ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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LA ROSA TATUATA - La baronessa tradita

11/4/2018

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Una piccola Italia. Resistente nei centrotavola, nella Madonna che veglia appesa al muro, nell’ordine raccolto del salottino, nella padrona di casa Serafina. Fuori c’è la Florida, un villaggio di palme, strade sbiancate dal sole e pettegolezzi.
Serafina Delle Rose veste di nero, è vulcanica, sfacciata, un’autoritaria sarta siciliana giunta nell’America sconosciuta, con il marito Rosario e la figlia Rosa: Anna Magnani incendia il personaggio, imprime un solco indimenticabile in ogni parola, in ogni sguardo truce, in ogni giudizio severo o maledizione gettata al vento, guadagnando l’Oscar. Regina di quella piccola Italia: poche stanze, la fedele macchina da cucire dove si lavora tanto (e senza licenza), il caldo torrido che bisbiglia fra le persiane, la devozione assoluta per quel marito che fa il camionista e il segreto gioioso di un figlio in arrivo. Poi, fra i manichini e le vestaglie di casa Delle Rose – in quella piccola vita protetta dal guscio delle virtù vecchio stampo – irrompe il dramma, lo scandalo. Qualcosa che Serafina non può sopportare.
Rosario muore in uno scontro a fuoco con la polizia mentre trasporta droghe. Sulla scena si aggira anche una bionda disinvolta con una rosa tatuata sul petto: è Estella del club Mardì Gras, è stata l’amante di Rosario per anni, ha persino il suo stesso tatuaggio.
Serafina, dopo aver perso il marito e poi il bambino, si asserraglia nella casa di Rosario Delle Rose – “l’uomo di prima qualità” che ha sempre amato, a suo dire persino nobile – schermandosi dietro al titolo di “baronessa”. Per tre anni si rifiuta di indossare un abito per uscire e di ascoltare le chiacchiere di paese: difende la memoria, senza risparmiare denti e unghie. Si incupisce, si arrabbia, volta le spalle all’amore e al villaggio dove emergono figure femminili distanti, ostili: le bionde americane emancipate, frivole e rumorose, che ordinano bluse di seta e ridono della sarta italiana in maniera più o meno manifesta. Frattanto i tentacoli del lutto strangolano inesorabilmente anche la figlia, Rosa, decisa a sposare un marinaio americano.
Questa tremenda mamma siciliana nasce nel dramma ma a tratti strizza l’occhio alla commedia. Scoppi d’ira funesti, preghiere spinte quasi alla scaramanzia, il controllo sulla figlia, il terrore che i vicini possano mormorare. Una vedovanza ferrea, plumbea, angosciata, di rose fresche che non vengono più messe nei capelli, di abiti che infagottano un corpo ancora piacente, di accorati appelli al marito defunto (“Rosario, dimmi che non è vero che mi tradivi”).
