Nove riservisti della Guardia Nazionale della Louisiana – un numero che piace a Walter Hill, evidentemente, visto che nove sono anche i Guerrieri protagonisti del film di due anni prima – durante un’esercitazione si improvvisano esploratori e militari, con armi-giocattolo caricate a salve, e si inoltrano nella macchia. Ad attenderli troveranno i cajun – i discendenti dei canadesi francofoni originari dell’Acadia, stanziatisi forzosamente in Louisiana a partire dal XVIII secolo, (1) gelosi dei loro spazi e della loro terra – e soprattutto un territorio ostile, sconosciuto e selvaggio, che sembra volerli fagocitare come prede o espellere come elementi estranei, dannosi, pericolosi per l’equilibrio del sistema/ambiente.
Se la struttura del racconto richiama molti dei tòpoi presenti in The Warriors – e in parte anche ne I cavalieri dalle lunghe ombre (The Long Riders, 1980), in quella che si potrebbe delineare come un’ideale “trilogia del viaggio” ispirata all’Anabasi di Senofonte (2) – è anche vero che in Southern Comfort molte sono le discrepanze, le dissonanze e i cambiamenti di segno, tanto da innestare, su un canovaccio consolidato e archetipico, una forma filmica difforme e per molti versi agli antipodi.
1) Dopo il Trattato di Utrecht del 1713, l’Acadia passò sotto il dominio britannico e migliaia di acadiani francofoni furono costretti a emigrare in altre terre, fra cui la Louisiana. In molti casi si trattò di una vera e propria deportazione: una pulizia etnica, che costò la vita a migliaia di persone.
2) Nel caso di The Long Riders, il richiamo all’Anabasi riguarda solo la parte finale del film, allorché i fuorilegge protagonisti, dopo una rapina compiuta lontano dalla loro abituale area d’azione e finita male, sono costretti a un drammatico ritorno.
Tutti e tre i titoli citati si muovono secondo le coordinate del conflitto tra natura e cultura, fra passato e presente, tra il familiare e il perturbante, che talora sconfina nell’inquietante; in tutti e tre troviamo un gruppo eterogeneo di personaggi costretti a lottare in un ambiente ostile: un persistente assedio in movimento; infine, tutti e tre istituiscono una magistrale riflessione sulla territorialità, sebbene si possa individuare almeno una differenza sostanziale fra TW e TLR, da un lato, e SC, dall’altro. Sia i protagonisti di TW che quelli di TLR sono costretti dalle circostanze a difendere se stessi nonché il proprio territorio dalle minacce esterne, attraverso un perenne movimento di ritorno che, se in TW si concluderà col duello finale tra i due leader rivali Swan e Luther, col trionfo del primo e con la riabilitazione dei Guerrieri – lo scontro finale avverrà proprio nella casa-madre dei Guerrieri, l’area di Coney Island, luogo d’origine che simboleggia anche il riavvicinamento dei protagonisti a un’identità che sembrava compromessa o smarrita – in TLR vivrà il tragico epilogo della fine della banda di Jesse James e della morte di quest’ultimo.
In entrambi questi titoli il motivo scatenante della lotta è esterno alla comunità di cui i protagonisti fanno parte e soprattutto risulta causato da circostanze indipendenti dalla loro volontà. Se in TW è l’assassinio di Cyrus (il capo della gang più potente di New York, i Riffs) da parte di Luther, capo dei Pogues, a innescare e accelerare forsennatamente l’azione, di cui i Warriors diventano, loro malgrado e senza colpa, le vittime designate (ma tutt’altro che rassegnate), in TLR il conflitto fra i fuorilegge e i tutori dell’ordine assume i connotati di un epico scontro, anch’esso inevitabile, fra epoche e mondi assai distanti, sia politicamente sia socialmente. TLR è infatti ambientato all’indomani della conclusione della guerra di secessione, con un paese ancora sostanzialmente diviso (i banditi appartengono culturalmente e geograficamente all’ormai defunta Confederazione e inoltre alcuni di loro hanno prestato servizio negli sconfitti ranghi sudisti durante il conflitto) e prossimo a diventare una Nazione, in cui la Legge e le istituzioni stanno cominciando a emarginare ed eliminare ciò che resta del selvaggio West.
