Quando Wolfgang Amadeus Mozart trapassa, il 5 dicembre 1791, all’età di 35 anni, uno sgomento senza nome si impossessa dell’immaginario collettivo dell’epoca, che non tarda a formulare l’ipotesi di una macchinazione, consumatasi ai danni del musicista salisburghese. Piuttosto che accettare l’ennesimo attestato dell’indifferenza della Natura rispetto alle sorti dell’uomo e alle più sfolgoranti manifestazioni del suo genio, è preferibile individuare qualcuno a cui addossare la colpa di un misfatto, che diviene tale solo e soltanto in una visione del cosmo teleologica, strutturata secondo una gerarchia valoriale prettamente antropica ed evidentemente distante dalle imperscrutabili leggi naturali. A volte i grandi se ne vanno presto e inaspettatamente: niente può modificare questo semplice dato.
In ogni caso, già nei mesi appena successivi alla morte di Mozart, cominciano a circolare inquietanti voci sull’evento: svariati periodici, austriaci e non, ventilano l’ipotesi che il musicista salisburghese sia stato avvelenato; in secondo luogo, la moglie Constanze racconta di come, negli ultimi mesi di vita, il marito l’avesse messa a parte del timore che qualcuno stesse cercando di avvelenarlo; comincia a circolare poi il nome di un Fratello di Loggia di Mozart (1), fra i sospettati, tale Franz Hofdehmel, il quale, il giorno successivo alla morte del compositore, aggredisce e sfregia la propria moglie incinta, allieva di Mozart, e poi si uccide; da (buon) ultimo emerge il nome di Antonio Salieri, Kammerkomponist e Kapellmeister presso la corte asburgica, fin dalla giovane età di 24 anni (quindi dal 1774).
Nel caso di Salieri, va precisato come sia stato egli stesso, a più riprese, ad autoaccusarsi della morte di Mozart (2) e come in alcuni ambienti altolocati – ad esempio nell’entourage di Beethoven – l’idea che Mozart fosse stato assassinato dal compositore italiano venisse presa in forte considerazione. Una volta precisato che, in ultima istanza, la verità definitiva rimarrà oscura e che, comunque, gli storici di oggi tendono a negare inappellabilmente la possibilità dell’omicidio, vanno rimarcati, in ogni caso, il forte fascino e la grande suggestività letteraria dell’ipotesi criminologica, tanto da aver originato un vero e proprio filone narrativo che arriva fino ai giorni nostri.
1) Il fatto che Mozart fosse un massone non è un mistero per nessuno, così come non lo è il fatto che lo fossero svariati illustri personaggi della sua epoca, di vario ceto, fama e peso politico, fra i quali, ad esempio, Haydn.
2) Va notato come Salieri stesso, in più occasioni e in condizioni di evidente confusione mentale, abbia anche preso le distanze da tali dichiarazioni, proclamandosi totalmente estraneo alla (auto)accusa.
Già nel 1830, Puškin dà alle stampe un piccolo dramma teatrale in versi, dal titolo Mozart e Salieri, nel quale la rivalità fra i due musicisti, condita dall’acredine dell’italiano verso l’inarrivabile collega (il primo titolo pensato per il dramma fu Invidia), sfocia nell’omicidio. Nel novembre del 1898, a Mosca, va in scena la prima dell’opera lirica di Rimskij-Korsakov, ispirata al dramma di Puškin e col medesimo titolo di quest’ultimo. Negli anni ’70 del Novecento, il drammaturgo inglese Peter Shaffer scrive Amadeus, un’opera teatrale ispirata al dramma di Puškin, che riscuote grande successo, tanto da incuriosire anche il regista ceco Miloš Forman. Il resto è storia recente, una storia a cui Shaffer contribuisce ulteriormente, adattando per il grande schermo il proprio lavoro teatrale e curandone interamente la sceneggiatura.
Al di là di qualsiasi intento storiografico – per fortuna ben lontano dalle intenzioni sia di Shaffer che di Forman – e trascurando, quindi, le stucchevoli critiche mosse al film da storici e musicologi, l’Amadeus cinematografico si fa carico, innanzitutto, di individuare un personaggio forte, sulle cui spalle caricare il peso della morte di uno dei più grandi talenti musicali espressi dal genere umano: in tal modo l’inafferrabilità del Fato, l’ottusità della Natura e l’insorgere del Caos vengono neutralizzati in un unico gesto. Il grande nemico di Mozart (Tom Hulce), e per ciò stesso dell’intera umanità, ha un nome, un volto, un’identità: è Antonio Salieri (F. Murray Abraham). La partitura di Amadeus si dipana quindi a partire dalla forma classica cinematografica del duale/duello, per poi intessere, però, una trama avvolgente e stratificata, capace di evocare un intero mondo di finzione, che si erge a summa universale, a pantagruelica allegoria della condizione umana.
