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LA CUGINA DEL PRETE - I sogni hard di Wes Craven

29/5/2017

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​Lo spettatore meno avvezzo a certe dinamiche potrebbe chiedersi per quale motivo molti registi di culto abbiano, nel corso della loro carriera, toccato i lidi del porno, talvolta in via occasionale ma in certi casi anche con una vera e propria filmografia parallela, ricoperta dagli umori dell'hard. In quest'ultimo senso, come esempi immediati, si può pensare a Jess Franco e Joe D'Amato, che tra un vampiresco e un cannibalico, un softcore e uno splatter/gore, hanno diretto ampie quantità di produzioni pornografiche.
Le spiegazioni di tale fenomeno non sono in realtà così complesse. Per certi aspetti, l'horror e il cinema a luci rosse condividono una primordiale natura underground, oscena, clandestina e vietata, nonché alcune prerogative tematiche (l'intoccabile connubio Amor e Morte) che li rendono generi molto più affini di quanto in prima istanza si potrebbe credere. In fondo, ogni orgasmo non è un magnifico e temporaneo trapasso, a cui segue sempre una rinascita? 
Inoltre, soprattutto nei primi anni '70, in America e non solo, l'industria a luci rosse risultava assai florida e garantiva numerose possibilità occupazionali, con guadagni limitati ma sicuri, con cui potersi poi finanziare progetti più interessanti e personali. Infine, l'hard di quel periodo era libero e fantasioso, molto meno asettico rispetto all'attuale, e lasciava grandi margini di manovra con cui sperimentare, azzardare, aggirare i limiti, mettere in campo peculiarità e fissazioni personali.

La premessa rende forse molto meno sorprendente il fatto che anche un autore come Wes Craven, futuro creatore di pellicole di enorme successo come Nightmare e Scream, ma pure di notevolissime opere talvolta sottostimate come Il serpente e l'arcobaleno e The People Under The Stairs (La casa nera), abbia agli albori della carriera affondato le mani nell'hard più esplicito. Nel 1975, dopo il folgorante esordio avvenuto con il malsano L'ultima casa a sinistra, Craven ha infatti diretto La cugina del prete (in originale The Fireworks Woman), titolo che sino a oggi era reperibile in video in Italia soltanto in una orribile versione alternativa, rieditata e totalmente stravolta rispetto all'originale, intitolata Ti voglio nuda e bagnata, in cui erano state inserite scene scippate da altri porno dell'epoca e un subplot inventato per l'occasione.
Ancora una volta grande merito dunque alla Opium Visions, collana che ormai ben conosciamo, per la brillante scelta di riportare sul mercato La cugina del prete, con la condivisibile decisione di proporre il film direttamente nella versione italiana, circolata nei cinema nel 1980 e molto più completa di quella americana, vittima di consistenti tagli. 

