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ASSASSINIO AL TERZO PIANO - Giochi che scottano

25/4/2014

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So come rispondere alla domanda “Vuoi giocare?”.
No.
Dall’asilo sino a oggi sono stata la vergogna del ruba bandiera, sono baciata dalla sfortuna al Bingo, me la cavo malissimo a rubamazzo, sono il terrore di tutti durante la formazione delle squadre per i giochi da tavolo.
Accettiamo tutto ciò e rassegniamoci alla fortuna in amore.
E non parliamo di amore, adesso, ma di grandi dimore strampalate.
Kitsch, pop, stravagante, ingannevole per l’occhio. Così è il tempio dei Montgomery. In un’ordinata Manhattan di facciate bianche per villette sviluppate in altezza, il rifugio Montgomery nasconde la sala giochi più bizzarra e ambiziosa di tutti i tempi. Padrone della collezione d’arte è Paul Montgomery (un Peter Pan col volto di James Caan) e tutto è ammesso nel suo regno dei divertimenti. Parrucche, scosse elettriche, flipper, labirinti, specchi deformanti, maschere, ambientazioni vintage e futuriste accostate in un’accozzaglia di smalto, vetro, pelliccia, merletto, plastica. 
I corridoi sono gallerie della follia, le opere d’arte sbucano dagli angoli con il loro fascino spaventoso, e uno stretto ascensore di gusto liberty scuote gli intestini della casa con le sue rapide salite e discese. Compagna di giochi di Paul è la moglie, la verginale e splendida Jennifer, una bambolina titubante e fatalmente attratta dai giochi pericolosi: una luminosa Katharine Ross, fascino allo stato puro. I travestimenti sono all’ordine del giorno per l’esuberante coppia e la perversione è benaccetta nel loro idillio. Dietro un’apparente innocenza c’è lo strascico umido e appiccicoso dell’erotismo e il rasoio delle ombre psicologiche.
Il fulmine a ciel sereno nella vita giocosa e superficiale dei Montgomery è una venditrice porta a porta. Quella massiccia, misteriosa, intabarrata e sorniona Lisa Schindler. Una Simone Signoret forgiata dall’età ma vigorosa e ruggente, esplosiva e teatrale, vero pilastro di personalità in quel frizzante giardino d’infanzia. Aprendo una valigetta piena di creme e lozioni la rassegnata e istrionica Lisa tenta di portare a casa qualche spicciolo, ma proprio al centro del salone degli specchi di casa Montgomery ha un collasso improvviso. Il freddo, la stanchezza, la miseria che la donna tenta di nascondere dietro un pesante cappotto blu. Jennifer, principessa buona del reame senza tempo, non può fingere di non vedere tanta disperazione, così decide di ospitare la strana venditrice.
Che i giochi abbiano inizio. Il triangolo svelerà poco alla volta i suoi spigoli.
Se i Montgomery vanno pazzi per i giochi, con Lisa hanno trovato pane per i loro denti. La donna è un’ottima giocatrice, ama barare e non le dispiace rifinire i suoi trucchi con pistole dai proiettili roventi, roulette russe, tarocchi e impennate di spiritismo. Alla signora piace stare in punta di piedi sulla sponda della morte; oscilla fra l’amore per il macabro e la dipendenza dal rischio, è una miscela di fantasie inosabili e lezioni di vita alla vecchia maniera. 
Per quanto il suo passato rimanga appeso a un mazzo di tarocchi e le sue origini restino relegate in un laconico “Al mio paese”, i giovani sposi la accettano di buon grado e non percepiscono la sua invadenza, ma la coinvolgono in giochi via via più ansiogeni. Boa di struzzo, cerone, vestaglie e ventagli: un Eden barocco dove smarrire la percezione del tempo, dove i confini delle personalità si fondono in una complicità vicina alla depravazione. Ed è in quell’audace amicizia che mette piede incautamente un garzone invaghito di Jennifer. Quale vittima migliore di lui? Si potrebbe invitarlo a giocare, non trovate? Ebbene, fate attenzione, perché i tarocchi di Lisa non sbagliano mai e i tarocchi di Lisa dicono “morte”.
Un’opera sofisticata e sfuggente, di piume di pavone, trappole a molla e grattacapi, di fantasie optical a perdita d’occhio. La casa dei giochi e i giochi insani di un trio che ha per l’inganno una sorta di feticismo. Jennifer è l’inevitabile pedina che il paese dei balocchi risucchia in un concitato decollo di scene dove la paura arriva cigolando, in ascensore. Sotto la cascata scintillante dei lampadari e fra le spie luminose dei giochi automatici, il sangue sgocciola ticchettando a intermittenza. 
Uno scherzo malriuscito getta i Montgomery in pasto a un gioco più grande di loro, e Curtis Harrington si diverte a punzecchiare i nostri nervi mettendoci alle spalle la fedele, onnipresente, sconosciuta Lisa. Chi è quella donna che gira per casa e gioca con pallottole e sfere di cristallo?
Assassinio al terzo piano è uno dei primi film di un brillante regista che già si rivela abile intrattenitore, attento alle intrusioni nel sottosuolo psicologico, il tutto in un economico ma efficace Technoscope.
Una suspense mai banale filtrata attentamente dai colori allegri di una casa troppo grande, troppo elettrica, troppo meccanica, troppo automatica. Troppo facile al corto circuito.
Non molto fortunati al gioco, i Montgomery.
Decisamente sciagurati in amore.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Games
Anno: 1967
Durata: 100'
Regia: Curtis Harrington
Sceneggiatura: Gene R. Kearney
Fotografia: William A. Fraker
Musiche: Samuel Matlovsky
Attori: James Caan, Katharine Ross, Simone Signoret, Don Stroud, Kent Smith

