Siamo in un piccolo paese della provincia francese; uno di quei luoghi ristretti in cui tutti fanno finta di non vedere ma in fondo osservano, spiano, sanno. Un imprenditore agricolo ritrova una donna con cui aveva avuto un principio di relazione alcuni anni prima; tra i due scoppia l'incendio carnale, morboso e inarrestabile, una droga di cui in breve tempo non si può più fare a meno. Entrambi sono sposati, ma iniziano a tradire i rispettivi consorti, incontrandosi regolarmente nella stanza di un hotel; lì, in quella camera dalle pareti azzurre, si tuffano in amplessi goderecci e rabbiosi. Dopodiché tornano a casa, nascondendo sotto lo zerbino l'odore del sesso appena consumato. Il meccanismo pare funzionare senza troppi intoppi, ma dopo un po' la lussuria non basta più; chi sta loro intorno diventa un ostacolo fastidioso, troppo fastidioso; un qualcosa che bisogna eliminare.
Come forse ormai saprete chi scrive considera Mathieu Amalric un attore di livello eccelso, con pochissimi eguali nell'intero panorama europeo. Non contento di fornire prove recitative sempre ai limiti della perfezione, Amalric conferma una volta ancora di avere ottime doti anche in veste di regista, grazie a La chambre bleue, sua quarta prova dietro la macchina da presa, tratta da un romanzo di Georges Simenon e presentata al Torino Film Festival dopo il soddisfacente passaggio a Cannes.
Scritto insieme a Stéphanie Cléau, anche co-protagonista del film nonché sua compagna nella vita, e girato in sole tre settimane, con budget e troupe ai minimi termini, il lavoro di Amalric compie la non facile impresa di trasportare ai giorni nostri un romanzo pubblicato nel 1963, mantenendo intatte le peculiarità dell'opera narrativa. Un po' come accade in Diplomacy di Schlöndorff (derivato da una pièce teatrale), anch'esso in programma al TFF, ci troviamo di fronte a un lavoro filmico che rispetta la materia d'origine e la rimodella senza pretendere di reinventarla, affidandosi a una messinscena puntuale e ben sintonizzata con le connotazioni linguistiche e sociali da cui prende spunto.
Amalric costruisce la sua regia come un meccanismo a incastro, in cui i tempi si alternano e si contraggono, giustapponendo il presente, ovvero il pressante interrogatorio a cui sono sottoposti i due amanti, arrestati con l'accusa di aver assassinato i rispettivi compagni, con il recente passato, ovvero i fatti (realmente?) accaduti. Di fronte al commissario di polizia il protagonista Julien Gahyde ricostruisce giorno per giorno e parola per parola la sua relazione fedifraga, cercando di divincolarsi di fronte alle sempre più evidenti prove che pendono sulla sua testa; nel contempo noi vediamo le stesse scene declamate durante la testimonianza, scivolando a piene mani nel racconto per soppesare fatti e probabilità, bugie e verità. La sentenza finale del giudice accoglie senza troppe sorprese i due amanti, ma ciò che più (ci) interessa è rivivere il prima e provare a capire il perché, affinché ognuno di noi possa formare il proprio parere, senza condizionamenti in un senso o nell'altro.
Amalric compie un delicato ed efficace lavoro di sintesi, mantenendo la giusta equidistanza da ogni orpello stilistico e da ogni eventuale giudizio morale. La sua messinscena sa essere elegante e raffinata, ma al contempo riesce a trovare spunti originali, soffermandosi su primi piani, segmenti e lievi particolari, escludendo quasi totalmente i campi totali e focalizzandosi sui contrasti che nascono all'interno di ogni inquadratura.
Il regista/attore, a proprio agio nel doppio ruolo, esibisce senza alcuna remora il suo corpo nudo, così come quello della sua compagna nella finzione e nella realtà, azzardando perfino un paio di coraggiosi dettagli anatomici; l'amour fou che domina il racconto è visualizzato fin dentro le viscere, nel sangue di un morso e nei caldi liquidi dell'eccitazione. Le differenti tonalità cromatiche, tra il blu della camera, il rosso della passione e il grigio dell'interrogatorio, accompagnano inoltre gli stati d'animo sempre più incerti del personaggio, fino a che Gahyde, borioso e scaltro all'inizio, diventa un pulcino bagnato, schiacciato dal peso di una situazione impazzita a cui non può più porre rimedio.
Il suo sguardo perso nel vuoto, attonito, nudo come il corpo, testimonia e sigilla con esemplare efficacia lo smarrimento di chi ha spinto troppo oltre una temeraria sfida con il destino, cercando i gemiti dell'amore e trovando invece i sospiri della rovina.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Torino 32
Scheda tecnica
Regia: Mathieu Amalric
Sceneggiatura: Mathieu Amalric, Stéphanie Cléau (dal romanzo “La camera azzurra” di Georges Simenon)
Attori: Mathieu Amalric, Léa Drucker, Stéphanie Cléau, Laurent Poitrenaux
Fotografia: Christophe Beaucarne
Musiche: Grégoire Hetzel
Montaggio: François Gédigier
Anno: 2014
Durata: 75'