Il lavoro di Wes Craven (che si firma con il biblico pseudonimo di Abe Snake) racconta la storia di Angela, innamorata sin dalla tenera età del cugino Peter (nella versione originale i due erano fratello e sorella, giusto per confermare come ai tempi ci si potesse perfino spingere verso i lidi dell'incesto). La ragazza cresce con l'adorato parente, in una stretta vicinanza che diviene sempre più morbosa, sino a deflagrare in un rapporto sessuale completo tra i due. Quando lui, poco dopo, indossa l'abito sacerdotale, la lontananza da Peter diviene per Angela un ostacolo greve, insostenibile, che la spinge a cercare avventure sessuali di ogni tipo, con cui provare a colmare almeno in parte l'assenza del caro congiunto. Intanto, da par suo, Peter si dibatte tra la vocazione spirituale, gli obblighi della vita clericale e il tentativo di allontanare il desiderio mai sopito per Angela. 
La trama del film, a conti fatti, è poco più che un pretesto, a partire dal quale Craven, scomparso purtroppo due anni fa, accatasta una lunga serie di sequenze hard, durante le quali c'è spazio per un'ampia gamma di attività: rapporti a tre, penetrazioni con strumenti di dominazione, urofilia, masturbazioni, cumshot sul volto, anal, perfino una scena di fisting e uno stupro. Il regista riesce comunque a rendere piuttosto eccitanti i vari momenti di sesso, grazie a una direzione tutt'altro che piatta, in grado di trovare soluzioni estrose e originali, dove in qualche caso si nota un lirico romanticismo, mentre in altri passaggi trionfa l'abiezione e prevale l'aspetto più animalesco (ad esempio la minzione nel bosco a cui Angela è costretta da una viziosa signora borghese e dal suo perverso amico).
​
Deus ex machina dell'intera vicenda è lo stesso Craven, che appare anche in veste attoriale nel ruolo dell'uomo con la tuba, misteriosa e inquietante presenza transitante lungo tutto il film con significazioni indefinite (“Io sono colui che accende i fuochi d'artificio dell'amore; io sono il Destino, ma qualcuno mi chiama anche Diavolo”). È lui ad apparire nella prima immagine, in un costume da scheletro, mentre si allontana mano nella mano con una bambina nuda (scena tagliata in America ma stranamente non in Italia); è lui a guidare il delirante baccanale orgiastico del prologo; è lui ad accompagnare Angela nei suoi turbamenti, sino a guidarla verso il prevedibile epilogo. Una scelta curiosa, quella di ritagliarsi un ruolo così sinistro e sfaccettato, atta a definire i contorni di una pellicola che pur inserendosi nel filone dell'hard vuole assumere un'identità forte, in cui mostrare frammenti dell'ideologia che guiderà poi tutto il suo cinema.
Non è dunque un caso se la tematica precipua del film sia, a conti fatti, l'elemento del sogno, fulcro narrativo che l'autore svilupperà compiutamente una decina d'anni dopo con la mitica figura di Freddy Krueger. Le avventure erotiche della protagonista, interpretata da Jennifer Jordan, pornostar di successo in quel decennio, nel corso della storia deviano progressivamente dalla realtà, scivolando in un percorso visionario durante il quale immagina reiterati amplessi con Peter e con altri soggetti, incontri sovente esistenti solo nella sua mente. 
Così, in questa fusione sempre più inscindibile tra sogno e realtà, si dipana l'ossessione sentimentale e carnale di Angela e la parallela ossessione di Craven per l'elemento onirico; un'ulteriore dimostrazione di come, in quegli anni, il porno potesse essere una fonte di guadagno ma anche un valido campo di allenamento, ovvero una base da cui esprimere e sviluppare i capisaldi della propria poetica.

Alessio Gradogna


Sezione di riferimento: Revival 60/70/80

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Scheda tecnica

Titolo originale: The Fireworks Woman
Anno: 1975
Durata: 78' (nella versione italiana presentata dalla Opium)
Regia: Wes Craven (Abe Snake)
Sceneggiatura: Wes Craven, Hørst Badörties
Fotografia: Hørst Badörties
Montaggio: Wes Craven
Attori: Jennifer Jordan, Helen Madigan, Erica Eaton, Eric Edwards, Wes Craven

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DEATH HOUSE – La casa del dolore

