L'origine fumettistica serve all'autore per saturare l'immagine di dettagli e per giocare con una recitazione perennemente sopra le righe, che crea un linguaggio omogeneo nella sua sovraeccitazione: lens flare, treni e scie luminose che tagliano l'inquadratura, motivi architettonici che descrivono geometrie fatiscenti e, nel contempo, permettono di snocciolare set in grande continuità. Un mondo decadente ma generoso nel suo accumulo di spunti visivi, in grado perciò di dare continuità all'idea di una città-universo, dove ogni angolo è in grado di descrivere una piccola grande realtà, mentre lo stile narrativo affastella musica, iconografie gangster e combattimenti a colpi di mazze, katane e arti marziali. Seguendo la linea già intrapresa con il precedente Jigoku de naze warui (Why Dont' You Play in Hell?), Sion Sono si abbandona a un piacere dell'accumulo che è pura gioia di fare cinema, fra piani sequenza lunghissimi ed elaborati, con una libertà narrativa e stilistica che non si vedeva dai tempi del primo Jonathan Demme, ma con un'anarchia tutta propria, che finisce per auto-sabotare volutamente anche il proprio citazionismo (si veda il dissacrante “tributo” al Kill Bill di Quentin Tarantino).
Eppure, tra le righe del divertimento estremo che trasmette questa folle guerra tra bande, emerge un'attenzione molto precisa alla scomposizione sociale di un mondo afflitto dal problema dell'identità e che sembra per questo incapace di afferrarne davvero l'essenza unificatrice. Se il tema è centrale sin dagli albori della carriera dell'autore, è nella fase più recente (quella che ha avuto in Kibo no kuni/The Land of Hope il suo spartiacque) che sembra essersi acutizzato e che, quantomeno, continua a rivolgersi ai fatti della storia recente – in Tokyo Tribe ogni tanto fa capolino un temibile terremoto, che naturalmente non può non ricordare quello vero del 2011.
Così, la guerra tra bande diventa un terreno di coltura per possibili nuove alleanze che disfano e ricombinano continuamente i fronti: i personaggi passano dal ruolo di vittime a quello di eroi, e ci riescono ancor più quando uniscono le forze contro le avversità di una guerra totale che viene chiaramente identificata come futile e frutto unicamente di una innata tendenza distruttiva tipica di un meccanismo umano cui è utile opporre un atteggiamento di fratellanza. In questo modo, Sion Sono auspica una società meno frammentata nei particolarismi dei rispettivi microcosmi, invero molto forti in una realtà coesa ma anche parecchio parcellizzata quale è quella giapponese.
Il gioco delle citazioni e dei continui cambiamenti stilistici può dunque essere ricondotto anch'esso nell'ottica della continua ricerca di un punto di unione fra dinamiche altrimenti distanti, e rivela l'estrema complessità di un meccanismo che sta fra la sofisticazione della propria consapevolezza tecnica e l'idealismo anche un po' ingenuo (ma in senso non deteriore) di chi cerca ad ogni costo di leggere il proprio tempo e la propria società, trasmettendo al contempo dei valori allo spettatore.
In tal senso, la filiazione dalla cultura hip hop si ritrova non solo nel rapporto vivo con una città che definisce i caratteri e i ruoli dei personaggi, ma anche nella natura controcorrente della propria visione d'autore, che però si stempera in un messaggio propositivo. Estremi che si toccano, all'interno di una concezione filmica complessa e per questo sempre entusiasmante, sia che la si affronti da un versante meramente sensoriale (il film può essere tranquillamente visto anche senza seguire la storia, godendo dei suoi eccessi e delle sue invenzioni visive) che più schiettamente contenutistico.
Davide Di Giorgio
Sezione di riferimento: Torino 32
Scheda tecnica
Titolo originale: Tokyo Toraibu
Regia: Sion Sono
Sceneggiatura: Sion Sono (ispirato al manga “Tokyo Tribe 2”, di Santa Inoue)
Attori: Ryohei Suzuki, Young Dais, Nana Seino, Shôta Sometani, Yôsuke Kubozuka, Riki Takeuchi, Yui Ichikawa
Fotografia: Daisuke Soma
Montaggio: Junichi Ito
Anno: 2014
Durata: 116’