It Follows riprende il discorso adolescenziale della sua opera prima, guardando però ai punti di riferimento del new horror degli anni Settanta e Ottanta; di quel cinema qui se ne respira a pieni polmoni, nonostante Mitchell sembri particolarmente attento nell’evitare qualsiasi eccesso o deriva sanguinolenta, preferendo lavorare di sottrazione sul non visto e sul non detto.
La vicenda ruota intorno a un contagio trasmesso attraverso i rapporti sessuali: è appunto quello che succede alla protagonista Jay, che dopo aver trascorso una notte insieme a un ragazzo appena conosciuto si ritrova a fare i conti con apparizioni misteriose e la costante sensazione che qualcuno la stia seguendo. L’unica soluzione per evitare di essere raggiunti e uccisi è quella di scappare, oppure di contagiare qualcun altro, “trasferendo” così la maledizione.
Sembra quindi abbastanza semplice individuare le coordinate generali entro le quali si muove tutto il film, legato profondamente a un concetto di disagio giovanile che, nonostante la componente fisica e sessuale, si guarda bene dall’abbracciare qualsiasi forma di moralismo reazionario. Basterebbe la straordinaria sequenza iniziale per rendersi conto, finalmente, di trovarsi di fronte a un film che utilizza il genere per guardare oltre la superficie delle cose, recuperando quella sua funzione destabilizzante per raccontare il mondo e gli orrori che si nascondono appena sotto la superficie: una strada deserta, una ragazza che esce di casa urlando e invocando aiuto, ripresa attraverso un carrello circolare a 360 gradi; e poi la fuga, disperata e improvvisa, verso una salvezza che appare come un miraggio.
In una città di provincia che sembra provenire direttamente dalla Haddonfield di Halloween, ma anche dalla Springfield di Nightmare – Dal profondo della notte, Mitchell racconta di giovani vite smarrite nella periferia post-industriale di un mondo e di una società, riconducendo l’origine del disagio a nuclei famigliari costituiti da padri assenti e madri alcolizzate. Un film fatto di macerie, reali o morali che siano, dalle quali è impossibile elevarsi perché qualsiasi tentativo di fuga è destinato a risolversi in un fallimento; e questo fallimento ci riguarda tutti, senza distinzione di sorta, perché il contagio ormai ha sparso le sue metastasi ovunque.
Che lo si voglia interpretare come una metafora sull’AIDS o altro, nulla riesce a modificare la portata del discorso di Mitchell: it follows, esso ti segue. In questa contemporaneità fredda e spietata, fatta di profili Facebook e account Instagram, nella quale non si esiste se non ci si mette in mostra, il film mette a nudo il desiderio (o la necessità) di essere osservati; lavorando magistralmente sullo sguardo, moltiplicandolo e sfaccettandolo continuamente senza fare ricorso a found footage di sorta (al contrario, invece, richiamando un immaginario profondamente legato agli anni Ottanta), il giovane regista americano realizza l’unico horror possibile (oggi) sul contagio virale, trasformando il fuoricampo in motore narrativo e lasciando che lo spettatore trovi da solo la propria strada da percorrere, nel tentativo di districarsi all’interno di un plot che pone tantissime domande senza fornire le risposte.
L’inquietudine che si sprigiona in questo modo è indiscutibilmente autentica: It Follows è l’incisione sulla lapide di un’intera generazione, condannata dalle colpe dei padri e impossibilitata ad affrontare l’orrore; perché nel momento stesso in cui lo si guarda in faccia, è già troppo tardi.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Torino 32
Scheda tecnica
Regia: David Robert Mitchell
Sceneggiatura: David Robert Mitchell
Attori: Maika Monroe, Keir Gilchrist, Jake Weary, Olivia Luccardi
Fotografia: Mike Gioulakis
Musiche: Disasterpeace
Montaggio: Julio Perez IV
Anno: 2014
Durata: 107’