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TORINO 33 - Me and Earl and the Dying Girl, di Alfonso Gomez-Rejon

25/11/2015

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Immagine
Ennesimo filmettino indie, si potrebbe dire, questo Me and Earl and the Dying Girl (diretto da Gomez-Rejon, non poco casualmente partorito dai lidi televisivi statunitensi e qui alla sua seconda opera cinematografica); eppure, se lo si pensa spogliato da ogni topos del genere, i cui limiti abbondano reiterandosi in maniera spesso fin troppo pretenziosa nella loro gemellarità, ed eludendo i plausi scontati, ma giustificabili, ricevuti al Sundance, il testo si presta, se non a una lettura stratificata (soprattutto laddove la natura stessa evita un introiettare eccessivamente verticale), almeno a un apprezzamento delle sue virtù di facciata, di accoglimento estetico, di giradischi oliato pensato e racchiuso in se stesso.  
Lo si evince dall'ormai sconfinato pozzo d'appartenenza semantica, il fatto che un film di questo tipo possa compiacersi nel suo essere, come tutti gli altri, perfettamente funzionale e servizievole nei confronti di un ultra-citazionismo esibito di cinefilia (qui) isterica, a rimbalzare forsennatamente giochi iper-testuali; e tuttavia, epurandolo dalle sovrapposizioni di superficie furba ed accattivante, quello che da noi è mutato in Quel fantastico peggior anno della nostra vita (e per una volta, avrebbe potuto esser peggiore anche il traslato) lavora soprattutto come un'intelligente macchinetta ironica, nel suo essere macchietta e rielaborazione camuffata di cliché al contempo, ma giovandosi di un impianto comico divertito (e divertente), mitragliando raffiche di battute a ritmo soppesato e servendosi del solito scrittore-sceneggiatore che dall'omonimo libro ne ha tratto uno script d'integra efficienza.

Lontano, lontanissimo da qualsiasi tentativo più o meno recente di contestualizzare tragicomiche storie (e sempre, sempre lacrimevoli) di teenager sfigati e ben vestiti ammalati di cancro (sovviene il bruttissimo Now is Good e l'altrettanto mozzo Restless), qui si racconta del liceale Greg alle forzate prese con la vicina di casa Rachel (Olivia Cooke) ammalata di leucemia, para-eroi di questi universi trasognati, e dei sei mesi della loro neo-nata amicizia; a fare da controcampo, il "collega" di sempre Earl, con cui Greg spartisce i dolori dell'essere giovane outsider in una scuola ancor più roboante di comparse umane dissociate (il dark, l'insegnante di storia che ne fa dei protégé, la ragazza prorompente e irraggiungibile) e parodiche. 
Entrambi piccoli geni dello stop-motion, fuso nei loro caricaturali remake di opere classiche dell'idolatrato cinema, il film si riavvolge programmaticamente, tra gli schiaffi di una camera virtuosa e mobile e il concatenarsi di fatti irriverenti e una sceneggiatura che tenta di distruggere, almeno per buona parte dell'opera, ogni potenziale dislivello drammatico insito nella sua materia prima. Rachel imparruccata come la più bella Natalie Portman, Greg a imitare Herzog e a parlare con il poster di Wolverine; tutto sembra non voler protendere verso un raccoglimento conclusivo fin troppo manualistico, e forse nemmeno obbligato (la ragazza morente, appunto), mentre per metabolizzare lo sfortunatamente adagiato e soffocato finale ci si guarda guardare Greg e Doinel e la loro corsa verso il mare, a desertificare futuri e a bearsi di una formazione adolescenziale forse compiuta nei suoi panni più melanconici, seppur scevra di sotterraneità rischiose che possano collimare con la leggerezza di fondo. Ancora una volta a dirsi come vivere (in un film). 
L'affossamento nell'ultima (inevitabile?) tristesse, proiettata su un muro d'ospedale e sul volto piangente di Rachel, a morire osservando il cortometraggio che gli amici hanno confezionato per lei, con sovraesposto tentativo (riuscito) di caricare il filmico sul filmico, si intreccia con un'acquisita e conquistata autoaffermazione del proprio io in evoluzione (esattamente come accadeva  in The Perks of being a Wallflower), a formare un arco completo di cognizione ego-riferita e di cultura relazionale.
​Nulla di nuovo, si dirà. Ma l'ammiccamento, almeno in questa sede, riesce a non devastare gli argini del consentito, evitando di sfregiare il narrativo e conservando una robustezza di forma specifica parzialmente coesa e intonata, senza patinare, senza elucubrare morbosamente (si vorrebbe azzardare Mistress America, in altre zone). Tutto il possibile empatico e l'economia narrativa, a sguazzare nell'invidiabile sfrontatezza di un humor nero e il suo sottotesto - con Brian Eno a curarne una più che modesta seppur presentissima soundtrack - fanno il resto. 

Laura Delle Vedove

Sezione di riferimento: Torino 33


Scheda tecnica

Regia: Alfonso Gomez- Rejon
Interpreti: Thomas Mann, Olivia Cooke, Rj Cyler
Sceneggiatura: Jesse Andrews
Fotografia: Chung-hoon Chung
Musica: Brian Eno
Anno: 2015
Durata: 105'
Uscita italiana: 3 dicembre 2015

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