Perché The Disappearance of Eleanor Rigby è costituito da due parti, ovvero Him e Her, per un totale di oltre tre ore di durata, ma che convenzionalmente considereremo come un prodotto unico e indivisibile: anche e soprattutto in virtù del fatto che entrambi i suoi capitoli vivono in perfetta simbiosi l’uno con l’altro, completandosi e tracciando alla fine le coordinate generali di una vicenda osservata (anzi, vissuta) attraverso i punti di vista dell’uomo e della donna. Esiste poi una terza versione (Them), non approvata dal regista e messa a punto dal produttore Harvey Weinstein, presentata al Festival di Cannes, che riunisce l’intero plot all’interno di un film unico: plausibilmente sarà proprio questa la versione che verrà distribuita nelle sale italiane, andando però a snaturare il significato dell’intera operazione.
The Disappearance of Eleanor Rigby racconta la fine della storia d’amore tra Conor e Eleanor, dopo la scomparsa del loro bambino di appena due mesi; attraverso Him e Her assistiamo al tentativo da parte di entrambi di andare avanti con le rispettive vite: la rottura del rapporto, il rifiuto della separazione, il tentativo di ricominciare da capo, i successi e i fallimenti. Insomma, una storia comune a qualsiasi spettatore che l’abbia già vissuta sulla propria pelle, messa in scena da Benson con la grazia e la leggerezza di chi non vuole stupire attraverso risvolti narrativi inediti, ma lavorando piuttosto sulla delicatezza del racconto e sul mantenimento – necessario – di alcune zone d’ombra.
È così che tutta la potenza dimessa del film si rivela e colpisce nel profondo, al cuore, senza mai alzare la voce: nei gesti che sembrano non significare nulla, nelle parole non dette, nelle lacrime versate in silenzio. Nei racconti dei personaggi di contorno (tutti bellissimi e fondamentali, a partire dai genitori), che vanno a costituire un poco alla volta i tasselli di un mosaico che è grande quanto il mondo, perché la sofferenza è di tutti, e nessuno può esimersi dal portarne il peso delle conseguenze sulle spalle.
Solamente alla luce del secondo capitolo (l’ordine di visione Him/Her è tassativo per abbracciarne compiutamente il senso) The Disappearance of Eleanor Rigby si rivela quindi per quello che è: un film di fantasmi, di corpi che si inseguono senza mai riuscire a sfiorarsi, perché la vita ha compiuto ormai il suo corso e quello che è stato mai più sarà. Corpi che corrono e si cercano, che ridono e che piangono, che soffrono e si amano, e che in questa sorta di simmetria narrativa distorta e incompleta raccontano una storia, la propria, che non potrà mai coincidere fino in fondo con quella dell’altro.
Un film estremamente pudico nella messa in scena del dolore eppure mai freddo o cerebrale, e che, piuttosto, si dimostra commovente fino alle lacrime; una love story post mortem che, come il viaggio a ritroso di 5x2 di Ozon (ma anche come la dilatazione del tempo reale di Boyhood di Linklater), azzarda un esperimento narrativo alla ricerca di un significato per ciò che mette in scena, e non il contrario. Aiutato da un cast in stato di grazia (tutti, nessuno escluso) e da una colonna sonora sublime e fondamentale come accompagnamento alle immagini, l’esordio di Ned Benson è un film piccolo e grande allo stesso tempo, che sembra raccontare solamente qualcosa di già visto ma che rimane dentro, e cresce nel cuore dello spettatore lasciando dietro di sé il ricordo di un’esperienza. Quasi come la vita di tutti i giorni.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Torino 32
Scheda tecnica
Regia: Ned Benson
Sceneggiatura: Ned Benson
Montaggio: Kristina Boden
Musiche: Son Lux
Fotografia: Christopher Blauvelt
Anno: 2013
Durata: 190’
Interpreti: Jessica Chastain, James McAvoy, Viola Davis, William Hurt, Isabelle Huppert, Ciaràn Hinds, Jess Weixler