario segreto di un mostro innamorato. Helen è l’insospettabile eroina che fa breccia nel cuore di Mark; lui non brama la sua paura, ma desidera i suoi sorrisi. Il rosso dilaga come colore imperante nel set e nei capelli delle figure femminili. Tutto richiama il sangue e la carnalità, i contorni sono netti, i colori e le luci esagerati. Un azzeccato Boehm conferisce a Lewis la giusta dose di pathos e freddezza in perenne contrapposizione. Il regista della paura vaga brandendo il suo occhio assassino, e uccide per mezzo di un braccio armato montato ad hoc sotto la cinepresa. Quasi un artiglio culminante in una lama, eretto con slancio virile, ma un attimo prima della morte.
Un film scopofilo di sguardi nella serratura, che ci rende complici e ci trasforma tutti in quello scomodo Peeping Tom: il consumato guardone ansioso di rubare un’altra scena e un’altra ancora.
La ragazza immobile alla finestra di fronte ne sa certamente qualcosa.
O forse un giorno scoprirò che è solo un attaccapanni.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Peeping Tom
Anno: 1960
Durata: 101'
Regia: Michael Powell
Sceneggiatura: Leo Marks
Fotografia: Otto Heller
Musiche: Brian Easdale
Attori: Carl Boehm, Anna Massey, Moira Shearer, Pamela Green, Maxine Audley

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