In entrambe le pellicole emerge quindi un conflitto insanabile fra il Vecchio e il Nuovo, che in TW è magnificamente scandito dai rituali ancestrali delle gang cittadine, che incarnano il modo antico di intendere il territorio, la guerra – all’arma bianca, fisica, primordiale – e la lealtà, contrapposti ai poliziotti armati con pistole d’ordinanza, ai cittadini comuni e soprattutto al traditore Luther, colui che innesca la nuova contesa dimenticandosi delle proprie origini e delle regole del proprio ambiente, non a caso usando una pistola; in TLR tale conflitto risulta come naturale processo irreversibile, non solo nel confronto fra vincitori e vinti, ma anche e soprattutto in quello fra tradizione e modernità. Sia in TW sia in TLR, infine, emerge la compenetrazione reciproca fra uomo e territorio, dove l’uno non è niente senza l’altro, dove colui che segue la legge naturale e inevitabile del proprio mondo per proteggerlo, in tal modo proteggerà se stesso.
È proprio da quest’ultimo assunto che risulta possibile prendere le mosse per individuare cosa non torni in SC rispetto ai due titoli che lo precedono. La dissonanza più immediata ed evidente si situa proprio nelle motivazioni che conducono la pattuglia di riservisti a inoltrarsi in un luogo selvaggio e senza via d’uscita. All’inizio non si tratta di una questione di vita o di morte, non vi è alcun segno esteriore di pericolo incombente: il Vietnam è distante migliaia di chilometri, forse non esiste neppure per chi ha la fortuna di non essere al fronte, e l’esercitazione – una simulazione, quindi, un gioco di guerra – si svolge sul suolo “amico” degli Stati Uniti. Pare inevitabile, quindi, che questi dopolavoristi del servizio militare sottovalutino maldestramente l’impresa che, loro malgrado, di lì a poco saranno costretti ad affrontare.
Fin dall’inizio della spedizione emerge, per i protagonisti, un sostanziale rifiuto e un’assoluta incapacità di comprendere il mondo estraneo verso il quale si stanno dirigendo, unitamente all’arrogante atteggiamento di superiorità di chi, provenendo dal consesso civile, si sente investito dell’opinabile superiorità morale del colonizzatore. In realtà, nessuno dei militari tiene conto del fatto che quel territorio non è a loro disposizione né sotto il loro controllo. La natura rigogliosa e indifferente segue il suo ciclo, noncurante delle arroganti pretese di chi proviene dal consesso civile. Solo chi è in grado di adattarsi all’ambiente, obbedendo alle leggi della selezione naturale e della predazione (i cajun), può sopravvivere. È la lotta per la preservazione. Chi gioca a fare la guerra, invece, muore.
Si noti anche come, a differenza di TW e TLR, in SC non vi sia un effettivo movimento di ritorno, bensì un cieco procedere, che porta, e non può che portare, alla rovina. Un bivacco di cacciatori cajun nei pressi, apparentemente abbandonato e con delle canoe in bella mostra, sembra infatti suggerire l’opzione: i nove si impadroniranno delle imbarcazioni sufficienti a proseguire attraverso la sterminata acqua morta. Il sergente maggiore Poole (Peter Coyote) a capo del plotone è indeciso, ma gli altri membri del gruppo fanno pressione affinché si opti per tale soluzione. Il gioco della guerra può continuare. Qualcuno del gruppo lascerà un biglietto di avvertimento e scuse agli autoctoni: un messaggio scritto in inglese per persone che, orgogliosamente, parlano solo il francese cajun. Nessun effettivo vettore comunicativo, nessuna possibilità di scambio linguistico.
Inizia l’attraversamento della distesa d’acqua, simbolico elemento di passaggio e di mutamento radicale per chi decide di non recedere. Intanto, sulla riva giungono alcuni individui, i proprietari delle imbarcazioni. Sagome indistinte in campo lungo. Il comandante del drappello tenta, da lontano, di far capire loro che non si tratta di un furto né di un sequestro e ingiunge a uno della truppa, che biascica un po’ di francese, di avvertirli. Il militare, per tutta risposta, comincia a insultare i nativi. Un altro prende la mira col fucile mitragliatore ed esplode una inoffensiva, ma rumorosa, raffica a salve nella loro direzione. Un gioco estremamente divertente. Indossano la divisa della Guardia Nazionale degli Stati Uniti, parlano inglese e si sentono i padroni del mondo. Un’altra inquadratura, ravvicinata questa volta, mostra uno dei cacciatori imbracciare un fucile e prendere la mira in direzione dei militari. Ha capito che i colpi da loro esplosi sono innocui. Non stanno facendo sul serio, si stanno solo divertendo, vogliono solo giocare a fare la guerra. Parte un colpo. Uno solo. Parte anche la testa del comandante del plotone in una piccola nuvola rossa. Si muore anche in Louisiana, a casa propria, o in un luogo che, geograficamente, viene considerato tale, pur non essendolo. Game Over.
