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L'ORGOGLIO DEGLI AMBERSON - La serenata della discordia

24/4/2015

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Pensiamo all’attaccamento per una storia, al regista che punta su una trama, la perfeziona, la rende immagine e la consegna così, nel suo abito migliore, al grande pubblico. Orson Welles, giovanissimo e reduce da Citizen Kane, ha una storia fra le mani: è una magnifica incursione in un mondo ottocentesco dove le peripezie di due famiglie si intrecciano fra sentimenti mai sopiti, possessione e crudeltà. Vuole proporla al pubblico, conducendolo per mano in quella datata cartolina di cilindri in seta, boccoli, carrozze, stivali e pieghe dei calzoni. E trova il modo giusto per farlo, utilizzando la propria voce.
L’orgoglio degli Amberson si apre con una narrazione di taglio documentaristico sugli usi e i costumi del 1873: Welles, voce narrante, descrive gli abiti in velluto delle signore, le buone consuetudini, il tram a cavalli, addirittura fa considerazioni sul passaggio dei tempi. Dopo soli cinque minuti di film il giovane regista ci ha già ipnotizzati, ci ha resi parte di quel mondo dolce e antico di serenate sotto la finestra e grandi ricevimenti nel salone. Il risultato è che noi, grande pubblico, non vogliamo staccarci dallo splendore degli Amberson.
Vogliamo conoscere a fondo la solida e ammirata famiglia che fa il buono e il cattivo tempo a Indianapolis, quegli Amberson che mangiano ostriche crude e pianificano matrimoni a tavolino, quelli che danno all’invidiosa gente del luogo molto di cui sparlare. Sono proprio le chiacchiere degli abitanti locali a illustrarci l’imminente matrimonio fra la giovane e attraente Isabella (Dolores Costello) e Wilbur Minafer, un uomo meno piacente e benestante di lei. Questo matrimonio, così velocemente raccontato sin dalle prime scene, è un colpo basso per Eugene Morgan (Joseph Cotten): il giovane, da sempre innamorato di Isabella, l’ha offesa con una goffa serenata e vede sfumare la sua possibilità di sposarla. Di lì a qualche anno Isabella dà alla luce un figlio di nome George: un bambino terribile e prepotente, degno virgulto di una famiglia che ha forgiato una reputazione a suon di atteggiamenti superbi ed eccessi.
Welles ci accompagna fin qui e resta momentaneamente dietro le quinte in silenzio, per lasciare che siano gli Amberson stessi a narrare la loro storia alcuni anni dopo.
George (Tim Holt) è tornato dal collegio, ma ciò non è bastato a correggere il suo temperamento focoso. Isabella, sua madre, non ha perso la bellezza di un tempo e vive placida al fianco dell’uomo che sposato. Morgan, invitato a un ballo, la rivede e avverte il crepitio dell’antica fiamma. Ad accompagnarlo c’è la figlia Lucy, una splendida e dissacrante Anne Baxter che poco si cura delle formalità. Ed è proprio su Lucy che George mette gli occhi, dando degna prosecuzione a una saga di amori repressi e non corrisposti.
Descrivere dunque i destini intrecciati degli Amberson diventa via via più complicato; come in ogni saga che si rispetti molti sono gli animi e tante le evoluzioni. Ciò che colpisce è l’atmosfera di fasto e agiatezza che, sotto la guida di Welles, sfiorisce gradualmente. Il regista ci regala uno scenario di favola e poi si diverte a scarabocchiarlo con tante piccole, sordide e distruttive pulsioni umane. Agli Amberson rimane l’orgoglio, l’attaccamento a un nome altisonante, mentre i loro cuori vengono spinti alla deriva da una serie di nefaste circostanze.
C’è Isabella e il suo amore per Morgan, un amore mai espresso appieno che germoglia nuovamente non appena la donna rimane vedova. C’è Morgan, nobile d’animo, saggio ed elegante, perfettamente dipinto addosso a quel Joseph Cotten che sostiene ogni ruolo con mirabile maestria. C’è poi George, ed è lui a darci i veri grattacapi. Un viziato e intrattabile ragazzino, possessivo e vanitoso fino all’osso, che vuole allontanare la madre da Morgan e perseguirà il suo intento senza fermarsi nemmeno innanzi alla morte.
Di sensazionale bravura è poi Agnes Moorhead (altra grande stella di un cast già strepitoso) nel ruolo della zia Fanny, una bisbetica signorina mai sposata che sarà complice quasi involontaria di alcuni tragici avvenimenti.
Divina fra tutte, e vero stendardo del significato del film, è la scena che vede Morgan e la figlia Lucy intenti a passeggiare in giardino: colpiti da un destino spietato, i due vivono le pene delle stesse privazioni d’amore, come se gli Amberson si portassero appresso una maledizione che condanna al cuore infranto chiunque s’invaghisca di loro. Così Lucy rammenta una vecchia favola indiana e il padre, leggendo nel suo cuore, le risponde “Quindi tu resterai nel tuo giardino perché sei convinta che sia meglio affrontare la vita passeggiando fra le aiuole fino alla vecchiaia, anziché permettere al cuore di sostituire un cattivo capo?”.
A questa domanda risponderà Welles, l’uomo che ha amato questo film sino a raccontarlo a voce, per poi rinnegarlo dopo i tagli imposti dalla Rko alla pellicola (quasi 50 minuti) ma regalandolo a noi, il pubblico, quello che a distanza di anni sa ancora di avere di fronte un capolavoro.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: The Magnificent Ambersons
Anno: 1942
Durata: 88'
Regia: Orson Welles 
Sceneggiatura: Orson Welles (dal romanzo di Booth Tarkington)
Fotografia:  Stanley Cortez, Russell A. Cully, Jack MacKenzie, Russell Metty, Nicholas Musuraca, Orson Welles
Montaggio: Jack Moss, Mark Robson, Robert Wise
Musiche: Bernard Herrmann (non accreditato), Roy Webb
Attori: Joseph Cotten, Dolores Costello, Tim Holt, Anne Baxter, Agnes Moorehead

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