Lo si evince dall'ormai sconfinato pozzo d'appartenenza semantica, il fatto che un film di questo tipo possa compiacersi nel suo essere, come tutti gli altri, perfettamente funzionale e servizievole nei confronti di un ultra-citazionismo esibito di cinefilia (qui) isterica, a rimbalzare forsennatamente giochi iper-testuali; e tuttavia, epurandolo dalle sovrapposizioni di superficie furba ed accattivante, quello che da noi è mutato in Quel fantastico peggior anno della nostra vita (e per una volta, avrebbe potuto esser peggiore anche il traslato) lavora soprattutto come un'intelligente macchinetta ironica, nel suo essere macchietta e rielaborazione camuffata di cliché al contempo, ma giovandosi di un impianto comico divertito (e divertente), mitragliando raffiche di battute a ritmo soppesato e servendosi del solito scrittore-sceneggiatore che dall'omonimo libro ne ha tratto uno script d'integra efficienza.
Lontano, lontanissimo da qualsiasi tentativo più o meno recente di contestualizzare tragicomiche storie (e sempre, sempre lacrimevoli) di teenager sfigati e ben vestiti ammalati di cancro (sovviene il bruttissimo Now is Good e l'altrettanto mozzo Restless), qui si racconta del liceale Greg alle forzate prese con la vicina di casa Rachel (Olivia Cooke) ammalata di leucemia, para-eroi di questi universi trasognati, e dei sei mesi della loro neo-nata amicizia; a fare da controcampo, il "collega" di sempre Earl, con cui Greg spartisce i dolori dell'essere giovane outsider in una scuola ancor più roboante di comparse umane dissociate (il dark, l'insegnante di storia che ne fa dei protégé, la ragazza prorompente e irraggiungibile) e parodiche.
Entrambi piccoli geni dello stop-motion, fuso nei loro caricaturali remake di opere classiche dell'idolatrato cinema, il film si riavvolge programmaticamente, tra gli schiaffi di una camera virtuosa e mobile e il concatenarsi di fatti irriverenti e una sceneggiatura che tenta di distruggere, almeno per buona parte dell'opera, ogni potenziale dislivello drammatico insito nella sua materia prima. Rachel imparruccata come la più bella Natalie Portman, Greg a imitare Herzog e a parlare con il poster di Wolverine; tutto sembra non voler protendere verso un raccoglimento conclusivo fin troppo manualistico, e forse nemmeno obbligato (la ragazza morente, appunto), mentre per metabolizzare lo sfortunatamente adagiato e soffocato finale ci si guarda guardare Greg e Doinel e la loro corsa verso il mare, a desertificare futuri e a bearsi di una formazione adolescenziale forse compiuta nei suoi panni più melanconici, seppur scevra di sotterraneità rischiose che possano collimare con la leggerezza di fondo. Ancora una volta a dirsi come vivere (in un film).
L'affossamento nell'ultima (inevitabile?) tristesse, proiettata su un muro d'ospedale e sul volto piangente di Rachel, a morire osservando il cortometraggio che gli amici hanno confezionato per lei, con sovraesposto tentativo (riuscito) di caricare il filmico sul filmico, si intreccia con un'acquisita e conquistata autoaffermazione del proprio io in evoluzione (esattamente come accadeva in The Perks of being a Wallflower), a formare un arco completo di cognizione ego-riferita e di cultura relazionale.
Nulla di nuovo, si dirà. Ma l'ammiccamento, almeno in questa sede, riesce a non devastare gli argini del consentito, evitando di sfregiare il narrativo e conservando una robustezza di forma specifica parzialmente coesa e intonata, senza patinare, senza elucubrare morbosamente (si vorrebbe azzardare Mistress America, in altre zone). Tutto il possibile empatico e l'economia narrativa, a sguazzare nell'invidiabile sfrontatezza di un humor nero e il suo sottotesto - con Brian Eno a curarne una più che modesta seppur presentissima soundtrack - fanno il resto.
Laura Delle Vedove
Sezione di riferimento: Torino 33
Scheda tecnica
Regia: Alfonso Gomez- Rejon
Interpreti: Thomas Mann, Olivia Cooke, Rj Cyler
Sceneggiatura: Jesse Andrews
Fotografia: Chung-hoon Chung
Musica: Brian Eno
Anno: 2015
Durata: 105'
Uscita italiana: 3 dicembre 2015