5/4/2017

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​Quinta uscita per la Opium Visions, collana diventata ormai una garanzia, per la capacità di riesumare dall'oblio titoli sempre originali e interessanti e regalare loro nuova e forte dignità. Dopo L'étreinte (Maliziosamente), Donald Neilson, Heartbreak Motel e The Sadist (A bruciapelo), la creatura home video ottimamente gestita da Matteo Biacca e Simone Starace ci riporta stavolta al 1972, anno di uscita di un horror americano in grado di proporre tematiche e idee stilistiche che hanno saputo influenzare nel corso del tempo figli e figliastri dello slasher, inesauribile sottogenere tanto caro agli appassionati.
​
Death House (conosciuto anche come Silent Night, Bloody Night, da non confondere con il quasi omonimo Silent Night, Deadly Night, capostipite di una saga in cui mise le mani per un paio di episodi anche Brian Yuzna), realizzato nel 1970 ma uscito nelle sale soltanto due anni dopo, instilla intuizioni di notevole fattura, codificando parzialmente un linguaggio filmico che troverà poi ampio compimento in titoli come Black Christmas, Venerdì 13 e l'indimenticabile Halloween di John Carpenter. 
Una spettrale magione in cui si compie un efferato e irrisolto omicidio. Un pericoloso killer che vent'anni dopo, nelle ore immediatamente precedenti il Natale, evade dal manicomio criminale. Il tentativo di vendere una casa teatro di eventi mai chiariti. Il ritorno di un passato intriso di sangue che scivola nel presente per glorificare la sua macabra rivincita. Una trappola incubale in cui precipitano il nipote del vecchio proprietario, lo sceriffo, la centralinista, il sindaco del luogo e la figlia di quest'ultimo.
Questi, a grandi linee, gli ingredienti di Death House, prodotto da Lloyd Kaufman (il cofondatore della Troma), diretto da Theodore Gershuny e interpretato dalla consorte Mary Woronov, ex attrice warholiana recentemente tornata in auge grazie alla partecipazione nello strepitoso The Devil's Rejects di Rob Zombie. Una trama in realtà meno semplice di quanto potrebbe sembrare, colpevole in qualche momento di arricciarsi su se stessa e risultare poco credibile, ma non priva di buone atmosfere lisergiche e improvvise dosi di violenza.
Oltre alla primitiva forza espressiva del soggetto fondante la narrazione (la casa, teatro di orrori non più rimarginabili e totem da preservare per mostrare al mondo la sua “inumanità”), il film funziona soprattutto grazie alla fotografia stordente di Adam Giffard e alla regia di Gershuny, bravo ad alternare sinuosi movimenti di macchina, accelerazioni repentine e tagli inusuali, aiutandosi con l'ampio uso di grandangoli e con la reiterazione di quello strumento per sua stessa natura disturbante, la soggettiva, che qualche anno dopo sarà portato all'assoluto trionfo da Carpenter nel suo capolavoro. 
Tra sguardi distorti, mannaie gocciolanti, argentiani guanti neri, inquietanti conversazioni telefoniche e scene immerse nella quasi totale oscurità, l'opera di Gershuny, cullandosi sulle note della dolce, malinconica e celeberrima Silent Night, si lascia apprezzare senza sforzo, trovando il suo apice in una lunga e magnifica sequenza in flashback, virata su tonalità color seppia, durante la quale si compie una dolorosa storia di abusi e vendetta. Minuti intentissimi, in cui si evidenzia lo spirito underground del film (per la presenza di alcuni attori provenienti dalla factory di Andy Warhol, voluti dalla stessa Woronov in quanto suoi amici ed ex colleghi) e si dispiega il significato ultimo di un racconto che accoglie su di sé traumi infantili, scomparse ingannevoli e misteri troppo a lungo rimasti a sedimentare sottoterra. 
L'edizione Dvd della Opium, coadiuvata da un gradevole artwork realizzato dalla disegnatrice Fabiana Trerè, ci presenta la pellicola con una traccia in lingua originale sottotitolata (non è mai esistito alcun doppiaggio italiano) e in qualità audio/video più che buona. A ciò si aggiunge un piccolo ma gustoso extra, tratto dal documentario Cult Queen Mary Woronov from Warhol to Corman, attualmente in post-produzione, in cui la protagonista di Death House, tra un drink e l'altro, ricorda alcuni aneddoti relativi alla lavorazione, senza timore di ammettere alcune abitudini non proprio edificanti che ne hanno caratterizzato la giovinezza.
​Una ciliegina in più, con cui completare il quadro di un'uscita di tutto rispetto, dedicata a un film fino a oggi quasi abbandonato nella polvere, ma in realtà capace di conquistare un posto nient'affatto trascurabile nella lunga ed epica storia del cinema horror.

