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LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE - La trappola dell'amore

22/4/2016

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​Questo film è una spirale. Una sola certezza, dal 1958 ad oggi: chiunque si sporga ad osservarla viene risucchiato in un istante. Sembrano passati secoli da quando rincasai vittoriosa con la mia Vhs del film, sentendomi dire dai miei genitori “non è roba adatta a una bambina”. Sembrano passati secoli dalla sera in cui la mia amica Irene si mise d’impegno cercando di impressionarmi e dopo aver premesso “Quello è il film preferito di mio padre” mi diede un’accurata e spaventosa descrizione dell’ultima scena.
La verità è che affrontare un mostro sacro come Alfred Hitchcock (non a caso, uno dei miei registi preferiti) e nella fattispecie un film indimenticabile e potente come questo, è un’operazione pericolosa. Cercare poi di ripercorrere quella storia romantica, surreale ed estrema che fa da ossatura al film, è altrettanto rischioso: questo è un titolo da grande pubblico, tutti hanno visto quella misteriosa Kim Novak vissuta due volte, magari è capitata sotto gli occhi degli insonni in seconda serata, magari è stato afferrato solo qualche spezzone. Sta di fatto che questo è un film universale e il grande Hitchcock gli ha cucito addosso un abito da sera frusciante, lungo, sui toni del verde come molte memorabili scene.
Bastano gli occhi pietrificati e glaciali di James Stewart per correre con la mente a questo capolavoro. C’è quella colonna sonora di Herrmann - non soltanto azzeccata ma addirittura astuta - che con la sua angosciosa ripetizione di suoni sottili e crescendo tumultuosi si è conficcata nella nostra memoria. C’è quella Kim Novak tutta sguardi, curve, alterigia, un Giano Bifronte di splendore il cui controverso personaggio rimanda subito a immagini di campanili spagnoli. Guardiamo allora il film con gli occhi di coloro che amano carpire un messaggio dentro “la tipica storia che tutti crediamo di conoscere”.
​
Il protagonista Scottie (James Stewart) è un avvocato e poliziotto; la sua psicologia è colonna portante dall’inizio alla fine. A seguito di un incidente sprofonda nel mondo dell’acrofobia e da allora vive con i piedi per terra, o almeno questo vorrebbe suggerirci il regista. Ingaggiato da un ex compagno di università per pedinare la moglie, Scottie intravede la spirale. E viene inghiottito in pochi sguardi.
Madeleine (Kim Novak) è una moglie errante e misteriosa, la sua voce è appena un sussurro e i suoi occhi sono punteruoli. Ogni suo abito è un monumento di compostezza, ogni scena che la riguarda è generosa di luce. Scottie deve pedinarla, noi lo seguiamo in uno studio lento e minuzioso, fatto di appostamenti e scene sbirciate. 
Così Hitchcock ci trascina per i capelli nel baratro che ha ideato per Scottie e non soltanto; siamo noi a precipitare nella spirale. Lo scenario circostante è quello di San Francisco come non la conosciamo: non soltanto il suo porto e le sue strade in salita, ma anche le sue campagne e i suoi echi storici, le leggende e i cimiteri. Una San Francisco ricoperta di sole, trafficata e orgogliosa della polvere che si porta appresso, antica e intrigante, sacra e moresca, oscura come i grandi boschi di sequoie che le crescono attorno. Proprio fra gli alberi secolari e le antiquate pensioni di legno, Madeleine vagabonda tristemente tutte le mattine. E forse non è sola, in quel vagabondare.
Guai a svelare altro circa questo film contorto e appassionante che si è difeso dai morsi del tempo e a tutt’oggi risulta un numero di magia ipnotica, sopravvissuto con orgoglio alla Vhs, alle visioni in seconda serata, agli spezzoni.
L’amore è quanto c’è da sapere, infine. Amore di Scottie per una donna che vive due volte sullo schermo in una sconvolgente antitesi. Amore come trappola ossessiva. Amore idealizzato e sconosciuto, intrigante ed enigmatico, bugiardo. Che ci sfiora, ci fulmina, non si racconta per intero e scivola via. 
A questa visione atipica dell’amore si contrappone la sfera terrena, le facili conquiste, la normalità di una come Judy: carne e ossa, difetti e sguardi, impura realtà. Barbara Bel Geddes in questo film ricopre un ruolo all’apparenza secondario nei panni di Midge, grande amica di Scottie, da sempre più o meno silenziosamente innamorata di lui. Una stilla di luce in un cast di per sé portentoso. Le sue afflizioni diventano le nostre e quando esce di scena lo fa dimessa, a piccoli passi, in un cappotto grigio che non la valorizza affatto, lasciandosi dietro una frase che rimanda alla passione negata.
Calce bianca e scale di legno, campane e lapidi in pietra, echi spagnoli e ritratti agghiaccianti, tutto l’orrore di un’anima che lotta per affrancarsi dalla fobia eppure inciampa in un turbamento più profondo e irreversibile.
Il grande amore, le spiegazioni che non possiamo dargli.
Quello che Hitchcock mise sullo schermo nel 1958 è il magnifico meccanismo a spirale che porta gli uomini a perdersi. Da tempo immemore. Senza scampo.
Siete certi di aver già visto questo film? Perché ogni volta svela una virgola, un brusio, un particolare che sembrava sepolto sul fondo della spirale.
Come un abito frusciante, lungo, verde, che sfugge irrequieto al concetto di moda.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Vertigo
Anno: 1958
Durata: 128'
Regia: Alfred Hitchcock
Sceneggiatura: Alec Coppel, Samuel A. Taylor
Fotografia: Robert Burks
Montaggio: George Tomasini
Musiche: Bernard Herrmann
Attori: James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Tom Helmore, Henry Jones

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