God Bless the Child, punta di diamante del concorso dell’ultimo Torino Film Festival, è un piccolo, profondo film che restituisce l’utopia di un mondo senza adulti, guardando tutto ad altezza di bambino, in maniera limpida e purissima. Un’opera che riconcilia con gli occhi e con il cuore, che annulla quasi la presenza della macchina da presa pur sottolineandone a dismisura la presenza mobile e il movimento tangibile, che si dedica a innumerevoli momenti di vita quotidiana con dedizione e attenzione millimetrica per ogni dettaglio messo in scena. Un bambino su un letto, altri due bimbi che dissertano di supereroi chiedendosi chi impersonerà uno e chi invece farà l’altro. Molti sono piccolissimi, la loro madre è assente, e a badare a loro c’è la sorella maggiore, che però ha solo tredici anni e non sembra nemmeno vivere l’età che ha, subissata com’è da una quantità impressionante di responsabilità che la attanagliano e la frenano.
Sono le premesse di un universo familiare sfaccettato ed enormemente realistico, mai artefatto e sempre coinvolgente, anarchico e vitale, dove non ci sono regole e la regia pare inseguire a più riprese tale assenza di steccati e di imposizioni, fluttuando liberamente da una situazione all’altra. La costruzione visiva delle singole sequenze, nonostante tale impronta impressionistica e il tono saltellante dell’insieme, non perde però mai l’occasione di marcare la propria cura estetica, chiaro indizio di uno sguardo profondamente formale ma mai formalista.
Non rinuncia al gioco, allo scherno e alla sincerità disarmante della propria visione del mondo, God Bless the Child, eppure è in grado di trovare, da qualche parte, una compostezza morale in grado di ricomporre tutto quanto e far quadrare il cerchio, con una solidità ammirevole che trascende l’apparente immediatezza e si fa sguardo sul mondo strutturato e composito. Tra levità e stupore, tra acutezza e incanto ludico.
I bambini, che nella realtà sono figli di uno dei registi, Robert Machoian, sono oggetto di un’attenzione curiosa e interrogativa ma mai meramente giudicante, che non esita a specchiarsi nella loro libertà sfrenata, regredendo al grado zero dell’esistenza per poter tornare a vedere con occhi più puri e rinnovati. Non c’è ovviamente sceneggiatura, in God the Bless the Child, ma una cosciente e consapevole volontà di sganciarsi da qualsiasi forma di ripresa studiata e di soluzione paludata per dare vita a un affresco potente e grondante di spontaneità, capace di travalicare la rigidità dei generi.
Documentario? Film di finzione abilmente negato e truccato da qualcos’altro? La più classica delle docufiction? Il film, a questo proposito, dà l’idea di infischiarsene con lo stesso incantevole menefreghismo dei suoi giovanissimi protagonisti, pescando dalla vita vissuta per ritagliare epifanie e istanti di verità da portare sullo schermo e da immortalare in tutta la loro irripetibile bellezza (si veda in particolar modo la scena corale nella quale più bambini insieme lavano un cane, una sequenza immersa in un’atmosfera di estatica bellezza).
Girato in tre mesi, God Bless the Child è una scoperta preziosa, un film di una semplicità disarmante eppure complesso e mutevole, che cambia pelle di continuo inseguendo le bizze dell’età più irripetibile e incontaminata della vita, aprendosi nel finale a sequenze notturne dal forte impatto e a un epilogo che lascia un segno profondo, ben oltre i titoli di coda.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Torino 33
Scheda tecnica
Regia: Robert Machoian, Rodrigo Ojeda-Beck
Sceneggiatura: Robert Machoian, Rebecca Graham
Fotografia: Robert Machoian
Montaggio: Robert Machoian, Rodrigo Ojeda-Beck
Cast: Harper Graham, Elias Graham, Arri Graham, Ezra Graham
Anno: 2015
Durata: 92'