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: Revival 60/70/80, Into the Pit

Link correlati Opium Visions:   Maliziosamente     Donald Neilson     Heartbreak Motel     A bruciapelo


Scheda tecnica

Titolo originale: Silent Night, Bloody Night (conosciuto anche come Night of the Dark Full Moon)
Regia: Theodore Gershuny
Sceneggiatura: Theodore Gershuny, Jeffrey Konvitz, Ira Teller
Attori: Patrick O'Neal, James Patterson, Mary Woronov, John Carradine
Musiche: Gershon Kingsley
Fotografia: Adam Giffard
Montaggio: Tom Kennedy
Anno: 1972
Durata: 85'

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A BRUCIAPELO (The Sadist) - Nelle mani del sadico

13/12/2016

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​Charles Raymond Starkweather, serial killer americano nato nel 1938, uccise 11 persone tra la notte del 30 novembre 1957 e il gennaio del 1958. Quasi tutti gli omicidi ebbero come complice la giovanissima Caril Ann Fugate, quattordicenne ai tempi dei fatti. All'apice della sua furia Starkweather venne arrestato e successivamente condannato a morte. L'esecuzione avvenne nel giugno del 1959, sulla sedia elettrica.

La figura di Starkweather, uno dei più spietati e crudeli assassini della recente storia americana, è stata studiata e portata sul grande schermo da numerosi autori di culto; a lui si è ad esempio ispirato Terrence Malick per Badlands (La rabbia giovane) e lo stesso ha fatto Oliver Stone per Natural Born Killers (su soggetto peraltro scritto da Tarantino). Oltre al cinema, anche la letteratura ne ha in qualche modo riesumato le macabre gesta; Stephen King per un certo periodo ha collezionato ritagli di giornale in cui si narravano gli omicidi del ragazzo, e ha finito per modellare su di lui un personaggio (The Kid) presente nel meraviglioso romanzo The Stand (L'ombra dello scorpione).

Il primo film a prendere in considerazione la storia di Starkweather è stato il relativamente poco conosciuto The Sadist (A bruciapelo), realizzato nel 1963, diretto da James Landis, uscito per breve tempo nei cinema italiani e poi sparito dalla circolazione senza mai essere editato né in Vhs né in Dvd. Almeno fino a oggi. La creatura di Landis torna infatti a vivere grazie alla Opium Visions, giunta al suo quarto volume. La lodevole collana editoriale curata da Simone Starace e Matteo Biacca, dopo i turbamenti torbidi di L'étreinte (Maliziosamente) e i disturbanti Donald Neilson – La iena di Londra e Heartbreak Motel, aggiunge un altro tassello all'ammirabile percorso di recupero di opere dimenticate, dedicandosi a un lavoro che non lesina spunti d'interesse.

The Sadist torna dunque sul mercato, con un'ottima resa video ricavata da uno scan 2K del positivo superstite, offrendo la chance di poter riguardare il film in versione integrale sia con il doppiaggio d'epoca sia in versione originale sottotitolata (opzione comunque sempre consigliata). L'accurato impegno speso per ridare dignità a un'opera troppo presto caduta nell'oblio ci permette di immergerci in 90 minuti ansiogeni e abbastanza compatti, durante i quali assaggiamo la malvagità di cui Starkweather è stato reale protagonista. 
La trama, di per sé, risulta assai esile: tre insegnati, due uomini e una donna, si stanno recando a una partita di baseball; a causa di un guasto alla loro macchina, sono costretti a fermarsi in una stazione di servizio situata in mezzo al nulla e all'apparenza deserta; all'improvviso si trovano ostaggi di un ragazzo armato di pistola e della sua giovane fidanzata; subiranno umiliazioni di ogni tipo e dovranno lottare per sopravvivere. 
Il film di Landis, autore la cui carriera si svilupperà poi soprattutto in televisione, assomma 5 soli attori e rispetta le unità di tempo, luogo e azione. In particolare è interessante notare come i 90 minuti del film corrispondano con (quasi) totale precisione ai 90 minuti di effettivo svolgimento della vicenda. In un'atmosfera sulfurea, avvilente, nella quale i personaggi paiono come miniature al cospetto degli ampi spazi aperti di cui sono circondati, si attua un caldo ed estenuante percorso minato, durante il quale accadono pochi fatti concreti ma si respira un'atmosfera piuttosto malsana, calibrata tra sporcizia, sode, serpenti, chewing gum masticati rigorosamente a bocca aperta e carnefici che non hanno paura di niente e nessuno. Il tutto con il decisivo contributo apportato dal direttore della fotografia, quel Vilmos Zsigmond che lavorerà poi a più riprese con autori del calibro di Spielberg, Altman, Cimino e De Palma. 
Muovendosi per gran parte del film su spazi di manovra molto ristretti, i tre ostaggi “sfidano” i due aguzzini in un duello teso sul filo tra la salvezza e la morte. Tra i protagonisti, merita senz'altro una citazione particolare colui che interpreta il killer, ovvero Arch Hall Jr., attore/musicista che dopo una carriera non esaltante in entrambi gli ambiti finì per diventare pilota d'aviazione. Qui, però, la sua smodata recitazione sopra le righe sa essere efficace e riesce a restare incollata alla memoria. 
Va detto che il film non è esente da pecche: sebbene la tensione si mantenga mediamente alta, non mancano alcuni momenti di stanca; la parte finale presenta inoltre situazioni spesso forzate e poco credibili. Nonostante questo, va dato ampio credito alla Opium per aver riportato alla luce un buon esempio di quell'America grezza, sadica e psicotica che tanto orrore ha (purtroppo) generato nella realtà, ma che tanto orrore ha saputo (per fortuna) anche reinventare con ottimi esiti nella finzione cinematografica. 

