Il primo film a colori di Federico Fellini, nonché il primo dopo lo spartiacque fondamentale (della sua carriera, della storia del cinema, di un modo nuovo e totale di intendere il cinema d’autore) che fu 8 ½ . Un poema onirico virato al femminile, fortemente felliniano nell’opposizione realtà – evasione, una concessione di autobiografismo rivolto all’adorata e silente moglie Giulietta Masina che fa il paio con il macroscopico racconto di se stesso che Fellini enucleava nel film con protagonista Guido Anselmi.
La bigotteria introiettata dalla formazione familiare di Giulietta genera una tensione che però è sempre allentata nel barocchismo funambolico, nella gaiezza forsennata dell’invenzione, nell’architettura floreale di bozzetti che si rincorrono e che qua e là rischiano di infangarsi in uno sterile vociare, nel fluire incontrollato di turbamenti derivanti da un cattolicesimo latente che traduce ogni immagine non canonizzata in visione tentatrice. Però Giulietta degli spiriti non è un film malfermo né tantomeno leggiadro nonostante lo stile liberty del tratto e l’apparente esilità svolazzante di certe materializzazioni plastiche.
Pur non raggiungendo le vette del Fellini più alto è parimenti complesso e strutturato, oggi è difficilmente sottovalutabile come invece è stato fatto all’epoca della sua uscita da quasi tutti i critici, che lo ridussero a mero contraltare sfiatato di 8 ½ in chiave femminile, pur non negando critiche stilistiche e compositive ben più sottili e sfaccettate. E’ il film più puramente onirico di Federico Fellini, tra l’altro. E visto il ruolo dell’onirismo come accumulo di arditezze compositive che tanta importanza ha rivestito nella poetica del maestro riminese, non si deve parlare di sclerotizzazione di un immaginario diviso tra chiappe circensi e forme debordanti, ma di una forzatura ennesima del suo immaginario. Se atto d’amore si tratta, è comunque venato d’ambiguità, in cui l’affetto è ridimensionato da una crudeltà sottilissima, inquinato dalla commiserazione miserevole di un’anima candida e sempliciotta e in quanto tale osservabile con sprezzo accigliato, senza compartecipazione eccessiva ma piuttosto dall’alto in basso.
Il Fellini a colori che qui prende il là, stringi stringi (anche se trattasi chiaramente di un’iperbole non applicabile alla lettera e film per film) appare comunque di gran lunga più frenato rispetto alla magia impareggiabile di quello in bianco e nero, dove Giulietta Masina non a caso rivestiva un ruolo diverso, assai meno subalterno, probabilmente non ancora vessato dal narcisismo sornione e soverchiante del marito che ebbe in lei una vittima privilegiata e forse inevitabile.
In onda su Sky Cinema Classics, sabato 20 aprile ore 21.00. In replica domenica 21 aprile ore 07.10.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Dvd & Tv