Da questo punto in poi, il racconto segue le coordinate già tracciate da Hill in TW – morte del capo del gruppo, fuga e dispersione degli otto membri rimasti, lotta continua per affrontare le progressive minacce che l’ambiente presenta sulla via del ritorno – anche se, come detto, il tutto assume un aspetto e un tono totalmente diversi. Non vi è alcun tradimento, in questo caso, né quindi alcun risarcimento morale; non si configura alcun equivoco o falsificazione della realtà, né perciò la necessità di ristabilire la verità.
Anche la scansione cronometrica del tempo come funzione di un movimento progressivo di avvicinamento alla salvezza risulta totalmente assente: l’azione di TW si svolge nell’arco temporale contratto di una nottata, nella quale l’obiettivo dei Guerrieri di raggiungere Coney Island entro l’alba si configura come un percorso semi-lineare di una distanza da coprire, in fretta; in SC, invece, pur essendovi un’analoga contrazione temporale – due notti, tre albe – il movimento risulta insensato, grottesco, circolare anziché lineare, e la dimensione spazio-temporale assume i connotati dell’allucinazione o dell’incubo; infine, mancano quasi totalmente, ai componenti del Bravo Team, il senso della fratellanza e il cameratismo dei Guerrieri, nonché la loro capacità di decifrare i segni di pericolo delle varie aree in cui sono costretti a muoversi, a nascondersi o a combattere. Tutti questi elementi saranno decisivi nella rovina che investirà la maggior parte dei membri della lost patrol.
Il fatto è che in ogni ambiente estremo (come lo è senza dubbio anche la New York notturna di TW), al di là dei confini del mondo civilizzato, si tratta sempre e solo di vita e di morte, senza mezze misure. Non esiste, e non può esistere, pietà, non c’è spazio, e non può essercene, per la viltà, l’individualismo, la presunzione. I membri del Bravo Team soccomberanno quasi tutti proprio perché divisi al loro interno e incapaci di agire, pensare e combattere come dei veri guerrieri. Non a caso, infatti, le loro morti violente li coglieranno sempre da soli, in quanto separati dal resto del gruppo, vittime di ottuse iniziative individuali e della loro stupidità. Saranno capaci di salvarsi soltanto gli unici due in grado di supportarsi a vicenda e di cooperare effettivamente, il soldato Spencer (Keith Carradine) e il caporale Hardin (Powers Boothe).
Hill orchestra una magistrale partitura di morte e dannazione, nella quale viene atrocemente messa alla berlina la tracotanza americana, che come accennato, all’epoca della realizzazione di SC, aveva appena subito il primo e più pesante scacco della propria storia militare nella giungla vietnamita. Gli Stati Uniti descritti da Hill in SC, nonché in modo analogo anche in TW e TLR, anziché configurarsi come la Grande Nazione Americana, sono una congerie di piccole patrie locali (la gang, la comunità rurale sudista, l’enclave di un popolo autonomo e rigidamente fiero della propria diversità/difformità) tenute insieme, solo in apparenza, da un nome e da una bandiera.
Il finale di SC mostra l’ultima immagine bloccata in uno stop frame che ritrae la fiancata dell’automezzo militare che sta per trarre in salvo i due superstiti ancora in fuga: si vede nitidamente la gloriosa stella dell’esercito degli Stati Uniti, un esercito – e, per esteso, una nazione – che la natura e un’antica stirpe di uomini dimenticati e abbrutiti hanno appena sconfitto.
Gian Giacomo Petrone
Sezione di riferimento: Revival 60/70/80
Scheda tecnica
Titolo originale: Southern Comfort
Anno: 1981
Durata: 102’
Regia: Walter Hill
Soggetto e sceneggiatura: Walter Hill, Michael Kane, David Giler
Fotografia: Andrew Laszlo
Montaggio: Freeman A. Davies
Musiche: Ry Cooder
Interpreti principali: Keith Carradine, Powers Boothe, Peter Coyote, Fred Ward, Brion James
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