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Revival 60/70/80


Scheda tecnica

Titolo originale: The Sadist
Regia e sceneggiatura: James Landis
Attori: Arch Hall, Jr., Richard Alden, Marilyn Manning, Don Russell, Helen Hovey
Fotografia: William Zsigmond
Montaggio: Anthony M. Lanza
Anno: 1963
Durata: 95'

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DONALD NEILSON - La iena di Londra

20/6/2016

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​Seconda uscita per la Opium Visions, collana della Penny Video arrivata sul mercato con il lodevolissimo proposito di regalare nuova vita a film invisibili, dimenticati, maltrattati dalla distribuzione o rimasti troppo a lungo nell'oblio. Dopo averci fatto (ri)scoprire l'interessante L'entreinte (Maliziosamente), erotico francese tratto dal romanzo Histoire d'O, la Opium ci porta questa volta in Inghilterra, per assistere alle malsane gesta di Donald Neilson, efferato pluriomicida inseguito a lungo dalla polizia britannica e arrestato nel 1975.

La storia di Neilson “merita” di essere raccontata, seppur per sommi capi. Donald Nappey (questo il suo vero nome) nacque nel 1936. La sua infanzia e la sua adolescenza non furono propriamente felici: la madre morì per un cancro quando lui aveva dieci anni, e in età scolastica il ragazzo fu perennemente oggetto di derisione da parte dei coetanei, sia per la bassa statura sia per il suo cognome (Nappey, quasi identico a Nappy, pannolino). Per trovare una via di fuga alla fosca realtà che lo opprimeva Donald entrò nell'esercito, per poi diventare tecnico nazionale di fanteria leggera dello Yorkshire; lasciò però le armi per sposare la giovane Irene Tate, da cui ebbe una figlia, Kathryn. 
Allo scopo di evitare alla primogenita gli stessi scherni da lui subiti, Nappey cambiò il proprio cognome in Neilson. L'uomo rilevò un'impresa di costruzioni, investimento che si rivelò fallimentare; successivamente lavorò come tassista, ma impossibilitato a trovare una stabilità economica, iniziò a dedicarsi ai furti. Per lungo tempo Neilson rubò in case e ville, senza mai essere catturato. Non soddisfatto dell'ammontare dei guadagni, decise di assaltare gli uffici postali; fu proprio in queste occasioni che si rese responsabile di tre omicidi nel 1974.
​La polizia lo soprannominò The Black Panther, per la destrezza delle sue “imprese” e per la divisa completamente nera che indossava in quelle occasioni. Nel 1975 Neilson rapì Lesley Whittle, giovane ereditiera di 17 anni. La imprigionò in un pozzo di drenaggio, chiese un lauto riscatto alla famiglia, ma per una serie di imprevisti la consegna dei soldi non andò a buon fine. La ragazza venne ritrovata senza vita, strangolata da un filo legato al collo. Qualche mese dopo finalmente la polizia riuscì ad arrestare Neilson. Non si è mai saputo con certezza se Lesley sia stata uccisa da Neilson o sia morta accidentalmente; in ogni caso il tribunale lo condannò a cinque ergastoli. Il killer trascorse tutto il resto della sua vita in carcere, dove morì nel 2011.

