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TORINO 33 - Paulina (La Patota), di Santiago Mitre

22/11/2015

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“Una delle sfide che La patota ci pone riguarda il rispetto delle decisioni che non condividiamo. È facile rispettare scelte identiche a quelle che avremmo fatto noi stessi, ma è praticamente impossibile provare a comprendere ciò che riteniamo sbagliato. Perché Paulina prende quella decisione? Cosa sta cercando, e cosa vuole dimostrare? Ce lo siamo domandati in ogni momento del film e continuiamo a farlo anche adesso.”

Le parole di Santiago Mitre, regista argentino classe 1980, qui al suo secondo lungometraggio dopo El estudiante (2011, premiato a Locarno), ben riassumono il senso profondo racchiuso all'interno di Paulina (La Patota), film reduce dalla vittoria alla Semaine de la Critique dell'ultimo festival di Cannes e ora presentato in concorso a Torino. Un lavoro che naviga con coerenza nel mare dell'incertezza, ponendo diverse domande senza peraltro fornire risposte, lasciando in eredità riflessioni mutevoli racchiuse negli occhi dolenti ma sempre determinati della sua protagonista.
Paulina ha 28 anni, è figlia di un potente giudice e ha un brillante futuro di avvocatessa davanti a sé. Eppure decide di deviare dalla comoda strada che ha di fronte, per partecipare a una missione umanitaria destinata all'insegnamento dei diritti fondamentali a ragazzi disagiati che vivono in una zona periferica situata al confine tra Argentina, Paraguay e Brasile. La sua decisione manda su tutte le furie il padre, incapace di comprendere per quale motivo la figlia possa anche solo pensare di perdere il proprio tempo con adolescenti sbandati invece di mettere a frutto i suoi studi e dare sostanza alla carriera di successo che l'attende. 
Paulina prosegue nel suo intento, si trasferisce nella scuola dove dovrà insegnare, fa amicizia con alcune colleghe, prova a inserirsi nella nuova e difficile realtà. Quando le cose iniziano a ingranare, sulla donna si abbatte la sventura: una notte viene assalita da cinque ragazzi del luogo, e stuprata da uno di essi. Lo shock è dirompente, ma superate le prime traumatiche ore Paulina volta le spalle a qualsiasi prassi relativa alla giustizia, finge di non sapere chi siano i suoi aguzzini, torna a insegnare come se niente fosse accaduto, e quando apprende che a causa della violenza subita è rimasta incinta, dimostra di non essere affatto sicura di voler abortire. 
Il bambino di Paulina è un essere che ha diritto alla vita, a discapito delle orribili circostanze in cui è stato concepito. Per questo motivo l'idea dell'aborto le risulta indigesta. Alla donna oltretutto non interessano né la vendetta, né tantomeno lo stancante iter giudiziario necessario a condannare i colpevoli. Ciò che le preme è soltanto comprendere i perché dell'accaduto. Trovare proprie risposte, proprie verità. Superare il terrore e ragionare sui fatti e le circostanze. Forse anche concedere una possibilità di redenzione ai suoi carnefici. Ma soprattutto, con intima urgenza, capire.
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Sorretto dalle buone interpretazioni di Dolores Fonzi (la protagonista) e Oscar Martinez (il padre progressista che tale poi tanto non è), il film di Mitre intavola sin da subito un dialogo aperto con lo spettatore, mettendo sul piatto un'ampia gamma di dilemmi morali senza peraltro, fortunatamente, arrogarsi il dovere di fornire interpretazioni, chiarimenti o conclusioni. Il tema portante della pellicola, ovvero l'incapacità che spesso abbiamo di sforzarci nell'accettare le scelte altrui, per quanto sulla carta folli esse siano, diviene specchio riflettente di una realtà fragile in cui la violenza porta con sé cause non visibili a una prima lettura, ma abbastanza evidenti qualora se ne vogliano approfondire i connotati. Lo sguardo mai domo di Paulina, prima e dopo il nero evento, rappresenta in toto il cuore pulsante di una donna che ancora trascina con sé un'incrollabile fiducia nell'uomo, in quanto creatura depositaria di diritti sacrosanti e inalienabili per il solo fatto di essere una parte attiva e presente del mondo. Un dogma cristallino, solido e feroce, al punto di non crollare neanche dopo l'abiezione.
Compatto, denso, privo di fronzoli e pervaso da una tensione silente ma palpabile, il lavoro diretto e sceneggiato dall'autore argentino scivola dalla notte al giorno, dal pianto alla speranza, dalla paura alla coraggio, dall'istinto alla razionalità, senza mai perdere di vista il sentiero intrapreso e senza mai togliere alla sua figura di riferimento l'inesausto desiderio di camminare, respirare, imparare, analizzare, perdonare. Con fierezza e dignità. Forse sola contro tutti. Ma sempre a testa alta.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 33

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Scheda tecnica

Titolo originale: La Patota
Anno: 2015
Regia: Santiago Mitre
Sceneggiatura: Santiago Mitre, Mariano Llinás
Fotografia: Gustavo Biazzi
Montaggio: Delfina Castagnino, Leandro Aste, Joana Collier 
Musica: Nicolás Varchausky 
Durata: 103'
Attori: Dolores Fonzi, Oscar Martinez, Esteban Lamothe, Cristian Salguero, Verónica Llinás

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