Vincitore del TFF nel 2012 con Shell, Scott Graham scrive e dirige con Iona un dramma dall'evidente punto di contatto con la sua opera prima, che vedeva al centro un (morboso) rapporto tra padre e figlia, mentre qui abbiamo una madre e un figlio dal legame tutto sommato distaccato. Un padre ci sarebbe anche ed è l'uomo attempato da cui i due alloggiano, e la cui figlia, Elizabeth, era la migliore amica di Iona; Elizabeth ha anche una figlia, dalle estremità inferiore paralizzate e oggetto di preghiere e cure, con cui Bull abbozza una relazione, malvista dai genitori di lei.
Nonostante sia stato il ragazzo a commettere il gesto che li ha portati a cercar rifugio altrove, la più tormentata, sotto una scorza di freddezza, è la madre. Tagliando un ponte per riallacciarsi al suo passato da cui a sua volta aveva tagliato ogni aggancio, Iona si rende conto di non poter controllare tutto e tutti (nonostante sia pronta anche a mettere in gioco il suo corpo per questo e nonostante Bull non giunga a sapere l'identità del padre), in primis il livello di elaborazione di quanto accaduto e la voglia di aprirsi da parte del figlio. Non può esserci per lei serenità o distensione, e non sembra comunque mai credere realmente che possano presentarsi. È come se la vita relazionale della protagonista non comprendesse rapporti personali risolti; se c'è stata felicità nella sua vita ne ha fatto esperienza, sull'isola, un po' di tempo prima.
In una comunità imbevuta di fede, in cui si ringrazia sempre il Signore prima di toccare il cibo (come siamo abituati a veder fare alle famiglie americane), la donna dice al figlio di non pregare, perché non serve. Ma su questo terreno lo vede sfuggirle (in un film, peraltro, in cui i personaggi, quasi sempre seri, a volte si perdono proprio di vista tra loro, muovendosi nell'ambientazione e meditando solitari); Bull, affascinato dalla religiosità altrui, sembra aver trovato una strada, cosa che lei è lungi dal riuscire a fare, anche se tutto deve ancora avviarsi alla sua conclusione.
Lo sguardo di Graham, non supportato da musica, è sempre meditato, dotato di senso e di forza, e i volti comunicano il peso del vissuto; anche se a conti fatti sorge qualche sospetto di maniera. Nel film si parla abbastanza poco, la laconicità ne è parte integrante. Essa ha anche dei fini espressivi e narrativi: all'inizio funge da scudo, poi rotto da muti flashback, per l'antefatto e tocca anche, lasciando disorientati, le motivazioni dei personaggi, come succede con Bull e con la scelta estrema che compie alla fine (dopo una bizzarra fuga al termine di un rapporto sessuale). Di fronte a ciò, un paio di passaggi in cui si parla del passato sembrano quasi didascalici, ma il punto è che tale laconicità sembra leggermente forzata, ai fini della messa a punto di qualcosa che sia “artistico”. Come se il regista avesse fatto prevalere le idee, e il suo modo di fare cinema, alla costruzione dei personaggi. Il conteggio finale dei morti lo si tende ad accettare trattandosi di un film controllato, ma siamo dalle parti di una sagra della sfortuna che non convince completamente.
Pur suscitando alcuni dubbi, e risultando meno bello e meno aperto verso l'emozione dello spettatore rispetto a Shell, Iona è comunque una boccata di buon cinema che non meriterebbe di sparire o quasi come capitato al film precedente. E la protagonista Ruth Negga (Iona) buca lo schermo.
Alessio Vacchi
Sezione di riferimento: Torino 33
Scheda tecnica
Regia e sceneggiatura: Scott Graham
Attori: Ruth Negga, Ben Gallagher, Michelle Duncan, Tom Brooke
Fotografia: Yoliswa von Dallvitz
Montaggio: Florian Nonnenmacher
Anno: 2015
Durata: 90'