La riproduzione, piuttosto fedele, della carriera criminale della Pantera Nera, è affidata al film diretto da Ian Merrick, realizzato nel 1977, osteggiato e bloccato dalla censura subito dopo la sua uscita (in quanto violento e scioccante, nonché palesemente accusatorio riguardo all'incapacità e alla corruzione della polizia), riesumato e restaurato dalla British Film Commission nel 2012 e ora disponibile anche in Italia grazie alla Penny Video.
Il lavoro di Merrick cerca di non allontanarsi troppo dai fatti, concentrandosi su alcuni aspetti caratterizzanti il modus operandi di Neilson: la sua ossessione per l'addestramento militare, il culto per le armi, la meticolosa preparazione effettuata prima di ogni colpo, il vezzo di collezionare ritagli di giornale con la descrizione delle sue malefatte. Il ritratto che ne esce è quello di un uomo che usa il crimine non tanto per motivi economici (comunque presenti), quanto piuttosto come strumento di affermazione di sé, come rivincita nei confronti delle umiliazioni subite nel tempo, nonché come personale glorificazione autoindotta; si veda, in tal senso, la scena in cui, dopo aver incollato sul quaderno l'ennesimo trafiletto dedicato a un suo furto, Neilson si guarda allo specchio e si lascia scappare un sorriso compiaciuto. 
Merrick e il suo sceneggiatore Michael Armstrong tratteggiano il criminale come un uomo che ha fallito quasi sempre e in tutto; uno dei tanti individui allo sbaraglio in un periodo in cui la società inglese viveva una forte depressione interna, sottolineata anche da brevi ma significativi inserti diegetici, ad esempio i pestaggi in strada tra ragazzi. Neilson, interpretato da un disturbante Donald Sumpter (negli ultimi tempi visto in Eastern Promises di Cronenberg e nelle prime stagioni di Game of Thrones), è uno spirito osteggiato dalle contraddizioni: si commuove davanti a uno sceneggiato alla Tv e allo stesso tempo si lascia andare ad atteggiamenti a dir poco dispotici nei riguardi della moglie e della figlia; non usa violenze gratuite nell'atto del rapimento ma spara a bruciapelo su uomini che cercano di ostacolare le sue rapine. In lui, in fondo, lottano più anime, anche se poi a prevalere è senza dubbio la parte assassina. 
Il film si concentra soprattutto sulle rapine agli uffici postali e, ancor di più, sui vari tentativi falliti di consegnare i soldi del riscatto di Leslie. La messinscena si lascia apprezzare per la schiettezza che la domina; si tratta infatti di un'opera glaciale, ruvida, in cui alcune indovinate scelte di regia e la quasi totale assenza di dialoghi trascinano lo spettatore in un vortice grigio e opprimente, dal sapore amaro. Una realtà priva di sole e speranza, in cui si consuma un cupo e sanguinario viaggio che non potrà mai ottenere alcuna redenzione.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Revival 60/70/80


Scheda tecnica

Titolo originale: The Black Panther
Regia: Ian Merrick
Sceneggiatura: Michael Armstrong
Musiche: Richard Arnell    
Fotografia: Joseph Mangine
Anno: 1977
Durata: 102'
Attori: Donald Sumpter, Debbie Farrington, Marjorie Yates, Sylvia O'Donnell, Andrew Burt

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MALIZIOSAMENTE (L'étreinte) - Il lato oscuro della passione