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UN GIORNO DI TERRORE - La gabbia di mamma

22/1/2014

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Ricordo l’ascensore della casa francese dove ho vissuto per un breve periodo, ospite di un amico. Quell’ascensore era solito bloccarsi, facendomi tremare. Ci ho messo tempo a capire cosa non funzionasse nel meccanismo e infine l’ho scoperto: era il mio amico francese che, per movimentare un po’ le mie giornate, bloccava l’ascensore dall’esterno. Aveva un senso dell’umorismo tutto suo, il francese.
Cambiamo ascensore.
Cornelia Hilyard (Olivia De Havilland) è la ricca proprietaria di un piccolo maniero urbano: deliziose porcellane, busti e candelabri, un nido dove carezzare i propri anni con sobria dignità. Una Havilland quarantacinquenne e mai sfiorita la impersona egregiamente. Sin dai titoli di testa assaggiamo un gioco di tagli, scatti e forme che ricordano le sbarre di una gabbia, passando attraverso i fotogrammi del traffico quotidiano. A casa Hilyard, al contrario, regna la placida sonnolenza di una piccola vita tranquilla. Un trionfo di contrapposizioni. 
Il figlio Malcom (William Swan) vive nel boato assordante dell’amore materno, è un bambino in un corpo da trentenne. La madre tiene ben stretto il laccio attorno al suo collo e difficilmente allenta la presa; si sdilinquisce in indigeste raccomandazioni e premure imbarazzanti. Quando Malcom parte per una breve vacanza, ci sentiamo sollevati per lui. Cornelia, reduce da una recente rottura della gamba e costretta a usare un ascensore per spostarsi lungo i tre piani della casa, rimane sola: è intenta a rivangare le vecchie poesie che era solita comporre in passato e nulla può turbare la quiete del suo confortevole rifugio. Nulla, eccetto un disguido.
Mentre l’auto di Malcom si dirige sicura verso un’occasionale libertà, un tecnico addetto a lavorare con i fili elettrici compie un piccolo, fatale errore. Il filo che porta corrente a casa Hilyard si spezza e il buio piomba nella bella dimora. Fra quelle mura, la padrona di casa trattiene il fiato aggrappandosi alle sbarre: si trova all’interno del suo ascensore che si è appena bloccato a mezz’aria fra il primo e il secondo piano, e la cosa non le piace affatto. Ma Cornelia non si scompone, certa che qualcuno rimedierà all’inconveniente. Si sbottona il pullover e sdrammatizza in un rassicurante dialogo con se stessa. Sono gli albori di una tragedia che vi terrà a lungo incollati alla sedia, perché la nostra Cornelia passerà in quella minuscola gabbia tutto il resto del film. Sadismo in tutte le sue sfumature. 
La donna, liquefatta dal caldo torrido, si aggrappa alle notizie della sua piccola radio portatile: la città si è spopolata per il fine settimana vacanziero, c’è l’allerta per il traffico. In casa c’è invece un silenzio logorante, talvolta interrotto dal trillo fastidioso di quel telefono irraggiungibile. I nervi di Cornelia iniziano a dare segni di cedimento e le pareti della gabbia sospesa nel nulla ricordano quelle di una bara. Il debole trillo del campanello d’allarme si perde nel rombo dei motori americani: c’è una curiosa altalena di inquadrature fra l’interno dove regna un silenzio di morte e l’esterno chiassoso. Le ore passano e la poetessa non ha più nessuna voglia di recitare versi; ora è un animale in cattività, spogliato di ogni pudore e trasfigurato dalla paura.
Di lì a poco un barbone completamente ubriaco s’intrufola in casa. A partire da questa scena, il regista indossa guanti da chirurgo e si prepara a operare il pubblico senza anestesia, in una cruda sequenza di orrori. Saggiamo tutta l’impotenza di Cornelia, costretta a guardare il mondo dalla sua prigione dorata. L’uomo saccheggia, strazia e fa scempio della bellezza nella rivincita del popolo degli emarginati sulle inarrivabili esistenze della buona società americana. Ma il farneticante ubriaco è solo il primo di una serie di inquietanti ospiti. Torna accompagnato da una prostituta e depredano la casa. Infine tre giovani criminali irrompono in casa attirati dal trambusto: un ladruncolo e una ninfetta spietata, devoti al capo banda Randall O’Connell (l’esordiente e magnifico James Caan), e un ex carcerato sadico e violento. 
La rivolta dei ruoli ha inizio. Mentre la corte dei miracoli delle brutture umane vandalizza la casa con calze di nylon a sfigurare i volti, l’urlo di Cornelia si fa più disperato (“Io sono un essere umano!”). Donna in gabbia contro bestia a piede libero, in un caleidoscopio che rende molto sottile il confine fra i ruoli. All’esterno c’è ancora il trambusto delle auto, che amplifica l’indifferenza della società facendo di Cornelia la vittima brutalizzata del suo stesso sistema. Seguiamo a fiato corto i suoi vani tentativi di fuga e le perverse gesta dei tre giovani assassini. Le bestie impongono il regime del terrore. Il film risulta efficace, cruento, senza un barlume di pietà e pieno di gabbie dalle quali fuggire.
Avete paura degli spazi chiusi? Questo film non fa per voi.
Non sempre c’è un amico francese disposto a salvarvi dalla vostra gabbietta.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Lady in a Cage
Anno: 1964
Durata: 94'
Regia: Walter Grauman
Sceneggiatura: Luther Davis
Musiche: Paul Glass
Attori: Olivia de Havilland, James Caan, Jennifer Billingsley, Jeff Corey, Scatman Crothers

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