In quanto narratore e protagonista, Salieri si colloca immediatamente dalla parte del logos, della parola che avvolge lo spettatore per accompagnarlo, coinvolgerlo, ma anche per spiazzarlo di continuo. Ambigua è infatti la natura di quel logos, in quanto scissa e combattuta è la personalità di chi lo esprime. Salieri non è solo il nemico giurato di Mozart, ma anche il suo più fervido ammiratore ed è proprio tale ammirazione la molla che innesca il conflitto, del quale, si badi, Mozart rimarrà all’oscuro fino alla morte: l’eterno e ingegnoso fanciullo, che (quasi) letteralmente non diventerà mai adulto, non può (ri)conoscere la bassezza e la meschinità del mondo, perché non gli appartengono.
L’invidia del musicista italiano cova, bruciante, sotto la cenere fredda della deferenza istituzionale, dell’adesione a un ruolo pubblico di prestigio e responsabilità, e soprattutto rimane celata affinché il fuoco dell’odio rimanga latente, dissimulando il perfetto e diabolico disegno della sua mente accecata: commissionare a Mozart una messa da requiem, impadronirsi dell’opera per auto-attribuirsela, eliminare l’avversario e infine dirigere il Requiem, composto da Mozart stesso, al funerale di quest’ultimo, spacciandolo come propria creazione. Il progetto si attuerà solo in parte e mancherà, beffardamente, di compiersi nel suo elemento più rilevante, quello del contrappasso: il Requiem, infatti, rimarrà incompiuto e sfuggirà alle mani di Salieri.
Salieri sembra ragionare come un uomo del suo tempo nel suo giudizio inappellabile sul genio di Salisburgo, ma anche relativamente ai propri meriti artistici. In una visione ottusamente geometrica e meccanica della creazione artistica, egli ritiene che la grazia di Dio debba essere commisurata alla laboriosità e alle virtù individuali e che da un grande sforzo non potrà che nascere una grande opera.
L’opera per la quale egli si sente votato è la musica, l’espressione più alta tramite la quale l’uomo innalza il suo canto di lode al Creatore. L’incontro con la musica di Mozart – e successivamente col genio di Salisburgo in persona – non innescherà soltanto il suo risentimento personale verso l’inarrivabile avversario, ma finirà anche col far crollare lo stolido insieme di credenze su cui si era basata la sua limitata visione del mondo nonché degli imperscrutabili disegni divini; allora Dio stesso diventerà il primo nemico da umiliare, tramite l’eliminazione della sua “emanazione” incarnata, cioè di Mozart.
Lo sforzo, il sacrificio e l’abnegazione non designano il genio né sono in grado di esprimerlo, giacché esso erompe spontaneo e inarrestabile, imprevedibile e soprattutto imprendibile. Ecco allora che, non potendo ridire alcunché sulle sublimi creazioni musicali del rivale, Salieri avrà da giudicare malignamente la sua persona, vista la mancante corrispondenza fra la personalità del giovane Mozart e l’idea astratta che di lui si era fatto il Kapellmeister, ascoltandone la musica. In sostanza, Salieri trasferisce proprio in tale idea astratta proiettata su Mozart l’immagine di sé, specchio di una personalità grigia, cupa e martire della propria pochezza: l’artefice di sublimi creazioni, manifestazioni in terra del divino, non potrà che essere un devoto sacerdote dell’arte, vissuta come una preghiera e come una mortificazione del proprio essere, dalle quali dovrà erompere l’assolutezza del dono della composizione.
A Mozart, al contrario, non serve il sacrificio o la negazione della propria persona perché già è, e sempre è stato e sarà, un sommo spirito musicale, dal quale sgorga la vitale armonia, che non appartiene a Salieri e che quest’ultimo può cogliere con l’orecchio e col cuore, ma che la mente continua a negargli, votandolo alla sconfitta. Del resto all’uomo intelligente, ma non eccellente, non restano che gli alambicchi della ragione per giustificare il proprio scacco.
Se Salieri rappresenta l’acutezza e l’aridità del cogito incarnato nel logos, Mozart ne costituisce l’esatto opposto e, per certi versi, la nemesi. L’apparente dicotomia fra la sua personalità esuberante, infantile, ingenua, a tratti giocosamente coprolalica (3), perennemente votata allo scherzo, all’innocua facezia, e la cristallina profondità delle sue produzioni musicali è tutt’altro che bizzarra, laddove si colga in essa la necessità dell’apertura totale alla vita, affinché ne scaturisca un’apertura altrettanto totale alla creazione. Certo, non basta questo legame fra vita e arte a giustificare l’abbacinante perfezione della produzione musicale del grande salisburghese – il divino dono del genio è indispensabile, ça va sans dire – ma è probabile che essa sarebbe mancata di una parte della propria potenza, in assenza di tale legame.