16/5/2016

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Gisèle (Nathalie Vernier), rimasta orfana, viene abbandonata anche dalla zia, che la allontana da casa a causa della sua avvenente bellezza che sembra attirare le attenzioni del marito. Le trova lavoro e da Zepperen, piccolo paese della provincia belga, la ragazza si trasferisce a Parigi, dove inizia a prestare servizio presso la casa di un giovane dandy, Michel (Daniel Vigo), ricco, eccentrico e viziato, che la ospita dandole anche vitto e alloggio in cambio del suo lavoro di cameriera.
​Il ragazzo, alla ricerca di una governante che incarnasse più una figura materna e che si occupasse dei suoi bisogni e di quelli della casa, si ritrova invece davanti una fanciulla di giovane età, di evidente luminosa e delicata bellezza, e timida di carattere. Ne è subito affascinato, ben presto scopre che la ragazza è ingenua e ignorante in materia sentimentale/amorosa, e inizia a vedere in lei qualcosa di più di una semplice domestica. 
​
L'uomo, le cui abitudini sessuali ne riflettono il modo caotico, disordinato e irresponsabile di vivere, è appassionato del romanzo erotico Histoire d'O, di sottogenere BDSM, celebre scritto del 1954 pubblicato dall'autrice francese Dominique Aury, sotto lo pseudonimo di “Pauline Réage”. Ribattezza Gisèle “O”, come la protagonista del libro, riconoscendo in lei il potenziale di una “creatura da plasmare”, ovvero la chance per trasformare le sue fantasie in realtà. Una notte la sottopone a una sadica e brutale iniziazione per dare il via al concretizzarsi dei suoi intenti. Chiusa nell'atmosfera sontuosa e un po' cupa della casa, da questo momento la vicenda assomma varie situazioni in cui “O” cede e dà il consenso, vittima delle sue stesse passioni, al quasi totale annullamento della sua stessa volontà, accettando Michel come assoluto padrone, pur con un certo conflitto interiore. 
Più i nodi intorno alla libertà della sua persona vengono stretti dalla morsa dell'uomo, più la ragazza sente il bisogno di sciogliere quelli invisibili e interni al proprio Io, che le rendono un senso di confuso soffocamento e la riducono persa e brancolante nel buio dell'inconsapevolezza di un sé ancora in divenire. A un certo punto Michel le concede la possibilità di scegliere: allontanarsi o rimanere. Nonostante l'orizzonte di libertà, e forse anche a causa della mancanza di una capacità ad auto-definirsi in altro modo, Gisèle decide di restare, addentrandosi ancora di più in un atteggiamento promiscuo in cui coinvolgerà anche lo zio, recatosi presso il luogo della “scandalosa” convivenza con l'iniziale intento di dissuadere la nipote dal continuarla, e di riportarla a vivere con lui e la consorte. 
L'elaborazione interiore dell'emancipazione della protagonista, che dal ruolo di “O” mano a mano si affranca sempre più, fino a (ri)scoprirsi e a riappropriarsi della sua vera identità di Gisèle, avviene anche grazie (e soprattutto) al ruolo di Leni (Laetitia Sorel), amica di Michel, rimasta sola in casa con la ragazza dopo la partenza dell'uomo per un viaggio d'affari. La donna, da semplice complice e compagna con cui condividere dispiaceri e divertimenti, diventa una figura chiave che le dona, su vari livelli, gli strumenti per comprendere la situazione, per poi diventare anche sua amante.
​In primis le fa leggere il romanzo Histoire d'O, permettendole di rivedere tutto sotto una nuova luce a livello psicologico. In un secondo momento le regala un cucciolo di boxer, Samba, un gesto che può essere letto sia come suggello della rinascita interiore, sia come simbolica liberazione della sfera emotiva e del suo naturale bisogno epimeletico, anche auto-riferito. Nel momento in cui Michel mostra il proprio rifiuto verso il cane, infatti, è come se egli rifiutasse le emozioni stesse di Gisèle, che apre gli occhi definitivamente, non sentendosi più coinvolta dall'uomo in nessun modo. 
La narrazione può essere ripercorsa quindi come una sorta di Bildungsroman in cui si sviluppano le avventure interiori della ragazza, fino a giungere a una maturazione psicologica personale e ad una presa di coscienza, di consapevolezza e quindi, inevitabilmente, di posizione. In ultimo, infatti, la protagonista scoprirà per la prima volta il valore e il sapore, inestimabile e ineguagliabile, della libertà individuale.

