Bettie è solo una ragazza che vorrebbe diventare attrice e che, sull'accidentata strada verso la celebrità, accetta di farsi ritrarre in una serie di scatti destinati a soddisfare le inconfessate gioie dell’uomo comune, afflitto da un’epoca di costrizione, puritanesimo, bigottismo, ipocrita negazione del desiderio sessuale. Un periodo di sospetti, dalla paura della ‘minaccia rossa’ – tipica della nevrosi maccartista - a quella dell’altro come diverso da noi, ma anche un’epoca che – uscita malconcia dalla Seconda Guerra Mondiale – cerca di ristabilire convenzioni, ordine, rispetto delle norme sociali. Tutto ciò in superficie, mentre il retroscena della grande America perbene e perbenista ci mostra una malcelata volontà di scardinare ipocrisie e insane abitudini per mostrare, esibirsi, divertirsi, rivelare al mondo la natura dell’essere umano.
Difficile immaginare che Bettie Page, con i suoi grandi sorrisi e la generosità delle proprie curve e dei sentimenti, semplici e puri, non si faccia fagocitare dalla censura, prima, e dalla cruda meccanica della produzione di massa, poi. Che la sua leggenda non rimanga altro che un album fotografico di anacronistica trasgressione. Così, mentre la scia della meteora continuerà a illuminare come un marchio decine di emule negli anni a venire, la stella opterà per l’unica forma di trasgressione che si mantiene e si perpetua. Dare voce a se stessi, alla propria fede, all’istinto.
Bettie, la pioniera del bondage, della femminilità esibita senza volgarità. Antesignana delle pop-star di oggi, fonte di ispirazione per Madonna, che della modella ha copiato gli abiti senza però coglierne lo spirito irriverente e ingenuo.
Per gli occhi dello spettatore contemporaneo, le immagini della protagonista con corsetto nero e frustino possono risultare indifferenti se non addirittura divertenti, ma Mary Harron compie la scelta di calare la storia in un bianco e nero laccato e vivido, un quadro del passato tutto da sfogliare e solo a tratti interrotto da sprazzi di fotografia a colori, rarefatta e sofisticata, che esplicitamente richiama agli anni ’50, a immagini da cartolina tinte di cieli azzurri, costumini castigati e corpi rosa.
La Harron esclude qualsiasi riferimento alla storia o alla politica americana e solo superficialmente accarezza il tema più intrigante, quello della dualità dell’essere umano diviso tra luci e ombre della vita, combattuto tra il vivere pubblico, nelle norme della buona società, e la dimensione privata di sé. La regista non discute nemmeno direttamente l’idea di peccato, né ne esplora la concezione in un contesto come quello degli Stati Uniti degli anni ’50 in cui la censura ad opera delle istituzioni, laiche o religiose, politiche e culturali, svolgeva una parte fondamentale nella moralizzazione dei costumi e delle coscienze.
Il film è Bettie Page, e si può affermare che la linearità della sceneggiatura, semplice seppur non semplicistica nel ricondurre la vastità di tematiche alla vita della pin-up, trovi una profondità autentica e inaspettata nell'interpretazione di Gretchen Mol. Corpo, anima e intrigante candore. Molto più di una ragazza senza veli, più di un’immagine di gioiosa disinibizione, di un sogno a occhi aperti per milioni di uomini, l'attrice incarna una ribellione leggiadra e determinata alla propria epoca, ritrae l’angelica perversione del proprio tempo, ma soprattutto coglie l’apparente felicità di una donna altrimenti insoddisfatta, silenziosa e malinconica, incapace di dar forma a se stessa e di essere accettata, parzialmente sfruttata e totalmente incompresa, destinata ad annegare nel suo stesso personaggio, a rimanere nell’immaginario solo come un’eroina da fumetto. Non come colei che ha rivendicato l’esistenza autonoma e indipendente della donna. Con il suo corpo, il sesso, l’amore, l’istinto, la libertà.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: America Oggi
Scheda tecnica
Titolo originale: The Notorious Bettie Page
Anno: 2005
Regia: Mary Harron
Sceneggiatura: Guinevere Turner, Mary Harron
Attori: Gretchen Mol, Lily Taylor, David Strathairn, Chris Bauer, Sarah Paulson
Durata: 91 min.
Fotografia: W. Mott Hupfel III
Musiche: Mark Suozzo
Uscita italiana: Proiettato al Torino Film Festival e poi trasmesso sulla Tv satellitare