3) Su questo aspetto, può essere un utile e divertente riferimento la lettura della corrispondenza del musicista, che spesso appare come uno scanzonato poeta goliardico.
Intelligenza diabolica e umanissima limitatezza risultano quindi contrapposte al divino spirito ingegnoso e alla fanciullesca vitalità del genio di Salisburgo. Entrambi i personaggi presentano una doppia espressione della propria interiorità, solo che mentre quella del maestro italiano si sviluppa esclusivamente tramite la parola e la gestualità (di qui i grandi meriti dell’interpretazione di Abraham), con cui si rivelano la sensibilità dell’animo nel cogliere la bellezza della musica dell’avversario così come la colossale meschinità nel volerne la rovina, quella di Mozart si manifesta sia nella dimensione del personaggio in scena (la vita), cioè in campo, sia negli esiti del suo spirito superiore, la musica, che abita invece lo spazio sonoro e invisibile del fuoricampo, in una specie di “inquadratura sonora” del personaggio.
In breve, la scissione di Salieri si ricompone nel ruolo di intelligenza unificatrice, che raccoglie i frammenti sparsi e in conflitto del suo io e, così facendo, riordina anche le tessere del racconto filmico, mentre l’unità di vita e arte in Mozart si sdoppia nell’immanenza della vita e nella trascendenza della musica, una musica che accompagna, sovente dalla dimensione extradiegetica, pressoché l’intero scorrere della narrazione.
L’abilità di Forman e Shaffer si nutre di queste sottigliezze, creando anche un universo finzionale estremamente vivo, frastagliato e dinamico, nel quale tutti i comprimari, pur trovando l’alimento della loro funzione narrativa nell’interazione con le due figure principali, vivono di una propria autonomia e identità forti e ben delineate, grazie anche al cast indovinato, che può contare sulle ottime performance, fra gli altri, di Elizabeth Berridge (Constanze Weber/Mozart), Roy Dotrice (Leopold Mozart), Jeffrey Jones (l’imperatore Giuseppe II), Roderick Cook (il conte Von Strack) e Nicholas Kepros (l’arcivescovo Colloredo).
Nel contempo, una scrittura filmica raffinatissima e invisibile tesse i fili del racconto in modo tale da condurre l’occhio dello spettatore a moltiplicare i punti di osservazione, il rapporto coi personaggi e con gli ambienti, mentre l’orecchio segue rapito un tappeto sonoro che costituisce un significativo fil rouge acustico, parallelo a quello narrativo e a tratti in conflitto con esso. Se, solo in apparenza, il racconto filmico si sviluppa come semi-soggettiva di Salieri, quando in realtà i punti di vista presenti nel film sono molteplici e tutt’altro che esclusivamente riconducibili a quello del protagonista/narratore, con un rilancio continuo del ruolo e della collocazione dello spettatore, il tessuto sonoro è un susseguirsi di alcuni brani fra i più noti del vasto repertorio mozartiano (scelti prevalentemente da quello operistico), con qualche accenno a quello rispettabile, corretto e piacevole, ma infinitamente più modesto, di Salieri: in entrambi i casi il duello è moltiplicato e rilanciato, senza soste.
Nel confronto meramente narrativo, il personaggio che eccelle è senz’altro Salieri (vista anche la genuina inconsapevolezza dell’avversario), esaltato, beffardo e malinconico perdente, mentre in quello musicale la vittoria è tutta di Mozart, le cui armonie portano l’intero film – e con esso personaggi e spettatori – a lasciarsi scivolare addosso tutte le parole, i drammi individuali, le meschinità e le malignità terrene, per toccare una diversa e superiore dimensione dello spirito. Nel finale Salieri assolve, per una volta, tutti i mediocri – quindi, la quasi totalità degli uomini di ogni epoca – mentre la musica di Mozart li continua, ancora, a benedire.
Gian Giacomo Petrone
Sezione di riferimento: Revival 60/70/80
Scheda tecnica
Anno: 1984
Durata: 160’ (versione cinematografica), 180’ (director’s cut)
Regia: Miloš Forman
Soggetto e sceneggiatura: Peter Shaffer
Fotografia: Miroslav Ondříček
Montaggio: Michael Chandler, Nena Danevic, T. M. Christopher (director’s cut)
Scenografia: Patrizia Von Brandenstein
Interpreti principali: F. Murray Abraham, Tom Hulce, Elizabeth Berridge, Roy Dotrice, Jeffrey Jones
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