Proprio in questo scenario nervoso e deprimente piove dal cielo l’irrefrenabile Alvaro Mangiacavallo (Burt Lancaster, qui in un’interpretazione straordinaria). Venuto in soccorso di Serafina mentre la donna, all’apice dell’isteria, sta insistendo perché il confessore di suo marito le spifferi i peccati commessi dal defunto, Alvaro si presenta per come è. Un ragazzone di origine siciliana, in canottiera, camionista, pericolosamente simile al quel “barone Delle Rose” venuto a mancare. Irruento e genuino, tutto risate e marachelle, vive con una sorella zitella, un padre “buono a niente” e una nonna giocatrice d’azzardo. Non ha un soldo e nemmeno molto giudizio, ma sa come acchiappare una capra fuggitiva, gli piace raccontare storielle e bere un bicchiere di vino a suggello di nuove amicizie.
Per Serafina, ben presto, proverà sentimenti così tumultuosi da escludere del tutto l’ipotesi di un’amicizia: si innamorerà in un giorno e inizierà, con modi da saltimbanco galante, a reclamare le attenzioni della piccola sarta. Starà proprio all’inavvicinabile vedova decidere se aprire, con le dovute precauzioni e ridendo di se stessa, il proprio cuore a Mangiacavallo.
Come Serafina confeziona abiti su misura, così Tennessee Williams scrive La Rosa Tatuata proprio per Anna Magnani, confidando che il ruolo le calzi a pennello e la porti sul palco dei grandi teatri: messa in difficoltà dall’esigenza di parlare in inglese, Anna diviene invece protagonista di un film diretto da Daniel Mann. Williams volle per se stesso la scrittura della sceneggiatura e la scelta della Magnani nel ruolo di Serafina. Il risultato è un film incredibilmente attuale dove, più che l’amore o il dramma o il furore comico della coppia Magnani – Lancaster, emerge il ritratto di un’Italia in miniatura, relegata negli angoli di una grande America con la fronte rivolta al futuro. Immigrati legati a doppio filo alle proprie tradizioni religiose, disposti ad arrangiarsi per sbarcare il lunario, affezionati a quel modo tutto italiano di stringere un patto con una risata e un sorso di vino. Un’Italia che trova il proprio corpo in quello elettrico ed energico di Anna Magnani. Un volto scavato con il cesello nella sofferenza, nella saggezza popolare, nello struggimento amoroso, con mani che creano camice di seta rosa e minacciano di strozzare una figlia incorreggibile. Forte, intensa, buona di cuore e turbata nell’anima, la Serafina di Anna Magnani è un caldo alito di vita imprigionato in un mondo smisurato – quello americano – fatto di insolenze al suo concetto di pudore.
E con tutta la sua tenacia Serafina difende un titolo che forse non le appartiene realmente, facendo gli occhi cattivi a chi turba il suo lutto ma spalancando arresa le braccia all’amore, come solo una tremenda donna italiana sa fare.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: The Rose Tattoo
Anno: 1955
Durata: 117'
Regia: Daniel Mann
Sceneggiatura: Tennessee Williams
Fotografia: James Wong Howe
Musiche: Alex North
Attori: Anna Magnani, Burt Lancaster, Marisa Pavan, Ben Cooper, Virginia Grey, Jo Van Fleet