Al di là di un'interpretazione in chiave libertaria femminista, che sicuramente salta all'occhio vista anche la collocazione temporale dell'opera, girata a fine anni '60, si può anche andare a decifrare, penetrando a un livello più sottile ma profondo del lavoro, una riflessione sull'animo umano e sulla sua insondabilità. Il titolo originale, L'étreinte, allude a un abbraccio, a un amplesso, a una stretta che non è solo fisica ma anche mentale e psicologica, nella quale si fa risucchiare Gisèle prima volontariamente, poi trascinata dalla passione e dal coinvolgimento emotivo.
​Astenendosi da facili giudizi sulle pratiche erotiche BDSM, entrambi i personaggi principali posseggono dentro di sé il doppio lato, chiaro e scuro, di una stessa medaglia. Entrambi sono animati e guidati da pulsioni, istinti, intenti in fondo uguali, diversi solo nell'esternazione della motivazione psicologica che li muove. Non si può inoltre affermare in modo assoluto che esistano una vittima e un carnefice, ma piuttosto un'intercambiabilità di ruoli in precedenza definiti, da entrambe le parti.
Anche se parzialmente il protagonista maschile viene mostrato come ”oppressore”, perché avrebbe voluto portare avanti la situazione a suo vantaggio in modo temporalmente indefinito (ma in realtà poi offre a lei possibilità di scelta), non si può scordare che il naturale presupposto delle pratiche BDSM, e in questo caso in modo particolare sadomasochiste, è sempre e solo l'essere consenziente delle due parti. Non a caso, al termine del processo psicologico di maturazione, quando Gisèle fa venir meno le condizioni, la vena della passione si esaurisce. In questo senso entrambi i personaggi portano dentro di sé i principi di luce/buio, bene/male, amore/odio, morte/rinascita.
Seguendo la chiave di lettura, con tono simbolistico e psicologico, si può fare un parallelismo tra lo svolgimento delle riprese, effettuate sempre all'interno della casa, come se raffigurassero il microcosmo ovattato e interno delle percezioni, evoluzioni ed elaborazioni interiori che portano a un'introspezione dell'animo umano, e il mondo esterno, macrocosmo che si intravede solo in pochissime scene. 

Il film, uscito all'epoca in Italia con molti tagli, è finalmente per la prima volta disponibile in Dvd in versione integrale, con master restaurato, grazie all'ottimo lavoro compiuto dalla Penny Video, che ha creato un'interessante collana, la neonata Opium Visions, dedicata ai cult movies degli anni 60/70, a cura di Matteo Biacca e Simone Starace. Una lodevole iniziativa, a cui offrire pieno sostegno, che renderà omaggio soprattutto a quei filoni dell'exploitation ignorati o malamente manipolati dalla distribuzione nostrana, con particolare attenzione verso il cinema italiano dimenticato e invisibile.

Amanda Crevola

Sezione di riferimento: Revival 60/70/80


Scheda tecnica

Titolo originale: L'étreinte
Regia e sceneggiatura: Paul Collet e Pierre Drouot
Interpreti principali: Nathalie Vernier, Daniel Vigot, Laetitia Sorel, Brigitte Kowaltchuck 
Fotografia: Guido Collet
Montaggio: Jean-Claude Serny
Musiche: Rogers Mores
Anno:1969
Durata: 104'

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    Anni 60
    Anni 70
    Anni 80
    Arnold Schwarzenegger
    Beatrice Cenci
    Death House
    Donald Neilson
    Don Giovanni
    E La Terra Prese Fuoco
    F. Murray Abraham
    Gli Insospettabili
    Heartbreak Motel
    Heaven's Gate
    I Cancelli Del Cielo
    Isabelle Huppert
    Jean-pierre Melville
    John Mc Tiernan
    Joseph Losey
    Joseph Mankiewicz
    La Cugina Del Prete
    L'anno Del Dragone
    L'armata Degli Eroi
    Laurence Olivier
    Lino Ventura
    Lucio Fulci
    Maliziosamente
    Michael Caine
    Michael Cimino
    Mickey Rourke
    Milos Forman
    Nathalie Vernier
    Opium Visions
    Paura Della Paura
    Predator
    Rainer Werner Fassbinder
    Shelley Winters
    Simone Signoret
    Southern Comfort
    Stephen King
    The Sadist
    Val Guest
    Walter Hill
    Wes Craven

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