Jack è un tipo qualunque, con le fragilità e le insicurezze di qualsiasi uomo che è rimasto solo troppo a lungo, e che stenta ma prova a capire il senso del proprio destino.
L’incontro con Connie (Amy Ryan), organizzato da Clyde e Lucy, non dovrebbe essere quello del destino. Gli appuntamenti al buio, è noto, non lo sono mai. Ma se invece Connie fosse la donna giusta. Se anche lei fosse ferita dagli urti della vita, se fosse introversa e riservata proprio come Jack. Se Connie avesse le sue stesse fragilità, le vulnerabilità di una donna che deve solo essere amata per rinascere. E se al contempo Clyde e Lucy rivelassero le ombre del loro – solo in apparenza – perfetto rapporto. Come è strana la girandola dei ruoli, delle situazioni. Eppure quanto abbiamo da imparare gli uni dagli altri. Magari potremo tutti crescere e capire come amare veramente qualcuno, come lasciarci andare, come essere felici.
Philip Seymour Hoffman debutta come regista, in un momento in cui sembra quasi volersi prendere una vacanza dai personaggi complessi e drammatici delle sue interpretazioni a cavallo tra il 2008 e il 2010, anno di produzione di Jack Goes Boating. Dopo Il dubbio, I love Radio Rock, La famiglia Savage, è arrivato il tempo di dedicarsi a qualcosa che abbia la sua autentica forma. Un abito cucito su misura. Il film è una piccola opera di matrice teatrale, già portata nell’Off-Broadway dallo stesso Hoffman e da John Ortiz, che nella trasposizione cinematografica si ritaglia un ruolo di supporto eppure centrale ai fini della storia.
Jack Goes Boating è stato accostato da Roger Ebert al celebre film Marty di Delbert Mann, uno sleeper che a suo tempo fu capace di sbaragliare La valle dell’Eden agli Oscar del 1955. C’è effettivamente qualcosa di Marty/Ernst Borgnine in Jack, come c’è anche qualcosa di Rocky Balboa. Sono le atmosfere ai confini della vita, la tenerezza nel racconto degli ordinary men che vivono senza attese, che sorvolano le metropoli nella sospensione della realtà.
È dolce e ironico il taglio della pièce. E magari la leggerezza è dopotutto ciò che più appartiene a Hoffman, la problematicità dell’essere e delle relazioni umane viste in una chiave forse malinconica, ma mai triste. Jack Goes Boating ritorna al passato del cinema indipendente, da cui Hoffman proviene e che egli non ha mai fatto mistero di apprezzare. Il racconto è impostato sulle note del quotidiano, delle ordinarie sfortune di due adulti che hanno subito dalla vita più di quanto meritassero, e che vogliono (ma non osano) veramente sperare. Per interpretarli sono necessari attori bravi, anzi bravissimi, che conoscono la materia teatrale a menadito e che sanno come far trasparire un’emozione da un gesto, una lacrima, una parola, uno scambio di sguardi.
L’occhio di Hoffman come regista sa cogliere e valorizzare gli attori, e non potrebbe essere altrimenti, anche se manca nel colpire con una ricerca visiva più decisa, che non si limiti – come invece tende a fare – a seguire le evoluzioni dei personaggi e le loro toccanti, dolci, complicate conversazioni attorno alla vita e all’amore. Peccato per l’eccessivo tocco introspettivo, quando uno sguardo più attento all’ambiente avrebbe collegato con maggiore forza alla città moderna le frustrazioni dei personaggi. Si riserva poco spazio agli esterni, benché la fotografia regali momenti originali e coinvolgenti nel mettere insieme, proprio come un buon piatto, ingredienti eterogenei ma ottimi insieme: un po’ Hopper, un po’ Woody Allen, un po’ Kevin Smith. Azzeccata la scelta delle musiche, anche queste rigorosamente indie.
L’evento di Jack Goes Boating non è tanto scoprire se e quando Jack riuscirà a coronare il proprio sogno di felicità, ma se sarà in grado di cucinare la cena perfetta per la donna ideale. Tra metaforici voli sopra piscine statiche, fotografie come racconti di verità nascoste, stagioni che passano come foglie alla finestra, aspettiamo che il cibo sia servito e che nell’atto conviviale della condivisione ogni piccola sfumatura del cuore sia svelata. E aspettiamo di scoprire che siamo magici, umani e imperfetti. Ci consoliamo nella natura umana.
Jack Goes Boating è un film che serve più al suo autore, che non allo spettatore. È un lavoro che parla direttamente dalla sensibilità spiccata di Philip Seymour Hoffman, non dalle sue capacità interpretative o dalla sua invidiabile tecnica d'immedesimazione. È il film necessario per un attore che appare in cerca di sé come della propria arte. Non indispensabile per noi, ma per capire le corde di Hoffman. E oggi, a distanza di pochi mesi dalla sua scomparsa, è un film che ci racconta inconsapevolmente la sua anima inquieta.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda tecnica
Titolo originale: Jack Goes Boating
Regia: Philip Seymour Hoffman
Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Amy Ryan, John Ortiz, Daphne Rubin-Vega
Sceneggiatura: Bob Glaudini (dall’omonima pièce)
Fotografia: W. Mott Hupfel III
Durata: 91'
Anno: 2010