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TAVOLE SEPARATE - La pensioncina inglese

29/3/2016

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Quando le porte del piccolo albergo Beauregard si apriranno vi sentirete parte di quella colorita schiera di personaggi seduti ciascuno al proprio tavolo. Un microcosmo, un quieto salotto di Bournemouth dove trovano spazio svariati soggetti che a turno sapranno strapparvi un sorriso e commuovervi. E se l’idea di una piccola pensione britannica primi anni Cinquanta e la vita dei suoi abitanti vi intriga, questo film fa al caso vostro, seppure tradisca una certa rigida e impostata atmosfera teatrale.
Un film che decolla faticosamente perché appunto incatenato all’origine teatrale (soggetto di Terence Rattigan del 1954) eppure meritevole di essere riscoperto anche soltanto per godere delle sue interessanti sfumature. Non a caso c’è un cast stellare sullo schermo.
Immaginate un elegante David Niven nei panni del valoroso maggiore Pollok, militare in pensione che ammorba tutti i presenti con i fantasiosi racconti delle proprie imprese. Mettetegli accanto Sibyl, una Deborah Kerr caricaturale e irresistibile, nevrotica e goffa signorina mai convolata a giuste nozze per volere della terribile madre. Quest’ultima è Maude Reiton Bell (Gladys Cooper), un tiranno in abito da sera, un’avvizzita signora dal linguaggio ricercato e velenoso, giudice implacabile in materia di decoro. 
Non manca lo scrittore dal passato oscuro, John Malcom (Burt Lancaster) adorabile perdigiorno amante del buon whisky, pronto a far arrossire le vecchie signore. A lui spetta il fardello di una storia d’amore segreta con la proprietaria del Beauregard e su di lei vorrei soffermarmi per mettere in luce ancora una volta le doti straordinarie di una grande attrice ingiustamente poco conosciuta, che abbiamo già incontrato in So dove vado (trovandola già allora una straordinaria eroina romantica): Wendy Hiller, questa volta nei panni della signorina Cooper, autoritaria e composta presenza che tiene le fila di quella caotica pensione e veglia sulle malefatte dei pensionanti. La Hiller ha lineamenti arcigni, una fisicità piuttosto mascolina, è rigida nei gesti e non si lascia facilmente trasportare dalle emozioni: è una perfetta signorina inglese, dura e risoluta, eppure tenera in maniera disarmante.
Fra lo scrittore John e Miss Cooper nasce così un amore che sorvola sulle diversità, un amore che riesce a renderli compatibili nonostante tutto, ed è proprio in quello scenario così timido e dolce che fa irruzione una nuova ospite del Beauregard: l’ex moglie di John, modella provocante e sensuale che non poteva trovare interprete migliore di Rita Hayworth. Questa è una parte della rosa di grandi talenti che animano le tavole separate, mantenendo viva la nostra attenzione attraverso un gioco prettamente teatrale di arguzie e dialoghi brillanti, battute esilaranti e brevi momenti di pathos.
“Tavole separate”, assicura l’insegna del Beauregard, garantendo agli ospiti intimità durante i pasti. Tutt’altro racconta questo film, mettendo in luce gli intrighi e le segrete intese, provocando e rivelando l’umanità e le debolezze della “gente perbene”.
Delbert Mann racconta la storia senza tralasciare qualche formalismo, conserva intatta quella veste teatrale che sul grande schermo risulta a tratti ridondante e rende le azioni un po’ ingessate, i tempi un po’ lenti. Ma il punto di forza di questo film risiede proprio nella sua capacità di mostrare una vicenda da sipario alzato: la narrazione è ricca e polposa, lo spettatore può contare su qualche tiepido colpo di scena. Nulla che lo faccia saltare sulla sedia ma di certo un buon pretesto per restare teneramente appeso al racconto all’inglese di un piccolo mondo. 
Gli ospiti si rivelano più che mai intenzionati a mantenere una certa sobrietà di facciata e infine cedono al richiamo dell’istinto e a un Amore imperativo, che porta ciascuno di loro all’affermazione personale. Lancaster dovrà scegliere a quale donna affidare il proprio destino, trovandosi intrappolato fra una cacciatrice fatale e una signorina di sani principi. La timida Sibyl troverà il coraggio per ribellarsi alla madre e corrispondere le galanterie di Niven, ex militare con qualche scomodo segreto. 
Infine ci scopriremo affezionati a questa pensioncina inglese dove non mancano amori, sfuriate e bisticci, cruciverba e romanzi gialli. Parteciperemo anche noi alle buffe riunioni delle anziane residenti, decise a difendere la nettezza della reputazione. Ci lasceremo prendere per mano da questi ospiti dove trionfa superba una Kerr ancora una volta capace di autentica autoironia e per nulla scomoda nei panni di una Sibyl repressa e un po’ credulona. I grandi talenti sullo schermo di Tavole Separate ci inviteranno quindi a prendere posto fra loro.
Per un tè, una cena, un momento di quiete in quella magnifica cartolina di un momento storico dove lampade a stelo lungo, imponenti poltrone, centrini e pianoforti chiamavano a raccolta i più interessanti personaggi.
Per fare salotto, all’inglese.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Separate Tables
Anno: 1958
Durata: 100'
Regia: Delbert Mann
Sceneggiatura: John Gay
Fotografia: Charles Lang
Musiche: David Raksin
Attori: Rita Hayworth, Deborah Kerr, David Niven, Wendy Hiller, Burt Lancaster, Gladys Cooper

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