All’epoca, Bernardo accettò solo per Godard. La Mostra la presiedeva Rondi e Bertolucci aveva rifiutato di andare in altri festival in passato proprio perché c’era Rondi, giusto per rendere l’idea. Ma tornando ai giorni nostri, dopo un tweet cesellato di indizi eloquenti ma sottili che stamattina aveva già fatto intuire non poco («Tre indizi per indovinare il nome del presidente di giuria di Venezia 70: Borges, Giuseppe Verdi, rue Jules Verne»), ecco arrivare l’annuncio ufficiale e le parole di Barbera: «Pochi registi, al pari di Bertolucci, sommano alla lunga esperienza il fatto di vivere un presente cinematografico in cui agiscono con le loro opere, di cui si interessano (esercitando un’inesausta curiosità) e di cui si preoccupano, perché scovare e portare all’attenzione ciò che di vitale si sta muovendo e ciò che di bello sta magari esplodendo, è tra i migliori servizi che il cinema possa fare a se stesso. Anche per questi motivi, Bertolucci è il Presidente ideale per il ruolo importante e delicato che ha generosamente accettato di ricoprire».
Bernardo Bertolucci ha invece dichiarato: «Ho accettato con allegria di presiedere la giuria della settantesima Mostra internazionale cinematografica di Venezia. In una manciata di giorni mi si regala la possibilità di vedere quanto di più interessante sta accadendo nelle cinematografie di tutto il mondo. Il mio amico cinefilo Alberto Barbera riesce a infilarsi nelle nicchie cinematografiche più misteriose dei più misteriosi paesi del mondo. È la mia seconda volta. Nel 1983 la Mostra celebrava la sua 40a edizione. La mia giuria, composta quasi tutta (tutta) di registi non poteva che premiare Jean-Luc Godard, a cui tutti noi dovevamo tanto e che non aveva mai avuto un premio importante nella sua vita. Allora ai film chiedevo sorpresa e piacere. Non sono molto cambiato».
Ben venga Bernardo, dunque, uomo di cinema ancora vitalissimo nonostante le difficoltà fisiche, la presumibile stanchezza e l’affaticamento che è sotto gli occhi di tutti. A ben guardare il suo ultimo film poi, il potente e truffautiano Io e te, ci si rende conto di avere davanti (e lo sapevamo) un regista ancora luminoso, capace di azzerare se stesso con un film di incanto primigenio e corpi che dibattono e s’affannano sotto il peso di una gioventù che pulsa, velenosa e allo stesso tempo benefica, una benedizione eterna che va molto al di là dell’anagrafe e al cui spirito profondo Bertolucci non potrebbe mai rinunciare. Oltre che una rinascita una specie rara di opera prima sui generis, Io e te. Certi sguardi, in fin dei conti, non possono invecchiare, non possono decadere. Semplicemente, non saprebbero come fare.
Davide Eustachio Stanzione
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